lunedì 3 giugno 2019

Federico Palerma. Flussi, in mostra presso lo spazio Hyunnart, Roma


Un fiotto vischioso, con grumi materici, un pigmento che rimane appiccicato addosso. È un colore che ha a che fare con il corpo. Una materia densa che dà l’impressione di essere la traccia di impronte interiori del corpo o, meglio, di manifestazioni dello spirito. L’irruenza del flusso ci fa venire in mente un’interiorità esteriorizzata, l’inconosciuto che sgorga e il contemporaneo desiderio di fissare qualcosa di tale emissione. Di stampigliarlo sulla carta: essa è una pelle senza curvature, adatta a contenere su un solo piano tutto il visibile. Un emisfero mappato alla perfezione, con la sua storia, le sue ascensioni e cadute e i suoi cicli (Ascesa, olio su carta, 2018). Il gesto espressivo è divenuto, in Federico Palerma, un esperimento condotto per studiare il colore nella luce. Le sue opere sembrano l’immaginazione di un evento esplosivo. Pensare alle immagini gassose interstellari, immaginare che cosa avviene nel colore, quando la luce esplode, ha anche a che fare con l’equivalersi dei fenomeni. Il macrocosmo e il microcosmo, il materiale e l’immateriale giocano la medesima parte sulla scena approntata dall’artista (Il segreto del viola, olio su carta, 2018).

Nell’equivalenza, la permutazione è un elemento essenziale: getti più fermi, stabili, campionano accensioni cromatiche che ci rammentano fiori (Dal cielo, olio su carta, 2019), o vegetazioni lussureggianti, violente nei loro risvolti cromatici. Vedere è sentire. E una personalità eminentemente emotiva, come quella di Federico Palerma, recepisce con una sollecitazione vibrantissima. Colore diviene così moto perenne, passaggio continuo tra toni, forza in movimento squassante (Lussuria, olio su carta, 2011). Il colore consente di uscire dalla realtà ed entrare in sé. Vedere con il cuore è un vedere alterato, fantasmaticamente irreale, ma quanto più vicino alla propria ipseità. La ricchezza cromatica altera pur anche le forme, le accenna o le stravolge, le tiene ferme quel tanto che basta a farci riconoscere la natura nella quale si è immersi, per sottrarla un istante dopo e catapultarci in un luogo irreale (Medusa, olio su carta, 2018). Nulla che pertenga alla sfera onirica, ma esclusivamente a quella immaginativa: siamo nel cuore pulsante della visione, nell’occhio del creatore. Non esattamente nel cuore espressivo, dunque, giacché non vi è niente da esprimere, ma tutto da formulare. In codeste opere, le pulsioni non sono elementari, non articolano le lettere di un alfabeto ancora da utilizzare, ma delineano con chiarezza lo spartiacque fra realtà e arte. Il regno dell’artificio, in quanto espressione di sé, è fatto rosolare ben benino sul fuoco volitivo della produzione artistica.

Lo si comprende meglio osservando le opere in tecnica mista, a partire da Fra la forma, 2016, nella quale lo spazio è preso al laccio, ammagliato nella rete che lo rende visibile. Ha qualcosa delle opere xilografiche sull’Apocalisse di Dürer; sullo sfondo potremmo indovinare la morte a cavallo, mentre potremmo riconoscere, al contempo, omini fra le arcate di rinnovate carceri piranesiane. Il gesto, che ha ramificato lo spazio con corde e grovigli, non indica alcunché senza imbrigliarlo, senza incatenarlo alla storia dell’arte. Nell’opera Manifestazione del danzatore, 2010, la quale fa parte di una serie di disegni realizzati osservando un intero corpo di ballo, il gesto impulsivo, prodotto sotto l’effetto sinestetico uditivo e visivo, costruisce la struttura filiforme sulla quale sono disposte anche piccole larve figurali, mani, faccine, arti. Anche Corpo fatto di danza, 2012-2017, mostra uno sviluppo del disegno realizzato per strati pigmentali, segnici e figurali, ove ogni aggiunta è una specificazione che aumenta il caos. Il complesso sistema dei segni-arteria è splendidamente visibile in Danzando con Piera, 2017. Lo stesso Palerma precisa che si tratta per lui di riprendere la sorgente interiore del gesto, re-incarnandolo attraverso il colore.

Nello splendido, Cupola, 2016, le direttrici che attraversano il disegno, sfondano in altezza i bordi della carta, innalzando una struttura architettonica illuminata dal sole. Tuttavia, nel coacervo di segni neri appare una bestia, mentre in lontananza, sembra di vedere un uomo benedicente. Ciò testimonia che tali architetture sono in realtà concrezioni, organismi che si formano e si disfano, consentendo di leggere i corpi in movimento. Anche nei due disegni, entrambi intitolati Danzatrice, uno risalente al 2009 e l’altro al 2016, si osserva una figuratività che ci fa pensare a Bosch, a Füssli: intravediamo figure urlanti e mostruose a cui si sovrappone una ragnatela di segni, a loro volta, non certamente rassicuranti. Se le linee fossero le tracce che il corpo lascia nell’aria, sarebbero parimenti anche le tracce di una doppiezza che ci costituisce: l’orrido aspetto che dalla mente trapassa al reale. Nel bellissimo Vedere con il cuore, 2009, vi è una figura mostruosa: un destriero diabolico che proviene da  Gericault e si manifesta sul foglio, dopo essere passato per l’inferno, mentre il corpo luminoso e fluente di una Medusa, olio su carta, 2018, condivide la propria apparizione con un fondo melmoso e brulicante di indistinte creature. D’altra parte, l’albero, rappresentato in Albero nel cortile delle feste, 2018, è quello presente nel cortile dell’ex-Ospedale Psichiatrico di Genova-Quarto, nel quale Palerma ravvisa una condivisione da parte della pianta delle sofferenze assorbite in quel luogo.

Immagine corporea, 2016, indica in maniera esemplare una modalità di rappresentazione del dato corporeo, dell’esperienza che ne abbiamo, deponendo la materia  per far emergere i suoi flussi, la motilità tutta nervosa che dà conto di tutto ciò che si trasforma. In Francesca, parentele creative, 2013, il groviglio dei segni, con i suoi nodi, invade lo spazio fino a dominarlo, a espungerlo. Lo spazio è sempre in funzione di qualcosa, lo si visualizza solo perché imbrigliato da un gesto, da una proiezione, da una compressione. Il tempo, che dovrebbe essere una componente importante per l’esibito contatto con la musica e la danza, visto che Palerma sperimenta la trance disegnativa anche tramite questo viatico, è invece, quasi risucchiato,  parcellizzato, annichilito nei gangli della rete.
Non solo emozionale, non solo gestuale, la pittura di Palerma si divide equamente tra istinto e ragione, tra materia e idealità e ne traccia le mappe visive in forme energiche, anelanti, tensive: in una sola parola, umanissime.

                                                                                      Rosa Pierno

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