Il poemetto di Gio Ferri, L’appartamento, editrice L’Aquilone, 1975, presenta una versificazione battente, quasi evocante lo spazio claustrofobico dell’appartamento nel quale si muove un autore irretito da tutto ciò che la connotazione negativa dello spazio abitativo borghese trascina con sé. Ferri, però, antepone al suo testo la seguente citazione tratta da “Storia della civiltà borghese” di Eros Borgesman: <<... ne consegue che l’uomo borghese, grande o piccolo che sia, considera la propria casa il tempio del sano individualismo, della tranquilla coscienza e delle rimembranze, il luogo eletto dei sereni affetti, della continuità familiare e umana, insomma, del consorzio civile>>. Ciò fa sì che l’attenzione sia diretta non tanto verso la contrapposizione tra stato borghese e stato rivoluzionario, quanto verso la necessità di uno scandaglio dello stato umano in generale, pur se permane in sottofondo la relazione con la condizione occidentale e contemporanea. Intanto, l’estrattore in grado di polarizzare tutte le evenienze negative che il contenitore abitativo può elargire sembra essere l’età avanzata, stato naturale, ma anche stato culturale. Che le stanze siano quelle poetiche, tanto per rafforzare il legame diretto tra esistenza e cultura, o quelle delle meraviglie, quei gabinetti delle curiosità, che potevano esibire qualsiasi cosa, di fatto pare che ciò che queste stanze proprio non contengono sia la giovinezza, la quale si trova citata sempre alla fine di ogni sezione (la camera da letto, il bagno, il salotto, la cucina, il ripostiglio) come un altrove: “ – apri! apri! – nelle strade affollate e vere fanciulle / vive canzoni d’amore e rivolta”.
L’infelicità misurata sugli umori e le deficienze del corpo definisce l’appartamento come un sudario: se da un lato la casa contiene ricordi, abitudini, reminiscenze familiari, rimembranze affettuose, dall’altro lato, è la macchina che stringe le sue pareti sul corpo, vero e proprio meccanismo mortale. A tal cagione, le speranze giovanili, ancora vagheggiate e desiderate, non influiscono sulla lucida visione del poeta, il quale registra meticolosamente il computo delle evenienze fisiologiche; esse costituiscono l’altro estremo della corda, che dà modo a Gio Ferri di fissare la misura rispetto alla quale far tracimare l’orrore. Il linguaggio poetico, cesellato all’uopo, utilizza un materiale lessicale duro, che ha il suono di un ferraglia al piede. È nota la proteiforme e poliedrica capacità poetica di Ferri, il quale, negli splendidi volumi appartenenti alla serie de L’assassinio del poeta, utilizza innumerevoli procedimenti poetici, che si spandono come all’apertura dell’otre di Eolo, mostrando l’intero armamentario delle forme poetiche. Utilizzate tutte, anche le più stridenti. La seriazione sinominica presente ne L’appartamento è, secondo Giorgio Bàrberi Squarotti che ha redatto la presentazione, “ricerca della maggiore quantità verbale nella direzione delle indicazioni del disgustoso, dell’osceno, del volgare del degradato, del repellente, ottenute per via fonosimbolica, piuttosto che come variazione effettivamente semantica”.
Va in ogni caso precisato che la complessità semantica del poemetto, imbastita su elementi contrapposti, è desumibile anche dalla contrapposizione dei tempi. Il viaggio nelle stanze – e in fondo anche l’età che avanza è un viaggio da affrontare e da sperimentare in tappe – non è un percorso che si affronti senza le valigie della memoria. Cosicché presente e passato appaiono inestricabili, assieme all’inevitabile futuro. Se la precisione lessicale è declinata senza pietà, congegnando il ritratto di un’esperienza disillusa, oramai priva dei piaceri della gioventù, ciò nonostante, il testo poetico mostra attaccamento e affetto anche verso la fase avanzata della vita. Forse leggere il poemetto al di fuori della logica oppositiva, tutta ideologica e politica degli anni nei quali fu scritto, può consentire una lettura meno rigida e maggiormente sfaccettata di questo breve capolavoro. Più che una critica alla società borghese, con L’appartamento, Ferri sembra voler entrare nella definizione edulcorata offerta in esergo solo al fine di mostrare l’estensione che invece si nasconde nelle sue pieghe. Non si sta parlando, naturalmente, di un maggior realismo, ma di una restituzione articolata. A tal riguardo, la critica di Ferri va, dunque, a colpire qualcosa che travalica la categoria sociale o politica e colpisce l’intero sistema culturale, quando si configuri tramite un’appiattita e supina aggettivazione: sano, tranquillo, sereno, per una cosa immonda come la vecchiaia. Dalla quale comunque non ci si separerebbe, poiché è ancora vita. La contrapposizione viene fatta valere contro ciò che è consueto, abitudinario; dunque contro ciò che viene accettato acriticamente: qualsiasi categoria è insufficiente, quando si parla della condizione umana. E ciò riguarda anche la storia, il progresso, l’utopia, quando presentino una sola faccia, in maniera manichea. D’altronde, l’autore dell’opera, dalla quale sarebbe stata tratta la citazione in esergo non esiste. Eros Borgesman si appalesa come personaggio inventato da Gio Ferri che sembra far saltare la distanza tra gli estremi come se si trattasse di un elastico, riportando tutto al centro, nella matassa inestricabile dell’esistenza, da cui la poesia certamente non si fa abbindolare, né guidare.
Rosa Pierno
La camera da letto
Floreali agglutinamenti abortivi irripetibili se il sole
non traspare grumi di capelli
il pettine di plastica e il sorriso di un colore acroma-
tico si riprende
nei tlaspi grappolosi di maculose bizzarrie intonaci
rigonfianti tappezzerie parigine
ab immemorabili aberrazioni luminose in giornate ali-
turgiche e uliginose
sur son lit Laforgue est seul prosté come en sa
sépolture
certo! chi nega l’ambivalenza dei rimpianti?
e i segni
delle lusinghe avviluppate
nelle sbarre contorte del dorsale e consumati i fili elet-
trici serpentini
voltarsi e rivoltarsi sul materasso verrucoso - suvvia
Tecuciztecati gettati nel fuoco!
transumare da un capo all’altro sperperata titanoma-
chia in glutei avviliti
tauromachia meschina svigoriti poteri dell’orgasmo
tra le gambe odorose
superpremiati supermarketalchi allarmato dai riflessi
allusivi
dello specchio ossidato il muso grufolante alghe im-
poverite dai semi dispersi
necrofili innocenti sottoinsù la mano tesa e stanca al-
la ricerca
di capezzoli remoti e dilatati come agorai di primor-
diali crateri
che acconcio sia disporre con sagace arte un cuscino
è l’insegnamento di Ovidio
povero unicorno com’era felice alzando bramosamente-
te i sensi di Venus
golose esplorazione tra desolate montagne sacre spae-
sati avvallamenti
insoddisfatte sbavature e mugolii tra piccole e grandi
labbra
inesauste voragini dove tutto si sperde nella infedeltà
della morte
rigidità insperate glorificate rivolte ingiurie sangui-
amanti vincidi coiti
putrefazione passiva degli infimi strati della società
— il << Manifesto >>
aristocratiche contumacie piccoloborghesi / sottobe
stialproletarie
sono le ore passate frugando cassetti vuoti aperti al-
l’inesistenza
revival di scadenze trascurate intorbidite dalle me-
morie distratte
a rincorrere i tarlati architravi faraonici degli armadi
smisurati
a vanificare — terattologiche elucubrazioni — l’auten-
ticità delle storie
cogliendo l’esoterica accezione delle depravazioni im-
potenti
quando tutti sanno — i sessi fuori
non sono mostri — e gruppi di fanciulle i volti lisci
e fieri dei loro fianchi scattanti.
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