domenica 27 gennaio 2019

Mario Negri “Note di studio” Pagine d’arte, 2018




Le Note di studio di Mario Negri, scultore e critico d’arte, afferiscono al genere del diario che abbia come sola scansione cronologica l’anno: sorta di raccoglitore di note, testi brevi, aforismi, considerazioni. Il volume edito da Pagine d’arte nella collana Sintomi è completato dalle foto dello studio di Negri realizzate da Arno Hammacher nel 1987. Tale raccolta ha per oggetto indistintamente vita e arte, ove le due materie così distanti possono acconsentire a una vicinanza solo perché vi è un unico saldo plinto che regge l’impalcatura, donandogli carattere unitario ed è “divenire/restare se stessi”, cioè una comune verità di fondo che presiede sia all’esistenza sia alla scultura. Dedicare la propria vita alla scultura non causa l’assorbimento della prima nella seconda, ma esalta in entrambe la temperatura etica, attizzando un fuoco che pare debba non spegnersi mai. Soltanto ciò consente un varco tra le due: “Risentire tra le mani, brulicante di vita, la materia e restituirla alla natura, fatta più misteriosa dalla poesia dell’anima e dello spirito umano”.
Tale annotazione chiama sulla scena un terzo convitato: la natura come garante del possibile dialogo tra corpo e materia inerte, tra spirito e mondo, ove il soggetto, se è stretto tra i limiti della sua fisicità, proprio grazie ad essi può trovare un più vibrante sostegno, come annota Stefano Esengrini nell’introduzione al volume.

Limiti e debolezze, quindi, sui quali costruire con il duro lavoro la propria cifra espressiva attraverso la creazione della forma. La scultura, finita e non finita al tempo stesso, può occupare una posizione intermedia tra la natura e l’uomo, solo quando l’artista si dimostri in grado di “Abolire la mano, renderla duttile, vergine e imponderabile come il pensiero, la fantasia”, consentendo, in tal guisa, di scoprire le proprie fonti e di “esserne illuminati”. Una discesa nella materia e nel sé che ha già abolito diaframmi e sponde. Il ritorno alla natura parrebbe il conseguimento del processo scultoreo: operare per ritornare a essa. Nulla di attuale dunque, nulla che voglia attenersi alle regole dettate dall’epoca, ma una sete di libertà che per essere soddisfatta abbatte il tempo e si situa in ciò che è perenne. La saldatura con la scultura di tutte le epoche sembra non mostrare segni di sutura, svolgendosi con continuità, nonostante i diversi stili adottati, sebbene siano fra gli scultori della modernità i suoi prediletti: Maillol, Giacometti, Laurens e Brancusi, ma solo perché in essi vede realizzato, appunto, il ritorno alla natura. Che cosa c’è infatti di più riuscito se non un’opera che sembra realizzata dalla natura? Al di là dei metodi che ciascun artista  può scegliere nella modernità, la scultura si erge superando la caducità di coloro che l’hanno realizzata.

Fantastiche le descrizioni dei materiali per lucidare i marmi e le pietre: gli smerigli, le pomici, la polvere di zolfo e quella bramosia degli strumenti del mestiere, di tutte le forme e le fogge, anche se poi si lavora sempre con gli stessi, da scovare nei negozi specializzati. Viene a comporsi, durante la lettura, l’immagine del paesaggio dei monti che lo scultore scorge dalla finestra, assieme agli strumenti adoperati e soprattuto alle opere, rispetto alle quali Mario Negri non vuole ridurre le distanze: non comprende i testi critici, pure se egli stesso svolge attività critica per “Domus”. Dà alle opere titoli solo perché la metafora scelta le allontana da sé.  Esplicito è il solco che egli scava tra immagine tridimensionale e parola, perché il linguaggio parlandone finisce con il tradire la scultura. A testimonianza di questo perentorio carattere, tutto volto alla supremazia dell’immagine, vogliamo chiudere con una sua bellissima frase: “La materia non si sottrae al nulla se non con un movimento verso la forma”. Alla forma, dunque, la parola.


                                                                                       Rosa Pierno




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