mercoledì 2 febbraio 2011

"Hairesis" di Francesco Marotta

L’individuazione percettiva di un elemento della realtà riverbera nel linguaggio poetico di “Hairesis”, raccolta di Francesco Marotta scritta nel 2004-2005 e pubblicata in e-book da Biagio Cepollaro, attraverso il collegamento tra punti diversi della rete semantica, dando luogo non tanto a metafore, quanto ad accostamenti spiazzanti, avvicinamenti desueti, perché si potrebbe dire che la metafora viene raggiunta non sostituendo una parola di senso prossimo, che stia al posto di un’altra, ma attraverso un flusso di rimandi intercettati da verbi, azioni e concetti, in una sequela di riflessi, di lucori che un attimo dopo ricadono nel buio: sembra, infatti, un lavoro condotto sulla componente più impalpabile della materia linguistica e qui non si fa riferimento soltanto al recupero del puro suono, ma  al fatto di cogliere un senso sfuggente perché impossibile da fissare e sussistente soltanto nella relazione fra definizioni, nel corto circuito tra azioni, nel sincoparsi della voce, quando il senso sembra scaturire dagli interstizi delle connessioni fra parole e non dalle parole stesse: “fango dislagato in pozze di cielo / l’urlo che annaspa stretto alle sue radici   musica sghemba / s’irida”. Anche la diversa spaziatura esistente fra le parole mostra la necessità di recuperare la distanza come elemento su cui operare e di conseguenza la necessità di stringere legacci tra zone semantiche lontane. D’altronde, bisogna notare che questa di  Francesco Marotta è una poesia sganciata da un reale immediato, quotidiano: si sarebbe tentati di dire che è un  reale rappresentato, dipinto. Dunque, la percezione qui si presenta già con il suo carico di pensiero. E’ già immagine. Certo come è presente l’immagine in poesia. Interpretata. Virata, inoltre, in Marotta dal carico di termini metafisici e simbolici: “ con il balsamo e i drappi putrefatti / dell’eterno / -       incessante dismisura del sentire    mappa vegliata / da silenziosi inverni”. Viraggi che Marotta predilige fin dai suoi esordi.  Vero, dunque, che siamo partiti dalla percezione, ma per dirigerci subito verso un’immagine costruita con parole: immagine che conserva, più che una fortissima ambiguità, una polivalenza irriducibile – com’è nella tradizione della grande poesia. Si fa sempre più stringente, più corta la distanza tra la materia del reale e la materia pensata. E il senso pare avere, man mano che ci si inoltra nella lettura della silloge, un peso insostenibile, eterno. Qualcosa sulla pagina attesta che non è possibile sottrarsi al senso. E Francesco lo porta  sulle spalle, lo scava nella pietra. Tale pare di fatto il portato di questa poesia, la sensazione che rimane nel lettore a causa della densità della voce poetica di Marotta, il quale in uno stretto giro di versi: “ e mille / spine che negano al silenzio la compiutezza senza bagliori / dell’alfabeto increato dei giorni / la breve eternità di una speranza” convoca sulla pagina sinestesie fra senso tattile e visivo, contatti semantici tra  fisico e mentale, paradossi di un’unione irricevibile tra aggettivi e sostantivi ottenendone una densità non solvibile: un senso somma di tutti i sensi possibili.

1 commento:

francescomarotta ha detto...

Grazie infinite, Rosa. E tanti auguri per questa tua avventura in rete.

Ciao, un abbraccio.

fm