Si pone come ineludibile il libro di Yves Bonnefoy «Osservazioni sul disegno. Il disegno e la voce» Pagine d’arte, Aprica, Svizzera, 2010, poiché con la sua densità deforma lo spazio, crea una curvatura, una china su cui inevitabilmente qualsiasi discorso sul disegno precipita. Se pure si può non condividere l’indagine metafisica di Bonnefoy, preferendo altre vie per valutare o descrivere le opere artistiche, è anche vero che la forma non è un’espressione traducibile in parole: se il dipinto non restituisse altro che quanto si può esprimere a parole, non ci sarebbe alcun bisogno di dipingere. Ecco perché il riferimento a qualcosa d’inesprimibile, di non riducibile è inevitabile quando si cerca di restituire un’opera d’arte in quello che ha di più precipuo, quando si tenta di partire dai dati di fatto (una linea di grafite su un foglio di carta) e subitaneamente si scopre che non ci si può limitare a questi dati e che qualsiasi interpretazione non esaurisce l’opera d’arte.
Ma vi è anche un altro motivo che rende unico questo libro, al di là della considerazione che l’autore è un grande poeta, e consiste nel fatto che esso è un raro esempio di incontro tra poesia e disegno. La preziosità del saggio di Bonnefoy risiede nella sua trasversalità: oltre a costituire un’interessante argomentazione intorno all’ineffabile che intride il disegno artistico è contemporaneamente un libro che indaga sulla ineffabilità che esala dalla poesia. Infatti, le due pratiche hanno valore per Bonnefoy soltanto se con esse si sgombra il campo da un sapere costruito astrattamente, il quale ha sepolto l’esistenza sotto le sue costruzioni artefatte, irrigidendola in uno schema, mentre quel che bisogna fare è cercare l’autentico senso delle cose, poiché anche l’uomo non è qualcosa di già dato, ma si ricrea nella relazione con l’esistente. Se il linguaggio è manifestazione dell’essere, la stessa cosa vale per l’attività del disegno.
Bonnefoy si serve della poesia come metro di confronto dei risultati raggiunti dal disegno e del disegno come misura dei risultati raggiunti dalla poesia. Pertanto la poesia funge da metodo di ricerca e oggetto di analisi parallelamente al disegno. Mostrando in questo modo come nessuna delle due assuma il ruolo di guida, ma come sia invece proprio il loro confronto a consentirci di desumere un’attitudine che ha il suo scopo nel non irreggimentarsi in nulla di dogmatico e definitivo. Analizzando i bordi, le faglie, le linee di confine, le zone di vuoto e le aree di silenzio, le durate e le porzioni in comune così come sono individuabili nelle due attività – l’una che lavora sul linguaggio, l’altra che lavora sull’immagine – ove, naturalmente, il linguaggio forgiato dal poeta non usa le parole nel loro significato stereotipato e la linea tracciata dall’artista non ha nella mera restituzione della realtà il suo obiettivo, viene, dunque, messo a confronto il modo in cui entrambe agganciano l’inesprimibile. Nella flessibilità del tratto, nel vuoto nel quale la linea si accampa, nell’esilità della sua apparenza sembra che il disegno debba capovolgere il mondo per diventare ciò che ce ne riconsegna la presenza.
Certo, la difficoltà di circoscrivere, di assediare letteralmente l’inesprimibile deriva dalla stessa impossibilità di definirlo e, di conseguenza, le strategie da mettere in atto devono essere altrettanto mobili, aleatorie, mai definitive. Il metodo di Bonnefoy procede per folgorazione, per accerchiamento e per inatteso subitaneo svelamento: cogliere la presenza sarà cogliere l’essenza e ciò costituirà il massimo premio per l’artista e per il fruitore che dell’arte gode.
http://www.paginedarte.ch/
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