
Glissant tende a disegnare due entità che si fronteggiano: disegno che, appunto, non crediamo sia adeguato nel rappresentare correttamente le forze in gioco. Come non si dà una cultura creola che si autocrea, che non assorbe e non modifica gli elementi che preleva dalla cultura in cui opera, allo stesso modo non si dà una società che non si lasci trasformare dagli elementi con cui viene a interagire seppure in maniera marginale o addirittura per sue sole spinte endogene. La semplificazione operata da Glissant crediamo sia controproducente perché crea imprecisioni: tra le altre, si pensi alla sua spiegazione di una cultura come aperta perché nata sull’oceano e di un’altra chiusa perché nata nel Mediterraneo. Nonostante Glissant sappia che lo scambio, la relazione, l’ibridazione tra culture diverse siano fenomeni ricorrenti nella storia delle società umane, pure egli vuole enfatizzare il fenomeno della creolizzazione come se fosse straordinario per importanza e dimensione, il solo che renda possibile la difesa di tutte le lingue del mondo, incluse quelle marginali e in via di sparizione. Per completare la realizzazione delle spinte che provengono dalla creolizzazione, Glissant invoca una scrittura che tenga conto di tutte le lingue del mondo e proclama la necessità di un idioma multilingue, anche se all’interno di una lingua specifica, e di una modalità che ”accordi la scrittura con l’oralità e l’oralità con la scrittura”.
In ogni caso, senza voler entrare nel merito di alcuni passaggi di tipo utopico che sono presenti nella visione di Glissant, quando egli specifica: “Oggi le regole non vengono più stabilite in base all’antico diritto universale, ma rispetto all’intrecciarsi delle relazioni”, è immediato per noi rilevare che questa lettura dipende da un mutamento nel nostro modo di considerare la società e non da un cambiamento nella società, su cui invece lui insiste. Per Glissant tale modalità relazionale è un fenomeno nuovo, non constatando che è già insita nell’uso che facciamo della lingua a prescindere se essa sia praticata in un società atavica o creola. In questo contesto, credere che la coscienza diversa che oggi i popoli avrebbero, consistente nel non dare più credito all’essere ma al divenire, non uscendo mai Glissant dalla filosofia (o meglio da un filosofia che non smette di impartire regole astratte, metafisiche, universali ai processi storici) ci pare anche contraddittorio col suo stesso appello utopico all’eliminazione dell’”assoluto ontologico”.
Rosa Pierno
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