mercoledì 24 febbraio 2016

Jacques Le Goff “Il tempo continuo della storia” Laterza, 2014


Le periodizzazioni con cui si segmenta artificiosamente il passato sono la bestia nera che trasversalmente attraversa gli specifici domini del sapere. Le Goff ne fa l’oggetto di studio nel suo  saggio Il tempo continuo della storia, Laterza, 2014. In questione è la supposta necessità di effettuare una periodizzazione all’interno di un continuo, anch’esso supposto. Le Goff  afferma che la periodizzazione è necessaria, che essa, è legata alla necessità di scandire una svolta, un cambiamento che assuma un particolare valore per lo storico. Periodizzare la storia, quindi, “è un atto complesso, carico allo stesso tempo di soggettività e di sforzi volti a produrre un risultato che possa essere accettato da quante più persone è possibile”. La storia se non è un sapere scientifico è almeno un sapere razionale.

Lo storico francese descrive i due principali modelli di periodizzazione ebraico-cristiana (nell’Antico testamento e in Sant’Agostino): entrambi s’ispirano ai temi religiosi e ai cicli della natura, a cui seguono, per grandi linee, quelli di Iacopo da Varazze e di Voltaire, ma, naturalmente, Le Goff  approfondisce il problema in relazione al Medioevo, termine utilizzato per la prima volta da Petrarca per designare la “posizione intermedia fra un’antichità immaginaria e una modernità immaginata”, incarnante valori nuovi: l’Uomo con le sue virtù. Tuttavia, è stato necessario attendere il XIX secolo e il romanticismo affinché il Medioevo perdesse la sua connotazione negativa (feudalità, tempi bui, ecc.) e, con la scuola delle Annales, “assumesse i tratti di un’epoca creatrice”. Ciò per ribadire che la “periodizzazione della storia non è mai un atto neutro o innocente” e che attraverso di essa si esprime un giudizio di valore e, pertanto, essendo opera dell’uomo, con l’uomo evolve e cambia.  Ciò, naturalmente, evidenzia “la fragilità di quel particolare strumento del sapere umano”: così come anche dell’approccio tentato dal marxismo (vedente il passaggio dall’Antichità al Medioevo come passaggio dalla schiavitù al feudalesimo).

Le Goff propone una propria definizione temporale  che apre all’esistenza di un lungo Medioevo e all’inaccettabilità dell’idea di Rinascimento come periodo specifico, ove però, assieme alla visione, cambia anche la scatola degli strumenti dello storico, secondo la famosa affermazione di Deleuze, vale a dire “la trasformazione  del genere storico  da racconto ed esempio morale  a specifica branca del sapere”.  Se “si eccettua quella di un tempo ciclico, che non ha dato luogo ad alcuna teoria 'oggettiva' della storia, qualsiasi concezione del tempo è suscettibile di essere inquadrata in termini razionali e spiegata”: la verità dello storico “passa ormai dall’amministrazione della prova”, ma è anche necessario che essa entri nell’insegnamento (per la Francia, ad esempio, prima del XVII secolo non si è assistito al tentativo di attivare un insegnamento della storia, mentre in Germania la storia si è diffusa nelle Università già dal 1550 e in Inghilterra fin dal 1622).

La questione del rapporto tra Medioevo e Rinascimento, è stato affrontato dagli storici in modi estremamente differenti. Michelet  nel 1833, “tesse un elogio del Medioevo, descrivendolo come un periodo luminoso e creativo”, ma la sua tessitura è ancora un prodotto della sua immaginazione e lascerà ben presto il posto a una nuova passione: il Rinascimento, a cui l’opera di Burckhardt darà nuova linfa (La civiltà del Rinascimento in Italia, 1860) divenendo modello e fonte per la storia culturale europea. A quest’ultimo sono seguiti gli studi di P.O. Kristeller, E. Garin, E. Panofsky, J. Delumeau e numerosi altri storici, tutti passati in rassegna da Le Goff, il quale si sofferma, alfine, sulla propria posizione: il Rinascimento non rappresenta un periodo particolare, ma è l’ultima rinascita di un lungo Medioevo.

La considerazione dello storico francese riguarda la coesistenza e talvolta lo scontro “fra un lungo Medioevo, che si estende fino al Cinquecento, e un Rinascimento precoce, che si afferma fin dall’inizio del Quattrocento” il che gli consente di scolpire la seguente conclusione: “Le rotture sono rare. Il modello consueto è semmai rappresentato da mutamenti più o meno lunghi, più o meno profondi, da cambiamenti di direzione, da rinascite interne a periodi più o meno ampi”. Sennonché, insiste Le Goff, “La periodizzazione si giustifica in quanto fa della storia una scienza, senza dubbio non una scienza esatta, ma una scienza sociale che si fonda su basi oggettive, chiamate fonti”. Anche nella lunga durata definita da Braudel vi è modo di collocare periodi, ottenendo “una combinazione fra continuità e discontinuità”. Senza confondere la lunga durata e la globalizzazione, la periodizzazione si conferma come un campo d’indagine e di riflessione di fondamentale importanza per gli storici contemporanei, vero e proprio mare magnum di sperimentazioni.


                                                                               Rosa Pierno

giovedì 18 febbraio 2016

Manlio Monti e le edizioni de “Il Salice” di Locarno


                                                                     (Bernard Mandeville)
Le stampe che  Manlio Monti, maestro dell'incisione e pittore, realizza  per il Club 365 di Locarno, attraverso le edizioni “Il Salice”, scatenano un indomabile desiderio di collezionarle tutte, riducendo la distanza a quella che preferirebbe una talpa per introiettare le immagini, gustarne il colore, sentire l’odore della carta e degli inchiostri e soprattutto  verificarne l’accuratezza e la qualità.

La produzione di quest’appassionato artista svizzero, che si divide tra attività pittorica e attività editoriale, comprende anche la stampa di incisioni dedicata, da ben 19 anni,  al Club 365, sostenuto da una cinquantina di soci, che deve il suo nome al fatto che gli iscritti, al momento cinquanta, con un franco al giorno, per un anno, sostengono le incisioni, ricevendone tre. Le incisioni sono riservate esclusivamente ai soci. Le stampe hanno un formato di 30 x 40 cm, sono numerate, firmate dall’autore e accompagnate da una giustificazione e da una biografia dell'artista. La tiratura è strettamente limitata a sessanta esemplari. Ogni socio riceve lo stesso numero d'esemplare per tutte le incisioni.

La vicenda de Il Salice si può far partire nei primi anni ottanta, quando, in seguito a un corso d’incisione si costituisce un gruppo di persone vicine a questo tipo di attività. La prima cartella nasce nel 1988. L’interesse suscitato da questo lavoro d’esordio stimola Manlio Monti a dar vita alla casa editrice. La linea editoriale de Il Salice si sviluppa attorno alle ‘cartelle nere’, raccolte che abbinano sempre sei incisioni a un testo poetico. Nascono inoltre la piccola collana de I semi del Salice, libri di poesia e incisioni composti con caratteri di piombo e stampati a mano contenuti in un elegante cofanetto  e altre edizioni monografiche.  L'Atelier del Salice stampa solo incisioni in calcografia.

Così gli scriveva Michel Seuphor, artista e critico francese, intimo amico di Manlio Monti, in una lettera del 1989:

"Paris, le 10 mars 1989
Tout le monde admire votre Orphée, cher Manlio Monti. Il ne me quitte pas les mains. On cherchera en vain la plus petite faute dans ce travail. La simplicité y est l'alliée de la force. Rien n'y manque, rien n'est de trop. C'est un chef-d'ouvre de la dé licatesse discrète et du style. A mes yeux, il y a toujours une grande dépense d'art dans une technique achevée. J'estime que cela donne au monde une leçon lecon perpétuelle de la noblesse de l'artisanat.
Vous m'apportez une joie et une admiration qui ne se compare avec rien. Que pius-je vous offrir qui réponde à cela? qui vous fasse le même plaisir? Je cherche, je m'interroge et je ne trouve rien.
Con amore

Seuphor"

Manlio Monti seleziona  gli artisti in tutta Europa, guidato non da logiche mercantili o regionali, ma da un esclusiva valutazione estetica: quest’anno, ad esempio, saranno presentati tre incisori spagnoli. L’elenco messo insieme è davvero squisito: Achille Pace, Giulia Napoleone, Italo Valenti, Guido Strazza, Flavio Paolucci, Rosanna Carloni, Luigi Boille, Marina Bindella, Bernard Mandeville, Gianfredo Camesi, Jean Marie Balogh, Carlo Lorenzetti, Marco Mucha, Pierre Casè, Aldo Bertolini, Myriam Gesalaga.

Le edizioni de “Il Salice”  organizzano annualmente una giornata  presso l’atelier intitolato a Lucilla Caporilli Ferro alle Vattagne (Ponte Brolla) durante la quale i membri del Club possono prendere conoscenza, praticandole, delle diverse tecniche di incisione calcografica. Non solo una tana per amici, dunque, ma un luogo dove condividere una passione esclusiva.


                                                     
                                                                        (Flavio Paolucci)



      

venerdì 12 febbraio 2016

“Latte”, mostra di Iulia Ghita presso la galleria La Nube di Oort, Roma, 3-31 marzo 2016


Che l’infanzia sia punto di snodo determinante la formazione dell’adulto è solo una parte della verità - il tempo dell’infanzia essendo un tempo non solo di risorse specifiche, ma anche di una particolare modalità di osservare e di comunicare.  Vi s’intercetta, infatti, uno sguardo fisso come una lente incendiaria sugli adulti. Alla loro sensibilità e alla loro distanza critica, affilatissime, concentratissime, corrisponde, nell’elaborazione restituita  dall’artista Iulia Ghita, una rappresentazione formulata, diremmo, da un raggio laser, il quale vada disegnando sagome incerte nei profili, ma tuttavia precise nella sostanza, quasi monosemica.
L’età dell’infanzia configura uno stato dell’essere la cui concentrazione e assolutezza nelle relazioni rimarrà un marchio, come un primigenio stampo al quale l’adulto dovrà adeguarsi. Si può intendere in questo senso il lavoro dell’artista rumena in mostra presso la galleria La Nube di Oort, dal 3 al 13 marzo 2016, ma anche nel senso di una volontà di individuare tre stati del medesimo “essere bambini” esemplificati dallo sguardo di richiesta trepida, quello inconsapevole e quello di contrapposizione al mondo degli adulti.
Tre bambini-simbolo animano, in tre enormi, avvolgenti acquarelli, dunque, le pareti della galleria, immersi in una natura solo falsamente accogliente, in realtà estranea almeno quanto lo sono gli adulti caratterizzati dalla loro crudele indifferenza. La natura diviene segno ed è  più o meno accentuata in relazione alla rilevanza del rapporto emotivo con un altro essere. Persino la loro ingenua collocazione in un ambiente coloratissimo e affascinante, è problematica: se è uno dei mondi possibili in cui collocarsi è anche contemporaneamente il mondo dell’estraneità, forse il mondo in cui si è sospinti dalla disattenzione adulta, tout court. Quasi una sorta di ghetto. C’è una stretta dipendenza, pertanto, tra la serenità del paesaggio in cui i bambini sono serenamente immersi e la sua trasformazione in un paesaggio accidentato e pericoloso in funzione dello sguardo di disapprovazione - rancore e rimprovero - rivolto al mondo genitoriale.  Dall’infanzia dell’autrice, raffigurata sulla carta assieme a suo figlio, ci giunge un monito al nostro tempo attuale in cui la compresenza in noi stessi, del bambino che siamo stati, deve trovare quantomeno accoglienza insieme ai nostri figli reali, ai bambini in generale. Una ben diversa disposizione che può garantire un migliore ascolto ed evitare il dolore causato dall’incomprensione, la creazione di un baratro tra l’età adulta e l’infanzia.

                                                                                            Rosa Pierno



La Nube di OOrt – Via Pricipe Eugenio 60, Roma

Orario di apertura: dal 3 al 14 marzo 2016 da martedì a venerdì  17.30 / 19.30  e  dal 15 al 31 marzo 2016 per appuntamento (3383387824)

lunedì 8 febbraio 2016

Prefazione di Gilberto Isella a Bagatelle di Rosa Pierno

  
 Bagatella richiama il bagatto – prima carta dei tarocchi – e il bagatto viene inequivocabilmente associato al gioco e  all’astuzia. Giocare con la vita, col destino, o in ambito diverso realizzare il suono di una partitura (in tedesco spielen, alla lettera ‘giocare la musica’). Si pensi alle celebri Bagatellen  di Schubert e Schumann, dove sequenze ludiche stracolme di ‘materiale informativo’ dimostrano di poter brillare con spiccata efficacia sia pure entro forme ristrette. Miniature il cui senso – musicale o verbale, non fa differenza - si costituisce attraverso un processo idealmente teso all’aforisma, ovvero al noema-sistema aperto ed enigmatico per eccellenza.
   Anche Rosa Pierno gioca. Gioca, operando su brevi corpi verbali autonomi (ciascuno copre una lessìa oppositiva), con un’idea di testo promosso a organismo normativo-didascalico di scrittura. Ne evoca i dispositivi emozionali e razionali soggiacenti, lo assume come luogo dell’artificio guidato ma anche (o proprio per questo) luogo del conoscere. Intendo dire quel tipo di conoscenza che, qui più che mai, si acquisisce sperimentando l’irrisolvibile instabilità del senso: “Se la successione degli eventi si manifesta senza interruzioni o salti, non si deve per questo pensare che l’instabilità non operi anche sotto la superficie”. Nel corpo delle Bagatelle offerte a Opera Nuova (una prima serie è uscita nel n° 90/2015 della rivista “Anterem”) il soggetto impicito della scrittura ha qualche tratto che lo rende affine al Monsieur Teste celebrato da Paul Valéry. Ossia quell’esprit libre che “faceva variare, metteva in comunicazione e, in tutto il campo delle sue conoscenze, poteva tagliare e deviare, nominare ciò che non ha nome”. Spirito mercuriale, per il quale ogni testo è occasione di dis-chiusura, dis-velamento.
   Una costante di Pierno, messa già in atto in Coppie improbabili (2007), medaglioni dedicati all’arte pittorica dove ogni raffronto tra artisti interpellava l’inestricabile dilemma affinità/contrasto, è quella di porre la questione della dicotomia (di ogni dicotomia), in termini assolutamente problematici. La dicotomia, cavallo di battaglia della logica classica, s’impone con ironica neutralità nei titoli di ogni bagatella, e tuttavia nello sviluppo testuale, fantasmaticamente argomentativo, si decostruisce in varia misura. Il dogma della ‘messa a fuoco’ cede ai contraccolpi di ‘sfocature’ compatibili con la curva mobile del senso. Tra polo positivo e polo negativo passano fasci energetici devianti e destabilizzanti. Per sostenere la loro effimera identità, i poli si sfiorano, si contaminano a vicenda, si scambiano funzioni e valenze semantiche, cedendo l’uno all’altro particelle di materiale diegetico. Poiché qui la poesia, facile arguirlo, poggia su una virtuale dispositio di occorrimenti narrativi-drammatici, a diversi livelli di serendipità e/o suggestione memoriale, mentre l’impianto meta-trattatistico  (di cui ai giorni nostri è stato maestro Giorgio Manganelli) funge da apparato scenico. “Il protrarsi della rappresentazione porta inevitabilmente a sviluppo figure e temi, tuttavia raramente produce configurazioni che non siano mere permutazioni di fanti con re”. E se la rappresentazione non fosse appunto che un gioco di carte, con le sue aleatorie posizioni, sotto la regia di un invisibile bagatto?

                                                                                                                     Gilberto Isella




Bagatelle

Ripetizione/Variazione

La ripetizione è tollerabile nella variazione e la variazione è sopportabile nella ripetizione. L’amorfia è in ogni caso esclusa per la messa in campo di artifici atti a ritardare la decisione.  Invertendo marcia, non si avrebbe cambio di direzione. Sarebbero seriali anche la caduta e l’ascesa. Il cambio di scala, consentendo di creare miniature, ridimensionerebbe il problema. Strizzando gli occhi, seguendo le volute cromaticamente vivide e smaltate, ci si dimenticherebbe del libro, che pure narra di una storia secolare. Esiste, tuttavia, una variazione galoppante che giunge fino alla conclusione e impedisce che la forma si disperda in molteplici finali. Cadrebbero, pertanto, le discordanze, e tutto diverrebbe coerente. Se, invece, la commedia si riducesse a due sole battute, anche se intensissime, indicatrici di una desolata affezione, non si potrebbe che continuare fiaccamente fino allo scontato epilogo.

Determinato/Indeterminato

Tanto più la trattazione è incompleta tanto più essa deve apparire rigorosa. La rappresentazione della figura principale, dove l’elaborazione lo richieda, porta in regioni sconosciute, delle quali, nondimeno, si desidera fornire un’anticipazione, anche nella ricca veste di preambolo illustrato. Seppure non si giunga mai al cuore del racconto, il motivo si sviluppa a poco a poco come un pane messo a lievitare. Per movimentare il resoconto si può aggiungere il solito ingrediente: l’opposto del buono, il contrario della cattiva. Fantasie, nemmeno perverse, non mancheranno di deturpare l’idea originale.

Intimo/Estraneo

I pensieri inespressi non hanno concatenazione, si ammucchiano senza stratificarsi, si mescolano senza fondersi. Sembrano alla fine provenire da un luogo esterno, da una rappresentazione scenica in cui siano coinvolti attori non previsti dalla sceneggiatura. Come note di passaggio, generate dall’appoggio ad altri corpi, paiono anelli ai quali manca per sempre una catena. L’estraneo si configura come personaggio mitico, egli non ha alcuna relazione con la massa di detriti che simboleggia il personaggio principale, il solo a essere dotato di un io lirico. Anche  accostando a tale idolatrato soggetto la presenza di un amante, non si ottiene un’armonica tolleranza tra le parti.

                                                                                                          Rosa Pierno


(pubblicato nella rivista Opera Nuova, Lugano)