Ida Travi ci affida il settimo libro della narrazione dei Tolki, i parlanti, dopo che il sesto libro è andato perduto, il che è sintomo della precarietà della cultura in quanto prodotto umano. E pone l’accento sul tempo presente, definito come tappa verso qualcosa. Tuttavia, molte cose restano indeterminate, non essendo visibili nell’immediatezza. Scrivere appare come il mezzo per fissare e vedere-attraverso. Ciò che si vede è che l’identità si innerva nella scrittura e, viceversa, la scrittura si consegna all’identità. L’identità è scritta oppure non è. Ma quando si rilegge, si comprende che ci sono lacune e non detti; appena indicazioni, non certezze.
La famiglia appartenente alla genìa dei Tolki si situa non esattamente su un piano compiuto d’immanenza; piuttosto si trova sospesa tra un piano profetico e un perduto passato, fra un presente indefinito e un luminoso avvenire. Ogni cosa, a ben guardare, è ancora da compiersi e per il momento si vive accampati nei pressi di una pompa di benzina, senza documenti. Leggendo, diviene sempre più chiaro che la precarietà in questa vita è da assumersi come precarietà dell’identità alla quale la scrittura può solo prestare un eco. Tra sacrificio e salvezza si apre un ventaglio di piani intermedi fra i quali gestire qualcosa da cui forse sarebbe meglio astenersi. Ci sono voci che indicano la via, ma nessun segno è tracciato sulla terra. E si dubita persino del fatto che le voci che si sentono risuonare provengano dalla propria interiorità oppure se, esterne, giungano dal passato. “La terra è straniera”, ma sulla terra si può vivere come in un sogno. Senza barriere o confini. Posizionandosi tra livelli mentali e materiali, resi tutti concretissimi dalla scrittura, Ida Travi vivifica una rilettura delle pagine testamentarie (antiche e nuove); le innesta in un’ulteriore identità scritturale, la quale disegna una mappa priva di indicazioni e tuttavia mappa.
(devi inginocchiarti)
Devi inginocchiarti, fare la richiesta
-per carità fatemi uscire da qui-
la terra è straniera
la luce è così pallida…
-come una schiava, come una regina-
l’ombra passa velocemente
canticchia velocemente
darebbe il pane se ne avesse
darebbe il nome se ne avesse
e invece…
Siamo in terra, Olin, ripeti con me
siamo riuniti su questa terra.
(io contemplavo la tua faccia)
Io contemplavo la tua faccia, Olin
lassù, nella volta stellare
era una cosa mai vista
qui sulla terra, in terra
erano cinque strisce
erano cinque vipere rosse
erano tutte ardenti, luminose
E quando aprirai la porta
- quale porta?-
quando aprirai la porta
entrerai come il messia
Io dirò la preghiera, Olin
dirò tutta la storia
al tuo orecchio solitario, antico.
( sulla faccia della terra )
Vanno sulla faccia della terra
su per i monti, giù per i crateri
e noi qui, a fare cosa?
Era l’inverno numero uno
tu sei arrivato solo
e noi abbiamo detto – va bene, resta
ma niente guai, niente baccano qui
Siamo gente di neve noi, siamo bianchi
come una volta, non è stato sia facile
addomesticare il cane
- chiedi a Marìe -
Marìe ama la famiglia del secolo
Marìe ama la famiglia di questo secolo.
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