giovedì 10 settembre 2020

Marco Furia su “Retrostanze” di Bruno Conte


Orecchio-conchiglia, conchiglia-orecchio


La presente nota al raffinato “Retrostanze” di Bruno Conte riguarda soltanto, per decisione da me presa già alla primissima lettura, l’immagine e il testo di cui alle pagine 44/45.

Una figura umana, costruita con tratti propri d’una calligrafia, conduce, assottigliandosi, a un conciso testo che cito per intero


L’orecchio alla conchiglia


sente la voce confusa del mare


La conchiglia all’orecchio


sente la voce di un angusto fiume


espulso dal mare


corpo chiuso in viva notte


La sequenza poetica è chiara, precisa: i primi due versi invitano, riferendosi alla fanciullesca esperienza di ascoltare “la voce confusa del mare” avvicinando “L’orecchio alla conchiglia”, a entrare in un breve componimento ricco d’enigmatica attrattiva.

Spetta a “La conchiglia all’orecchio” ribaltare la pronuncia iniziale, anche se il verbo “sente” dovrebbe pur sempre riferirsi all’organo uditivo umano.

Viene da chiedersi: orecchio e conchiglia sono tutt’uno?

Sembrerebbe di sì, anche se non si annullano ovvie differenze.

È la sensazione a essere unica: questo importa.

A Conte non interessa individuare dissomiglianze in ciò che è unito, poiché per lui conta soprattutto l’avvenimento.

Certi parametri possono riguardare discipline scientifiche o propensioni meramente descrittive, non la sua poesia: una poesia per nulla asservita ad altri linguaggi e, proprio per questo, ricca di profondo senso.

L’autore introduce poi, con apparente noncurante immediatezza, “un angusto fiume/espulso dal mare” tendendo a coinvolgerci, così, in ulteriori percorsi idiomatici inediti.

Il Nostro ha fatto le sue scelte e le propone con sincera chiarezza senza nulla imporre.

Quanto poi a quel “corpo chiuso in viva notte” (forse allusione all’esile figura di pagina 44), non si può ignorare un senso di misteriosa (repentina) apertura rivolta a un lettore che, a questo punto, non dovrebbe avere più necessità di altrui parole.

Non a caso, buona metà della pagina è bianca.

Riempiremo quello spazio?

Saremo in grado di farlo?

Vorremo farlo?

Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità: l’autore ha fatto la sua parte, ora tocca a noi.

A noi quali lettori un po’ poeti, testimoni, a nostra volta, di una differenza che è anche, nello stesso tempo affinità: ci viene indicata una strada che riconosciamo tale nello stesso atto del percorrerla?

Penso proprio che Bruno sarebbe soddisfatto di una risposta positiva a simile domanda.


                                                                                                    Marco Furia



Bruno Conte, “Retrostanze”, Galleria nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, SilvanaEditoriale, Cinisello Balsamo (MI), 2020, pp. 85, s.i.p.

   



 

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