I quadri di Anna Miquel introducono il riguardante nel mondo delle essenze. È davvero come fare un salto nell’acqua e sentire l’occlusione dell’udito, del respiro, dei sensi in generale. Per trapasso analogico, anche il colore blu del liquido rappresentato inscena uno stato di immersione metafisica. In Turbulencias (Turbolenza, 2003, tecnica mista su tela), ove un vortice acquoreo occupa il centro della scena, la sensazione di perdita di riferimenti non migliora con la presenza, sui quattro angoli della tela, di lembi di terra: siamo nello spazio. Il vortice, poi, sembra un buco nero al negativo. Il suo fondo bianco, accecante, ci indica la luce celestiale del paradiso dantesco. Sagome circoscritte esclusivamente da contorni nivei tracciano le silhouette di esseri umani e conchiglie e rimandano, anziché agli oggetti reali, alle caratteristiche astratte degli oggetti. Qualcosa di più di un’idea.
L’essenza dell’essere umano è, per Anna Miquel, inscindibile dalla relazione con il cosmo. Quasi che solo attraverso codesta relazione si possa coglierne un significato esauriente. In A la deriva (Alla deriva, 2005, tecnica mista su tela), la sagoma umana dipinta col blu scuro e sospesa nel blu marino e la riva che appare irraggiungibile danno la sensazione di un essere umano irrimediabilmente solo e disperso, prevalendo sulle altre possibili definizioni. In El hundimiento (L’affondmento, 2007 tecnica mista su acetato), meglio si intende questo aspetto: un uomo e di una donna, immersi nel blu di un vasca terrestre, se galleggiano nel liquido, allo stesso tempo affondano in un etereo spazio mentale. La sproporzione tra fondi e figure sottolinea la fragilità di queste ultime. Per l’artista il mare è una metafora e le figure sono segni. La tempesta visuale è uno specchio della tempesta dell’anima. Altri titoli ci indicano i temi del distacco, del naufragio, dell’abbandono, della profondità, del silenzio e della quiete e, come sottolinea l’artista, alcuni dei suoi titoli provengono dagli scritti di Meister Eckhart. Per questo filosofo l’Uno è al di sopra di tutte le cose. L’essere umano non può comprendere finché usa il giudizio, la memoria, i sensi e finché si serve di immagini di enti determinati, che sono finiti, mentre Dio è immediato. Il mare, in questo contesto, assume il valore di limite conoscitivo: liquido amniotico dal quale non è possibile uscire per vedere com’è realmente il mondo.
Il tuffo del nuotatore (La zambullida (Il tuffo), 2004, tecnica mista su acetato) è immortalato attraverso una sequenza di impatti del corpo nell’acqua. Questa volta non è l’essenza, l’oggetto della ricerca, quanto piuttosto il tempo, il medesimo che si snoda uguale e diverso. Alla mente ritornano le parole di Eraclito: <<noi scendiamo e non scendiamo nello stesso fiume, noi stessi siamo e non siamo>>. Mobilità e cambiamento sono i principi su cui si basa il cosmo, perché dimenticarlo? Per essere ciò che siamo ora, dobbiamo non essere ciò che eravamo un istante fa. Ecco che allora la splendida fissità dell’immagine di Anna Miquel, sebbene i pigmenti dell’acqua, del cielo, della terra siano sgranati da striature provocate dai moti delle sostanze stesse, riposa su un dinamismo prima di tutto mentale, giacché l’artista catalana è alla ricerca di quell’Uno che è all’origine di tutte le cose.
Nell’opera En el rompiente (Sul surf, 2000, tecnica mista su tela) lo spazio è suddiviso in rettangoli, porzioni di spazio psicologico che incasellano sagome di pesci o loro ombre: indistinte, ovattate, già fossili. Se guardando si avverte la sospensione del senso dell’udito, si configura, di conseguenza, quell’assoluto che paradossalmente accompagna il silenzio. Ma il quadro introduce anche al prelievo da una tradizione filtrata e fatta propria fino allo spasimo. Ora è il Matisse di Oceania che s’ammaglia all’opera di Miquel come in una visione differita. Il dialogo tra antico e contemporaneo compare anche come titolo di una sua opera, in cui il passaggio cronologico è affidato al colore, il quale, stratificato e scuro, si stempera, in altri riquadri, in trasparenze e velature. Quasi sempre, nei quadri che hanno tema marino, compare la barca, memoria delle origini geografiche dell’artista (Cadaqués). Tale serie, a tratti, sembra cercare un raccordo con le immagini di Escher, con quei pesci allineati e alienati in un mare limitato e ripetitivo, opera del 2012.
Per la mostra La memoria del mar, l’artista ha lavorato su vari supporti. Alcuni assorbenti e opachi come il cartone, la carta artigianale e la tela, ed altri trasparenti, brillanti come l’acetato o l’acrilico; ha adottato una vernice a base di cemento per simulare la texture della sabbia o della roccia, che le ha consentito di ottenere nello stesso quadro effetti incompatibili. Questa maniera di procedere, di procurare brusche alterazioni sulla superficie del supporto, le serve per indicare le onde, i venti, le tempeste o i vortici del mare. In effetti, le figure sono simboli nei lavori di Anna Miquel ed è significativo che il trattamento delle materie sia particolarmente insistito: il tentativo dialogico tra esseri umani e natura, se termina con uno scacco, è al contempo tutto quello che di più certo esiste.
Nella serie che ritrae una barca senza motore che procede nell’oscurità, il nero dello sfondo è assoluto, mentre le onde conservano una parvenza di luminosità. La barca è ritratta in varie posizioni, mentre il mare si apre con inaspettate geometrie triangolari. Nella serie di sei pezzi Mares de residuos y un cielo encendido (Mare di residui e un cielo incendiato, 2010), il cielo rosseggia in una prospettiva di triangoli che il mare in diagonale sostiene. La barca, intanto, s’intravede, ma, nelle intemperie, conserva un che di indeclinabile. Concetto ripreso nei 27 pezzi della serie intitolata Tormenta corrosiva; lluvia ácida (Tormenta corrosiva; pioggia acida, 2009, tecnica mista su acetato) dove la barca è preda degli elementi ingovernabili e dei colori aciduli. L’aspetto evocato dalle piogge acide fa il paio con il titolo Cuerpos evanescente en un mar de petróleo (Corpi evanescenti in un mare di petrolio, 2008, tecnica mista sopra acetato) a indicare la sensibilità dell’artista verso i temi economici, sociali e di salvaguardia dell’ambiente. I pigmenti brillanti e trasparenti appaiono oscurati dalla sovrapposizione di un pigmento nero. Ma oramai si è già compreso che non si tratta di un dialogo tra ombra e luce, quanto di quello tra creazione e distruzione.
La luce, presa nel suo aspetto metaforico, è un tema fondamentale per Anna Miquel. Una sezione del catalogo riporta in esergo un frase di Octavio Paz: <<Molta luce è come molta ombra, non ti fa vedere>> e alcuni quadri esemplificano in maniera suggestiva l’abbacinante mobilità della visione, non solo quando il paesaggio è troppo illuminato, poiché anche alla luce del crepuscolo, le cose appaiono incerte, informi. I sei splendidi pezzi che compongono l’opera Barquitos de papel y luz de crepúscolo (Barchette di carta e luce del crepuscolo, 2011) mostrano le metamorfosi del sole nella mente, le nebbie oscure di un’impossibile conoscenza. L’indefinitezza delle forme, soprattutto degli elementi naturali più che degli oggetti, è funzione diretta di quel movimento inesausto di cui parlavo all’inizio. Qui si misura tutta la distanza tra le parole mare, cielo, sole, acqua, in relazione all’astrattezza del concetto, e la meravigliosa potenza dell’immagine che tratteggia più che l’ambiguità dei significati, quella delle forme. Ma vorrei anche sottolineare che il gusto delle opere in serie viene a Anna Miquel dal suo interesse per il cinema di animazione, di cui è stata prolifica realizzatrice. Nel’opera A J.M.W. Turner del 2012, ad esempio, l’artista catalana utilizza i riquadri, (una serie interna all’opera) dove la molteplicità si lega all’unità visivamente. Non tutto può essere espresso con le parole.
Rosa Pierno
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