Presentati alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, i tre manoscritti realizzati da Giulia Napoleone, con tre diverse tecniche, acquarello, inchiostro, pastello, (pretesto per un ciclo di tre d’incontri coordinato da Nunzia Fatone), sono nati di volta in volta dall’incontro di Giulia con le parole di tre poeti, Tito Balestra, Rosa Pierno e Luigia Sorrentino. I tre manoscritti mettono in evidenza il suo interesse per la supposta vicinanza tra testo e immagine, quando innescata da un’equivalenza di forze che apra alla concordanza dei due mezzi espressivi. Non, di conseguenza, un’illustrazione del testo, ma una corrispondenza tra intimi rimandi, tra associazioni più ampie, le quali sono in grado di far risuonare in armonia le diverse specificità delle arti coinvolte.
Napoleone ha tratto tre poesie dal libro antologico di Tito Balestra Se hai una montagna di neve tienila all’ombra, Garzanti, 1979, e precisamente: Una voragine il tempo, Mio nonno Eusebio, La via Emilia, realizzando un manoscritto con tavole ad acquarello su carta Esportazione, Fabriano (30 x 20 cm.). Sebbene siano molto diverse tra di loro per i temi trattati, Giulia ha scelto le tre poesie di Balestra, pensando alle sensazioni astratte e raggelate, quasi avvolte in un distanza emotiva, che non abbatte però un sentire di estrema sensibilità; atmosfera che, d’altronde, si effonde da tutto il libro antologico di Tito Balestra e che per l’artista pesarese risulta un’efficace fucina. Tale condivisione, tutta interna a un modo di osservare le cose come attraverso una diafana lente, testimonia, invero, di uno strabiliante trait d’union esistente fra il poeta e l’artista.
Dal tempo, dai piantati olmi e ciliegi a centinaia, dai dettagli disseminati sulla via Emilia (riverberi di vetri, ombre, colline e galline, un velo di nafta, orti con insalata), Giulia Napoleone sa trarre immagini di stillanti traiettorie, di tragitti lucidissimi che diradano la foschia albuminosa delle nebbie; sa far coagulare configurazioni nettissime dal caos degli elementi, ove pure si avverte il formicolio dei moti umani, osservati a leghe di distanza, mentre il tempo scorre depositando i suoi pulviscoli e le sue grumosità. La tecnica dell’acquarello le consente di distinguere ogni luminosissima stilla, ogni rifrangenza del colore, in una ricchezza che non si risolve nemmeno in uno sguardo che si voglia totalizzante. Splendido libro in cui le due sensibilità artistiche, di Napoleone e di Balestra, si uniscono senza residui.
Come tutti i manoscritti di Giulia Napoleone, anche Icaro (su carta Duchène, 34 x25 cm.), costruito intorno a una poesia di Rosa Pierno, è un antro delle meraviglie: un tesoro si svela al nostro sguardo e ciò accade fin dalla copertina, che, realizzata con l’antica tecnica della marmorizzazione, presenta meandri, rigagnoli e fratture, vuoti e sacche di un materiale plasmatico, aventi forme pensate dall’inchiostro stesso. Non è che l’incipit del rapimento dello sguardo, sorta di sireneo avviso che ci mette in guarda dal totale ammaliamento di cui saremo preda addentrandoci nelle pagine del libro. La poesia Icaro, nata dall’interesse per il vocabolario astronomico del Cinquecento, descrive il volo e la caduta del mitologico sognatore di spazi iperurani, i quali sono magistralmente resi in senso iconico dalla Napoleone.
Il primo pastello, Ascesa, tratteggia un disporsi ordinato del cosmo, allineato all’umano disegno di Icaro di volersi uomo privo di limiti fisici (fosse puro con l’ausilio di ali realizzate con piume e cera d’api). Il manoscritto è una conflagrazione di punti di luce e di costellazioni, colta da uno sguardo che s’allinea col veduto, mentre sullo sfondo rotea una galassia fitta di lucori e di ombre oscure. Volo, il secondo pastello, scorge figure all’interno della caotica disposizione delle stelle. Una serpentina, un cerchio valgono, in questo caso, come proiezione esclusivamente umana, che da sola sancisce il proprio ruolo nell’universo. Il terzo pastello, Caduta, vede le stelle configurarsi in un allineamento verticale, la cui base e la cui sommità sono tagliate dal bordo della carta. Protagonista assoluto, in codesta tavola, sullo sfondo di un folto tappeto di luminarie e di energia oscura, è il destino di un uomo che si è spinto, di fatto, con la sua immaginazione, a vertiginose altezze.
Il terzo manoscritto (su carta Roma, Fabriano, 24 x 24 cm.) si ispira alla poesia di Luigia Sorrentino Début et fin / Inizio e fine, tratta da Début et fin, edizioni Al Manar, Francia, 2018. Contenente temi assai cari alla Napoleone, quali quelli veicolati dalla coppia inizio e fine, la quale ha il potere di unire diversi insiemi semantici (morte e nascita, silenzio e parola, certezza e incertezza), la poesia della Sorrentino tira a sé le fila di contraddizioni irrisolvibili e il manoscritto assume questa volta i caratteri dialettici del bianco e del nero. I molteplici sensi che scaturiscono da queste coppie dialettiche attraggono nel loro insieme cose differenti, ma condividenti una luminosa pulsione attrattiva.
Una costellazione di significati, i quali, a tratti, nuovamente separati dal buio della nostra mancata conoscenza dei meccanismi fisici e mentali, con un cosmo rappresentato da un tratteggio minutissimo, che dichiara la mai sopita umana disposizione alla conoscenza e, ogni volta, il suo inevitabile scacco assieme all’incentivo di un nuovo inizio, si dipanano nel disegno in una spirale continua, ove il moto generale degli eventi e degli elementi è preso in innumerevoli spire. Il manoscritto è realizzato con pennino e inchiostro di china. Il nero assorbente e profondo, formato dall’intrusione dell’inchiostro nella carta, acquista una dimensione morbida e lo sguardo vi si perde come in una foresta che si richiuda su se stessa o come in una notte profondissima e buia.
Rosa Pierno
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