Come se il bordo bianco del “leporello” che la ospita fosse la presa del respiro prima dell’apnea in cui ci trascina Maria Grazia Insinga, oppure la cornice ideale per le immagini di Stefano Mura, colorate di sogno, della parte più concreta e insieme fantastica del sogno. Questa preziosa e curatissima edizione di Giovanni Fassio non contiene premesse né testi esplicativi: sono in tutto bastevoli parole e segni.
“La fanciulla tartaruga” è coerente con gli intendimenti che da tempo sono distintivi dell’autrice, che scrisse di sé, molto prima di questa pubblicazione: “quando la notte scuote le ossa, oscillo come una scultura di Calder contigua al cosmo per divina differenza e mi espando, discontinua. (…) È in questo percorso che la parola sancisce la sua definitiva volontà a distaccarsi dal noto per rivolgersi all’ignoto irresistibile, alla sua musica, alla residua flagranza della luce, alla porta azzurra”. Proprio così, in questo libro il cosmo esprime una musica irresistibile, tradotta in parole. Succede che un sogno si incarni nel testo. Siamo di fronte a una miniera stellare, a una favola in prosa poetica, scritta con il linguaggio sovversivo della poesia quando dimostra di essere pura grandezza. Tutto ha il suono di una lontananza, qui tutto diventa viaggio, dove la curvatura spazio-tempo diventa la curvatura del pensiero.
Da un punto di vista stilistico, la quasi completa assenza di punteggiatura, brillando solo la presenza di alcuni punti interrogativi o esclamativi, rafforza la considerazione che Insinga sia riuscita a incidere nel corpo del testo la forma viva di un’euforia linguistica. Ne sono testimonianza i cambi di carattere, tra il corsivo e il tondo, in cui fatalmente si percepisce la differenza tra narrato sotteso e pensiero, come tra un frammento di finissima filigrana e un tutto, nell’idea che si costituisce come generativa della storia. Sì, è una storia, quella di una fanciulla lasciata sola, di una tartaruga attraversata da una freccia, di un gatto filosofico, in cui vorticosamente si viaggia da fermi, si viaggia “ad alta voce” partendo dalla “biblioteca delle meraviglie”, con tutto il sapere che contiene. Dove letteratura e geografia si fondono, dove citazioni e luoghi si confondono.
È prosa, è poetica e, talmente avveniristica e inaudita, che arriva da un preciso futuro e allo stesso tempo da un improbabile e irrealizzabile giorno: il 29 febbraio 2027.
Ranieri Teti
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