lunedì 4 ottobre 2021

Marco Furia su “Le forme dell’aria” di Marco Ercolani (Gattomerlino, Roma, 2021)

 



Un’apocrifa ricerca


“Le forme dell’aria” è una raccolta di testi apocrifi in cui Marco Ercolani si accosta alle vite di celebri artisti.

Ho usato il verbo “accostarsi” perché – l’autore ne è ben conscio – la perfetta identificazione non è possibile: siamo di fronte a un attento, sensibilissimo, avvicinamento in cui il personaggio viene, in qualche modo, reiventato.

I dati storici e biografici non sono ignorati, ma quello che qui soprattutto interessa è l’approccio all’opera d’arte e al mondo.

S’instaura, così, una sorta di dialogo riguardante pensieri, lineamenti emotivi e sentimenti che, in quanto tali, potrebbero appartenere non soltanto a celebri artisti: un’elegante e assidua valenza evocativa attraversa questi scritti poiché l’autore sa di trattare argomenti originali ma non estranei, a priori, a chi legge.

Non a caso si parla di “taccuini, lettere, confessioni”, ossia di scritture familiari a molti, per non dire a tutti.

Cito due brani dai “Fogli di diario di Paul Cézanne intorno ai suoi schizzi per la montagna Sainte-Victoire”:


“Mi lascio abitare da quello che vedo. Vedere è fondamentale”


e


“Vedere attraverso la Sainte-Victoire era il mio scopo. Vedere di più. Mi servivo del profilo di un monte per capire il segreto del mio guardare. A volte, osservandola armoniosa come una cattedrale, mi stupivo che la sua morbida bellezza non venisse da un progetto divino ma da casuali assestamenti della crosta terrestre”.


Chi non si è mai soffermato sull’importanza del vedere?

Non a caso, il cieco nelle rappresentazioni teatrali è di solito figura tragica.

Qui si dice “Mi lascio abitare da quello che vedo”, cioè non mi oppongo al mondo come soggetto separato, preferisco lasciarmi coinvolgere, partecipando senza essere annullato.

Più avanti si afferma come osservare intensamente la montagna-mondo possa aiutare a “capire il segreto del […] guardare”.

O meglio, ancora ad avvicinarsi a tale segreto senza svelarlo, descrivendolo in maniera sempre più consapevole.

Del resto, scrive nelle sue “Pagine di taccuino” Giacometti-Ercolani:


“Il mio sogno è disegnare una folla, tutta con un solo tratto, febbrile, concitato, fremente, come una macchia irta e grigia, e da quella, come per miracolo, emerge raggiungibile e reale, il vero volto. E qui ricominciare. Ricominciare di nuovo”.


Non ha fine una ricerca che riguarda l’uomo, il suo ambiente, la sua cultura: si tratta, in ogni modo di ricominciare.

Uno scopo, tuttavia non manca: è quello di rendere evidente come si possa esplorare, sapendosi avventurare tra le pieghe di altrui vite, territori esistenziali ignoti o poco conosciuti che, comunque, riguardano tutti.

Siamo forse anche apocrifi di noi stessi?

Al nostro autore l’ardua risposta.



                                                                                                              Marco Furia


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