giovedì 10 gennaio 2019

Marco Furia “Pittorici idiomi” eBook, La Recherche


Georgia O’Keeffe “Strada, New York


Come nel suo penultimo libro, Marco Furia nell’ebook “Pittorici idiomi” pubblicato sul sito www.LaRecherche.it, prosegue la sua indagine sulle opere d’arte. A partire dall’osservazione, l’intento è quello di giungere a disegnare un ambito di cose dicibili attorno all’oggetto artistico. È, quello da lui collezionato, un insieme di proposizioni che risulta da una particolare ricerca filosofica, perseguente il discrimine tra ciò che si può dire e ciò che si può solo mostrare.
Dalla descrizione, l’autore giunge a formulare congetture sulla scena, sui personaggi rappresentati. A proposito del quadro “Gara di tiro con l’arco” di David Teniers il Giovane, una scena paesaggistica in cui un gruppo di persone è intento a osservare un uomo in procinto di tirare con l’arco, Furia afferma: “I tiri - non abbiamo dubbi in proposito -  saranno valutati in maniera equanime”.
Dalla descrizione all’illazione (sempre contenuta nell’atto interpretativo): “Il genere umano è piccolo rispetto alla natura e gli individui rappresentati dall’artista paiono averne consapevolezza: la gara non si distacca dal resto dell’esistenza”.
Il discorso si sviluppa in maniera autonoma, diremmo, seguendo, appunto, in una collezione di frasi, la rete che collega il fatto a quanto può dirsene, che inevitabilmente è come deviato, deformato dal soggetto che osserva e interpreta.
Il linguaggio si snoda fra anse e golfi, inanella disgressioni, ritorna al punto di partenza, ma senza coincidervi. I cerchi a volte concentrici, si allargano per comprendere concetti astratti: l’esistenza, il modo di vivere, le scelte morali.
Nel testo dedicato al pittore Dahl per il quadro “Paesaggio montano norvegese” , l’inchiesta di Furia si stacca di netto dalla descrizione per chiedersi: “Perché dipingere una veduta?”. La sua riposta è che lo si fa per investigare le relazioni tra il nostro essere nel mondo, il rapporto con la natura e, in ultima analisi, l’io artistico.
Attraverso i quadri, Furia esplicita il suo universo concettuale, di chiara derivazione wittgensteiniana.
I quadri scelti sono selezionati tra i quadri di genere, che nell’Ottocento costituivano l’unica fonte documentaria visiva degli eventi sociali e storici: dall’inaugurazione di un tratta ferroviaria, ai danni dei bombardamenti a Londra, dalla rappresentazione di interni fastosi a quelli di abitazioni popolari, dalla natura morta ai ritratti.
Ciò consente a Marco Furia riflessioni sul coinvolgimento, sulla percezione e persino sul linguaggio con cui egli descrive la scena, ben sapendo del residuo irriducibile non solo del linguaggio verbale che tenta di restituire il contenuto del quadro, ma anche del linguaggio verbale rispetto a se stesso: “Anche se fossimo i migliori oratori e scrittori non dovremmo accettare, in ogni modo, i limiti imposti dall’uso del linguaggio?”.
D’altronde, lo stesso Furia indica che esistere equivale a restare nell’ambiguità, “una precisa ambiguità da riconoscere e accettare”, restando aperta “la via dell’interpretazione”.


O’Keeffe, 1926

Nel 1926, Georgia O’Keeffe dipinse “Strada, New York”.
In fondo a uno stretto varco metropolitano, vero e proprio corridoio che corre lungo pareti prive di qualsiasi apertura, si scorge un solitario lampione dalla foggia simile a un punto interrogativo.
Il fondo stradale non è visibile e il cielo è ridotto a un biancastro intaglio.
Solitudine, senso di estraneità, alienazione?
I più diffusi malesseri sociali cui sono esposti gli abitanti delle grandi città vengono, senza dubbio, ben rappresentati in un dipinto che ritrae un ambiente esterno angusto e soffocante.
Non si vedono passanti: gli uomini, dopo aver costruito quegli inquietanti edifici, sono fuggiti lontano, inorriditi?
Forse quelle costruzioni sono disabitate o, forse, difendono gli apparati repressivi di un sinistro tiranno.
In fondo al tunnel, tuttavia, è ben visibile un elegante lampione che indica la presenza della società civile.
Un relitto, una speranza, una traccia?
Propendo per quest’ultima ipotesi.
Possiamo considerare quel bianco globo, sostenuto da un ricurvo braccio metallico, un segno, un’impronta.
È civile illuminare le strade al fine di consentire ai cittadini un’agevole vita notturna.
Un segnale, dunque: qualcosa di buono c’è o c’è stato.
A prescindere da ogni (auspicabile) senso di fiducia, il segno resta quale testimonianza.
Occorrerebbe, certo, demolire quelle cieche mura: il lampione, ovviamente, non parla, si limita a mostrarsi.
Più di novant’anni sono trascorsi dai giorni in cui l’opera fu dipinta e quell’angusto corridoio è stato replicato infinite volte nelle nostre città.
Dal punto di vista specificatamente pittorico, si nota un cromatismo sfumato che presenta tratti orientati al giallo, al verde, al rosso, al grigio scuro, nonché un impianto formale in cui lunghi parallelepipedi fanno da contrappunto all’opposta parete liscia.
Perfino in quel deserto di cemento, qualcosa rompe la deprimente monotonia: due fisionomie differenti si fronteggiano e si confrontano.
Anch’esse vittime dell’umana insensatezza, paiono quasi essere consapevoli di condividere un destino davvero poco gradevole: ambedue si protendono verso il lampione, ossia verso uno spazio meno oppressivo.
Si direbbe che muri e fanale non siano privi di vita e che dialoghino tra loro.
Anche nel più cupo avvilimento un’espressione può ancora emergere, anche nel più terribile sconforto è possibile indicare una direzione.
Si tratta del richiamo al valore di un segno dinanzi al quale possiamo, come appartenenti al genere umano, imboccare la strada di una saggia buona volontà oppure quella dell’annientamento.
In fondo al tunnel non ci attende la soluzione del problema, ma un (illuminante) interrogativo: tocca a noi dare la giusta risposta.
Georgia O’Keeffe ha dipinto, nell’ormai lontano 1926, assieme a un soffocante ambiente metropolitano, certi inquietanti aspetti dell’esistenza che ancora oggi ci assillano: ritrarre un luogo per ritrarre l’uomo?
Sì, guardando il presente e predicendo il futuro.

                                                                                                     Marco Furia

  

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