giovedì 20 novembre 2025

Mostra di Beatrice Meoni “Fuoriscena”, galleria z2o Sara Zanin, Roma, 19/9-8/11 2025

 


Beatrice Meoni, Fuoriscena, 2025, olio su tavola, cm. 150 x 150. Courtesy of the artist & z2o Sara Zanin



Visitando la mostra delle opere ad olio su tavola di Beatrice Meoni, Fuoriscena, tenutasi presso la galleria z2o Sara Zanin, Roma, dal 19 settembre all’8 novembre 2025, si ha la sensazione di entrare, grazie a ciascun quadro, in uno spazio dilatato, riverberante e dissuasore al contempo, tramite punti di accesso privilegiati: fondali e tende sembrano creare un punto di contatto con il restante spazio, non come un dritto e un rovescio, ma come un suo prolungamento imprevedibile e radicalmente diverso, se non altro perché una scenografia è una rappresentazione, mentre l’ambiente in cui si dispongono gli oggetti quotidiani – sia esso una galleria d’arte, uno studio, una casa, un giardino – è un luogo che si situa al di fuori della raffigurazione pittorica. Parlo di qualcosa che somiglia a una scenografia perché è l’ambito nel quale si muove professionalmente Beatrice Meoni e ne resta qualche residuo nelle immagini da lei create. Mentre si è dinanzi a queste tavole vi è, dunque, come un surplus interpretativo affiorante, poiché gran parte della superficie lignea è chiamata a raffigurare un fondale, un lontano, mentre, in primo piano si stagliano alcuni eventi o cose. L’opera Alcune parole guidano oltre (2025) fa pensare a un possibile proseguimento, addentrandosi nella selva o nel bosco, che sfocia in un oltre. In basso, un paio di scarponi, prelievo diretto da Van Gogh, una tavolozza e un quaderno con una penna, ossia gli strumenti rappresentativi per antonomasia (pittura, scrittura e memoria della tradizione). Fuoriscena (2025) mostra in maniera esemplare come sono concepiti questi oggetti/eventi. Sono accadimenti situati sul limine della riconoscibilità: oggetti spesso smembrati che non hanno un contorno. Sono frammenti di cose in fieri. Macchie di colore che pulsano, occupando i due stati della materia e della forma, ma quasi mai contemporaneamente. Vi si possono riconoscere il piede di una statua, il braccio di una bambola, un cappello, un vaso e, al di fuori della finestra, colline e prati, ma, nel marasma generale, nessun elemento iconico assume una posizione trainante. Il figurativo vi resta impigliato per qualche secondo e poi prevalgono la ricomposizione e la scomposizione continue che impediscono si formi una stabile figura. Ecco, perché li definisco cose/eventi: è proprio dell’evento ciò che accade, che può essere già avvenuto o potrà avvenire. Le opere di Beatrice Meoni pretendono una lunga osservazione, chiedono allo sguardo di ripartire e di sostare, di vagare e di affossarsi, in un oscillante andirivieni. L’insieme cromatico si snoda fra colori prossimi e adiacenti, distanti e opposti, tutti accomunati da una leggerezza e da una mancanza di profondità, da cui l’ombra sembra per sempre interdetta. Le cromìe si schiariscono e si scuriscono, non per una preminenza di parti ombreggiate nella stanza, ma per moto autonomo: per memoria. Sicché quello dipinto è un paesaggio interiore. E che sia un movimento esclusivamente mentale, lo conferma il titolo dell’opera, Risacca (2025), che ci rammenta il movimento permanente e ritmico delle onde. Ma è un moto che riconduce anche al movimento della memoria, la quale ci riporta virtualmente agli occhi brani visivi. L’immersione nelle tonalità presenti nelle opere (crema, giallo paglierino, verde pistacchio, grigio-azzurro, ocra, pervinca), tutte rese più aeree e vacue, vanno a delineare oggetti desostanziati: l’artista è certamente una grandissima colorista. Suppellettili, occhiali, vasi e tendaggi riemergono e si disciolgono come tesori che l’onda è restia a depositare sulla rena. I tendaggi, poi, creano accessi delimitati, vietati allo sguardo. Eppure sappiamo che l’estensione esiste anche al di là di essi. Anzi, sono segnalatori della presenza di uno spazio a prescindere dalla costruzione bidimensionale dell’opera. Le tende sono, pertanto, il primo segnale dell’incombenza di una tridimensionalità sottaciuta. Ma penso anche a quei meravigliosi teli di lino che si sollevano con i refoli di aria provenienti dall’esterno ne Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Non solo tendaggi, ma biancheria da toeletta, lini, cotoni rigati. Essi testimoniano che la pittura di Beatrice Meoni non è su tela, ma che la tela è un elemento ineludibile (simbolo della pittura), così come i tappeti, all’interno della casa (si vedano In studio, bandiera bianca, 2025, e Le mie bandiere, 2025). Questi ultimi segnalano aree, porzioni inattingibili o, all’inverso, gli unici luoghi esistenziali dove trova collocazione il corpo assente. Solo mentalmente proiettabile. I tappeti, con i loro disegni floreali, costituiscono il punto d’unione tra l’oggetto di uso quotidiano e l’oggetto artistico (in particolare, ci sovvengono Matisse e Klimt). Le superfici si presentano con una vibratilità imperterrita nel lavorìo incessante delle frequenze cromatiche che trascorrono sulla superficie. Tonalità paiono sovrapporsi o trasparire in alcuni punti o sono attraversate da tocchi fugaci come un branco di alici. Corpuscoli aggallanti di colore, con moti inesausti, in correnti traverse, designano gli oggetti come se fossero intrappolati in un flusso. Da segnalare è anche l’aspetto sontuosamente opaco della superficie: il colore ad olio vi appare come non avente più spessore; uno scorrimento di particelle senza volume; salvo in alcuni casi, allorquando le sporgenze del pigmento servono a segnalare, per diretta contrapposizione, la soave scivolosità delle cose l’una nell’altra: la loro immaterialità. A volte, si ha l’impressione che il dettaglio sia più essenziale della linea di contorno, la quale, in genere, consente il riconoscimento dell’oggetto rappresentato. È la caratterizzazione della materia a rivelarsi più importante dell’oggetto, ma subito questa peculiarità si risolve in instabilità. La preminenza della sostanza non può inficiare la continuità della superficie. Nondimeno, tale superficie è mossa dalla frammentazione del colore. 

A riprova, si osservi il caso contrario, in Passacaglia degli oggetti (2024): quando la superficie è bloccata dal nero, le suppellettili si presentano rafferme, prive di vibrazioni e moti, acquisendo una sfocatura  lacustre, da immagine riverberata in un’acqua stagna. Gli oggetti acquisiscono i riflessi del fondale: un teschio, un limone, una statuina, un busto, un divano-sarcofago, un’automobilina divengono rammemorativi di un passato atemporale.

È preponderante l’uso dei dettagli cromatici qualora vi sia qualcosa di difficile da mettere a fuoco, come ne I bulbi di Ottobre (2024) e ne Il capanno, costruzioni (2025), ove è il titolo a guidare l’osservatore. La cromatica tessitura di fatto istituisce l’ambiguità della superficie che in alcune aree è deformata dalla tridimensionalità occasionale. Poco importa, difatti, che solo alcuni utensili sembrino patire i dettami della prospettiva o che, come accade in Coltivare il tempo (2025), l’intero spazio sia ridotto a un’unica superficie e solo un oggetto, come in alcuni quadri rinascimentali, è poggiato su una simulata cornice aggettante, designante l’unica area tridimensionale. Beatrice Meoni utilizza l’area del figurativo con una libertà sensazionale, rendendo anche un costante omaggio alla tradizione. Le splendide nature morte annegate in tali superfici, coi vasi dall’ineffabile eleganza giapponese, i ventagli, le spazzole, i cactus, gli utensili per il trucco, trattano lo spazio come un foglio per appunti. L’intimità di Schiele, le superfici disomogenee di Kandinskij illuminano diversi punti nella vastità della mente di chi osserva e subito si spengono, per sfolgorare in altri, ricordandoci che la pittura è appunto il miracolo della compresenza di tutte le opere. Come non ricordare in Ausflug Volo fuori (2025) la pervasiva presenza di Bonnard: si tratta di un vero e proprio omaggio al pittore anche attraverso i temi condivisi (la donna in giardino dinanzi a una tavola apparecchiata). L’aggiunta di una piccola tavola incollata sulla tavola stessa, come un quadro nel quadro, alla maniera shakespeariana, ha la medesima origine, ma tradotta nel medium utilizzato da Meoni. 

Una serie tematica riguardante la casa sull’albero, all’interno della mostra, indica quella che appare come una modalità dell’anima. La casa è ovunque la persona si trovi a proprio agio e, per Beatrice Meoni, l’albero sembra profilarsi come una casa d’elezione. La figura ha un aspetto fantasmatico, quasi che il soggetto non si vedesse mai vivere mentre vive, e tuttavia se la memoria cancella i tratti somatici, si sforza, al contempo, di riportare con esattezza i valori cromatici: vividi e motili; insopprimibili. Un autoritratto fenomenale: nebbioso, fantasmagorico e preciso!


           Rosa Pierno




Nessun commento: