sabato 18 ottobre 2025

Stefano Iori, Flussi 2023-2025, puntoacapo Editrice, 2025

 

Nella nuova raccolta di Stefano Iori, Flussi 2023-2025, libro sapienziale, oltre che poetico, il gusto della paradossalità trova la sua funzione più profonda nel coniugare cose che risultano impossibili da accostare: “ali guizzanti / in lento volo”. Oppure: “La dismisura della luce / nomina la notte”. Il senso è quello di scorgere il luogo nel quale gli opposti si toccano “con garbo / di fantasma”. D’altronde, ogni cosa interseca l’altra, la ingravida. Il vuoto, ad esempio, che col buio e col silenzio s’interpola, entra ed esce dalla pienezza del reale, dando quasi vita “a luce che non brilla”, giungendo così ad allacciarsi al tempo e alla fantasia. Ossia, il vuoto entra nell’ambito della realtà, indicando con ciò un’opposizione che è sempre solo apparente. Qui si scorge l’utile funzione del paradosso, il quale segnala che esiste la possibilità di due percorrenze equivalenti, mentre per consuetudine si tenta di costringere il senso in una sola direzione, causando laceranti attriti. Una delle principali antinomie, quella che definisce il tema della silloge, è l’angoscia della morte mentre più forte è il desiderio di vivere. La ricerca di Stefano Iori s’impernia sul dilemma “ansia di morte ansia di vita” che il risultato della sua riflessione, invece, vedrà, come scopriremo in seguito, convivere senza contraddizioni.


Ma andiamo con ordine: ogni cosa viene interpretata come simbolo nella non fattibile comunicazione tra essere umano e divino; si ha la certezza della non realizzabilità dello scambio verbale: “almeno un soffio di quel dire / ombra o luce di un intento”. Appena qualcosa, non il vero a tutti i costi. Il poeta sembrerebbe accontentarsi, ma solo apparentemente. In realtà, lo vuole strenuamente. E ciò allora sposta il punto focale: non attraverso il verbo si comunica. Con il verbo si annotano le domande, le intenzioni, i desideri, i sogni. Sicché, “Illusione ben accetta / miraggio ricercato” sono ora le nuove monete sonanti che attirano l’attenzione di Iori. Tutto ciò che è sparso nel mondo sembra volerci parlare di altro, eppure bisogna astenersi, accettare il frutto dell’immaginazione. Abbandonarsi al mondo, accettare che non abbia senso, come fosse la prova più grande da sopportare. E l'autore ci si dispone, sperimenta il proprio annullarsi, la mancata reattività dell’io; accetta di andare per il mare alla deriva. L’io deve coincidere con un anonimo adattarsi. Bisogna tenersi lontani dall’arroganza dell’individualismo che forgia, fissa e inchiavarda, anziché lasciare liberamente fluire il pensiero. E forse mai età, se non la vecchiaia, ha in sé l’antidoto contro un personalismo dominante: “È tempo di limare / la spocchia antica”.


Pur seguendo il passo di quei letterati e poeti che hanno cercato, a prescindere da ogni consapevolezza della perdita, la ricerca del senso, Iori provvede ad attuare un suo programma, quasi esercizi spirituali d’attenzione:


Assumere a ogni passo

impegno d'attenzione

fugando vani abbagli

di traguardi dell'istante


Nel lento scorrere delle ore si manifesta la via oscura, quella che conduce alla morte, giacché la vita può definirsi come ciò che muore, che si estingue. Iori si esprime con la laconica essenzialità dell’aforisma: “Brama di stasi inorganica / l'inerzia abituale del sasso”. Sebbene la consapevolezza di codesta verità sia pienamente assunta dal poeta, pure, bisogna imparare a morire, a considerare tale verità come peso che aggiusta ed equilibra tutte le cose esistenziali. E ciò può avvenire se si studia, appunto, un metodo, che vediamo esplicitato nei seguenti versi:


Far scorrere nel non finito

emozioni e sogni

Lasciare monchi i progetti

con piegata umiltà


Vi è anche l’assunzione di un opposto punto di vista sulla morte, poiché, se è scontato che quando siamo vivi la morte non c’è, c’è però il suo concetto ed è con quello che ci si deve misurare. Dunque, il ribaltamento ottiene che la “Morte è nascita al contrario”, per cui si ritorna verso il punto di partenza: il nulla.

Nella riflessione sul termine della vita, “la via ancora aperta / si confronta con ignota / misura”. L’io resiste appena alla vertigine dell’oblio. Si direbbe che sopravvive perché sa. Le parole che il poeta mette insieme sulla carta, inseguendo senso e storia, indicano che egli si dispone alla morte proprio denegando senso e storia. Cosicché le vere parole, dice a se stesso, “le ritrovasti nel vero silenzio vivo / senza ombre di dolore attorno / alfabeto d'emozioni del colore d'un ruscello”. È ancora l’orizzonte dell’immaginazione che disegna fondali, scenari, situazioni, valenze: un’immaginazione tutta umana, ma certamente capace d’inglobare in sé una nuova visione. Difatti, non si può uscire dalla condizione esistenziale se non con il termine della vita, ossia con la perdita dell’immaginazione, pertanto, conviene utilizzarla nel modo più creativo per dare la stura alla molteplicità; non per inseguire il divenire, ma per attestare della permutazione e del ribaltamento. Viene alla mente il quadro di H. Bosch Quattro visioni dell’Aldilà, alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, nel quale, in un cielo nero privo di profondità, si apre un imbuto di luce incandescente. Miracolo della perspicacia, potenza dell’immaginazione! Ritornando al metodo messo a punto da Iori, mi riferisco al ribaltamento come tecnica, poiché è di fatto una modalità da lui particolarmente utilizzata. La perdita della memoria coincide con la capacità di attraversare la bruma e di conseguenza:


Inutili certezze svaniscono

nell'aria d'alabastro

perdendosi in dubbi 

taglienti più del vero


È dunque il gioco degli opposti a consentire al poeta di non stazionare in caselle bloccanti o fuorvianti, di non irrigidire il suo pensiero, ma di lasciarlo libero di aggirare gli ostacoli: quei concetti talmente evidenti da cui è altrimenti facile farsi abbindolare. Ricordi, pregiudizi, convenzioni, i quali non combaciano nei tentativi plurimi della volontà di ricondurre tutto ad unità, hanno una cattiva influenza sulla mente che si dichiara delusa dalla realtà, come se essa stessa non appartenesse al medesimo ambito. Tuttavia, in questo gioco, si delinea almeno la consapevolezza del valore che la distanza dalle illusioni può fornire, profilando una vaga traccia de “l'imperfetto regno / di ciò che verrà”. Il sogno, in questo senso, prende il posto dei desideri, quelli sbrananti, distruttivi, come il rimpianto, compagno della depressione, e modifica la direzione, mostrando appunto un’altra via. Persistono gli enigmi nei sogni, ma si può constatarne la presenza senza arrovellarsi per risolverli. Anzi si può tornare al non sapere: “Fino a fluida sincronia / col dilatarsi dell'ignoto”. Sarebbe questo “il poetico vero”, lo stadio di massima apertura al nulla, anziché l’ingresso nelle gabbie della ragione.

Pertanto, la vera posta in gioco sembrerebbe essere la compresenza “d'armonie e dissonanze / in perpetuo divenire”, non in quanto scopo o bersaglio, ma in quanto condizione in cui si attenuano le illusioni e si accede all’equivalenza dei termini. 


Che cosa si diventa dopo? In quale condizione ci si ritroverà? In una “straniata immisura / permeante e scura”. Tuttavia, anche la terra ha una sua giustizia: 


Senza il pavido 

lo sconcio non sarebbe re” 

dirà quel giovane 

invocando il tempo 

in cui solo gente di seta 

abiterà cielo e terra”


Allora, i legami fra terra e cielo, bellezza e disperazione, dolore e gioia, pieno e vuoto esistono e non sono recidibili come banalmente si crede. Sicché anche il confine tra vita e morte è in realtà illusorio. È necessario aprire mente e cuore per auscultarne il battito all’unisono. 


Rosa Pierno




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