mercoledì 16 ottobre 2024

Marco Palladini “C’è qualcuno ancora vivo là fuori?”, Racconti, Gattomerlino, 2024


I racconti distopici di Marco Palladini “C’è qualcuno ancora vivo là fuori?”, Gattomerlino, 2024, riassorbono il passato e il futuro omogeneizzandoli in un eterno presente. Si badi, è un mondo espresso linguisticamente, dove il linguaggio usato dà la misura della patologia che affligge la società, ma anche della distanza che separa linguaggio e vita, a differenza di quel che avviene con le “avventure internettare”, le quali non si distinguono dalle vicissitudini quotidiane. È l’autore stesso a indicare, per i suoi testi, l’esistenza di un “preciso cronotopo”, ossia le coordinate temporali, spaziali e culturali, dalle quali il suo testo prende forma. L’analisi cronotopica serve a comprendere il testo nel suo insieme: la realtà storica in cui è ambientato, il rapporto dell’autore con questa realtà e il tipo di rappresentazione scelta. Bachtin, dopo avere affermato che il cronòtopo letterario permette di determinare il genere letterario di un romanzo e le sue varietà, aggiunge che «la tipologia del “cronòtopo” si costruisce sull’opposizione “mondo proprio/mondo altrui”, mentre la tipologia dell’”enunciato” sull’opposizione “linguaggio proprio/linguaggio altrui”». Quindi si tratta di comprendere i diversi livelli del testo: da una parte vi sono le informazioni non letterarie (come la storia, la psicologia sociale), la ricostruzione della realtà storica e linguistica, la tipizzazione; dall’altra vi sono i fatti emotivi, l’autobiografismo, mitizzato o mistificato, e l’individualizzazione.

Il soggetto, ad esempio, in un racconto, coincide col personaggio Marco Palladini, con l’“io sono scritto”, «ossia rimbaudianamente Io è un altro che mi scrive», ribadendo in tal guisa anche la presenza di una ripetizione riproposta all’infinito, poiché si è persa ogni cognizione identitaria. Il tempospazio, nella sua valenza indissolubile e relativa all’attimo presente, sembra non essere che il tempo differito che impedisce costrutti di qualsiasi genere, storici, mnemonici, affettivi. Così la svalorizzazione acquisisce una fisionomia precisa: si può osservare la modalità con cui, la narrazione, ripetendosi incessantemente, discioglie il senso nel non-senso. Quelli che Palladini presenta come racconti polizieschi mettono estesamente in mostra il meccanismo di eliminazione del senso e, conseguentemente, dei valori. I precari, ad esempio, che rubano il lavoro ai fattorini, intercettando per primi le chiamate dei clienti per gli ordini, non sono che una scena ripetuta cronologicamente e temporalmente che prelude alla mise en abîme della società contemporanea.  


Nel racconto si mette a segno “una spettrografia dello stare al mondo che disperatamente cerca di misurare la sua futile essenza”. L’autore individua attraverso alcuni sintomi le persone affette da un sistema culturale privo di regole e limiti: «non ti raccontano storie, bensì stati d’animo e di malanimo, sentimenti trasmutanti secondo un finale di partita, palesemente taroccata, giocata tra bari di professione che si spifferano l’un l’altro che non c’è limite al peggio» e, tuttavia, «c’è sempre un beckettiano impulso a continuare imperterriti dopo la fine. Chiuso un capitolo se ne può ogni volta aprire un altro, ovvero rientrare in gioco». C’è anche un elenco relativo alle strategie con le quali si annulla la distinzione tra i valori: si decostruiscono i pensieri, si artefanno testi e controtesi, si usa una dialettica fallace, si fa tabula rasa con l’ordine del Logos e con il disordine del Caos. In tale magmatica situazione «anche lo squallore viene reputato un valore». Palladini assume il ruolo di colui che intende denunciare i comportamenti menzogneri: «altra azione di copertura... atto di sviamento nomenclatorio... confusione di ruoli e livelli... depistaggi a cascata... spiazzamenti a go-go... un vortice di delitti radicati nella politica ‘latu sensu’ della megalopoli...», ossia esattamente ciò che deriva dalla perdita dei fondamenti. Nel momento in cui non è più praticabile la separazione tra vero e falso, tra bene e male, ecco che si può dire raggiunto lo scopo del potere, quel potere che, secondo la lezione di Foucault, indottrina esseri umani privi di capacità critica. L’indistinzione dei valori ha la meglio persino sulla percezione del sé. Ciò che non si può distinguere sembrerebbe costituire per l’autore il vero problema contemporaneo; si tratta, a ben vedere, di un’incapacità di sentire e di pensare.


Sulla scena del crimine, nel racconto “La notte degli occhi”, il detective, snocciolando frammenti di citazioni, compie un attraversamento di cliché letterari, testimoni di quell’«ipertrofia immaginaria che poi si arrovescia e si sfinisce nel proprio multiplo vuoto» a cui lo stesso autore non si sottrae, lasciando come impronta personale quella della propria passione per gli acrostici (si ricordano numerose poesie di Palladini costruite con tale regola). A ogni modo, se il ruolo di un investigatore è decifrare i segni – e per questo la memoria corre ai metodi investigativi analizzati da Ginzburg – i segni che Palladini lascia nella sua scrittura (oltre all’acrostico, ci sono anche i tre puntini di Al termine della notte di Celine e il gaddiano flusso di vocaboli estratti da numerosi linguaggi tecnici: filosofia, antropologia, economia, sociologia) sono precise marche che tracciano alcuni confini: quelli propri dello stile. Inoltre, Deleuze e Guattari con le loro “tracce rizomatiche” sono invitati speciali alla tavola pantagruelica di Palladini.

Resta che ciò che sta alla base dell’indagine dei vari investigatori e reporter è una conoscenza indiziaria a cui manca sempre la prova finale. Sono tante le mappe tracciate da Marco registranti gli indicatori relativi alla società: quella politica, sociale, psicologica, letteraria. Particolarmente salace è la critica che Palladini rivolge alle patrie lettere, definendole ‘kakolettere’, così come si esercita un ‘kakologos’ in ogni disciplina. Ma se il metodo indiziario è incapace di risolvere le contraddizioni con le quali la realtà si presenta all’interpretante, allora sembrerebbe che la realtà sia un labirinto privo di uscita, al modo in cui non si esce dalla Torre di Babele o dai gironi dell’inferno, che ne sono i modelli metaforici. Le tragiche vicende quotidiane, i fatti di cronaca innescano nel personaggio di turno un flusso ininterrotto ove da un ganglo si toccano tutti gli altri gangli della costellazione, contemporaneamente, senza soluzione di continuità, con l’inesorabile presa di coscienza che fa deporre ogni speranza su un possibile cambiamento anche in uno solo di questi snodi (violenza, ignoranza, povertà, sopraffazione). 


Certo, per Marco Palladini si prefigura ancora una possibile alternativa, nonostante scriva che un suo personaggio «non vuole comunque smettere di sperare contro la speranza». Il che suona, attivando quasi un contrasto simultaneo fra concetti, che la speranza è un sentimento sorgivo come la vita. Così gli individui «disabilitati a immaginare una qualsiasi alternativa», pure se ogni persona è  “un ossimoro vivente”, e forse proprio per questo, potrebbero in realtà trovare una diversa via di condotta.

Tuttavia, per Palladini la scrittura non vale come progetto, è senza speranza come per Kafka. L’inesauribile effervescenza immaginativa dell’autore si rifrange nei suoi alter ego senza che mai lo soccorra alcuna speranza di cambiamento. Sembrerebbe che né natura né cultura possano modificare lo stato in cui versa l’essere umano. I personaggi sembrano ricavati da maschere prevedibili, determinati dai loro cliché linguistici. Salgono e scendono sulla linea dell’orizzonte come fossero issati su una ruota. Nessun grado di libertà: la stessa scrittura di Marco Palladini, con la sua irruenza asfittica e priva di soste, provvede a trascinar via le precarie esistenze dell’Attore Sentimentale, della Psicologa Paranoica, dell’Amministratore Ladro. Con la loro psicologia ridotta allo spessore di una lamiera, essi si alternano nel plot senza mai addivenire a una soluzione pur temporanea delle loro vicende esistenziali e per questo sono esposti ai colpi del tiratore del luna-park. Con eccelsa precisione, l’autore stesso. 


Rosa Pierno