giovedì 5 marzo 2020

Marco Ercolani “Galassie parallele. Storie di artisti fuori norma” Il canneto editore, 2019




Nell’interessantissima perlustrazione compiuta da Marco Ercolani con il suo “Galassie parallele. Storie di artisti fuori norma” Il canneto editore, 2019, viene affrontato il tema della follia nell’arte per verificare se la sua presenza sia una costante. L’autore isola immediatamente il fulcro della questione, partendo dalla considerazione che “Una <> rende impossibile qualsiasi forma di arte perché uno stato di benessere è inerzia = da iners, non-arte. L’inquietudine è necessaria, come motore dell’ars, ma un eccesso di inquietudine, una <>, procura un dolore psichico che rende la vita invivibile e porta a fallimento qualsiasi espressione artistica”. Tuttavia, in moltissimi artisti si riscontrano psicosi e ossessioni. Quindi occorre anche affrontare il problema della follia in artisti che sono stati internati (Walter, Nietzsche, Campana, solo per citarne alcuni).
Con questa lucidissima bussola, Ercolani specifica che uscire dalla ragione, anche se solo temporaneamente, diversamente dallo psicopatico che non può più rientrarvi, è una soglia non superabile. Lo psichiatra genovese pare, pertanto, fissare un limite rispetto a coloro la cui alterazione emotiva è tale per cui o accettano se stessi e obliano il mondo o accettano il mondo annientando se stessi. Ma anche detta così, tale definizione non ritaglia un’area precisa di comportamenti. Per mostrarci che cosa sia l’arte e che cosa sia la follia, giustamente Ercolani, psichiatra e poeta, verifica le mille forme artistiche in cui la promiscuità sembra contribuire alla definizione di entrambe le caselle, ma sottolinea sempre che la forma artistica obbedisce a una volontà che ha nella forma la sua ultima parola. È proprio su tale versante, infatti, che le produzioni degli psicotici scivolano, uscendo dall’arte.

Ciò detto, resta che follia e malattia non sono definibili in modo scientifico, univoco e pertanto restano ampie chiazze di condivisione, zone di confine incerte e sovrapposte,  incursioni in terreni adiacenti e per tal cagione Ercolani si rende sempre meno sensibile ai due insiemi separati e maggiormente aperto verso le  concimazioni eterogenee. Ne sia testimonianza la definizione di “artisti fuori norma”. Ora è pur vero che gli artisti per definizione perlustrano territori non abitudinari, danno spazio a percezioni, fantasie, pensieri che assediano la loro esistenza, e che l’arte è una magnifica ossessione. Si dovrà perciò comprendere la difficoltà di tenere le briglie di due cavalli non legati fra di loro nell’analisi compiuta da Ercolani. Già Gianfranco Bruno con la sua mostra “La ricerca dell’identità” del 1974 al Palazzo Reale di Milano aveva introdotto nello spazio museale l’arte arcaica, l’arte infantile e l’arte di persone mentalmente instabili, ma Ercolani compie un ulteriore passo su questo spinosissimo terreno. Mentre Bruno, infatti, includeva le opere degli esclusi dalla società nelle sale di un museo, Ercolani ci aiuta a percorrere e a decifrare le distanze tra le espressioni del folle e le espressioni dell’artista.

D’altra parte, è proprio sul confine tra insiemi eterogenei che sembra abbattersi la distinzione fra diversi e, al tempo stesso, che si riesce a percepire ciò che è al di là dello steccato. Ercolani si posizionerà, nel perlustrare le produzioni degli artisti e degli psicotici, nelle due differenti prospettive. Certe incursioni nella follia come quelle caldeggiate da Nietzsche, il quale vede nella follia uno stato da ‘volere’ per penetrare nei “Regni dell’Irreale” coincide con l’esperienza di John Perceval il quale afferma che non avrebbe potuto ritrovare la salute con una condotta sana. Anche qui, pare che il discrimine sia nella capacità di entrare nel dominio opposto, ma la follia o lo stato di salute mentale non sono questione di volontà. Se “Il matto non gioca mai”, “l’artista gioca sempre”. Il matto sprofonda “irreversibilmente nelle proprie immagini psichiche”, la sua è una “follia senza ritorno”. 

La guarigione è definibile come  l’interregno nel quale lo psicotico riesce a trascrivere e non è più sotto dettato impulsivo: non subisce più le proprie allucinazioni. Ma finché ne è afflitto, diversamente dall’artista che “procede per tentativi ed errori, consapevole di sé e dei suoi strumenti”, e del fatto che “lo scopo del suo lavoro ha un preciso significato nella realtà”, l’artista psicotico “non cerca un pubblico e i suoi modi espressivi non mutano più”. Siamo forse vicinissimi all’osso della questione. Ercolani assomma le metafore che comunque legano le due modalità esistenziali e questo dà la misura di una certa aria di famiglia che comunque, sebbene a un diverso livello, lega di fatto le due esperienze. Far conoscere la numerosità e la profondità dell’insieme delle metafore comuni è il punto di forza di questo originale lavoro, senza peraltro che sia mai dimenticato che “Il folle parla sempre ed esclusivamente del suo dolore. L’artista, invece, non parla mai solo di sé”. Ciò che, alla fin dei conti, è importante è che l’artista, sebbene si muova dal suo dolore, sia capace di rendere la sua espressione una comunicazione universale. 

Marco Ercolani compie la sua analisi attraversando i vari generi espressivi: nella sua enciclopedia delle intersezioni, oltre che delle zone di confine, passa in rassegna la pittura, la scrittura, la scultura, l’architettura, la musica, ma riporta anche le testimonianze teatrali e cinematografiche che hanno voluto raccontare/ricordare le opere dei folli. Il suo alfine è paragonabile al viaggio di Ulisse negli Inferi: l’arte appare come “un’ombra” o “un sogno”, impossibile da afferrare, impossibile abbracciare i suoi incerti confini.


Rosa Pierno

1 commento:

Ilaria ha detto...

L'intelligenza dei poeti, diceva Valery, si dà in un ordine insensato, nasce da una capacità più alta di conciliare il paradosso dell'essere. Marco Ercolani lavora da sempre in questo senso, conciliare la complessità dell'animo umano con la capacità del fare poetico, mai scegliendo la comoda strada delle etichette, della sbrigativa definizione o dell'aneddoto pruriginoso e biografico, sempre accogliendo e comprendendo invece, la sfida che da sempre pone il Poeta, la sua "oscura provenienza" e ciò che d'ignoto porta e lo anima.
In tanti siamo grati a Marco.
Ilaria