giovedì 3 gennaio 2019

“Il signor Grillo e l’evoluzione della specie” testi di Gilberto Isella su incisioni di Loredana Müller, edizioni areapangeart, 2018





Le sedici varianti incise nascono, come afferma la stessa artista in una nota interna al libro “Il signor Grillo e l’evoluzione della specie”, testi di Gilberto Isella su incisioni di Loredana Müller, seconda uscita della collana dialogo, edizioni areapangeart, 2018, studiando da varie angolazioni un grillo mummificato trovato nel suo orto.
Immergendo il disegno, scaturito dall’osservazione, nella tenebrosa materia, colloidale e vischiosa, che a tratti lo ghermisce, anziché consegnarlo a un’illuminazione che ne consenta l’analisi scientifica, l’artista effettua un omaggio, come, d’altronde, la stessa Müller dichiara nella nota presente nel libro, a Rembrandt. 
Le condizioni d’illuminazione rendono la figura sinistramente simile ad altre figure, anche umane, facendo sorgere dall’ambiguità, in cui l’individuazione della figura dovrebbe aver luogo, l’idea che la stessa evoluzione non sia affatto un concetto lineare.
Forse, restiamo ancorati al caos delle forme, a una comunione di elementi che non consentono una risolta cesura tra specie diverse. Forse, abbiamo in noi anche qualcosa dell’insetto o ciò che vediamo nasce da una ‘costola’ del nostro umano sentire.
Le incisioni ci propongono di mostrarci, appunto, questa oscillazione morfologica, la quale ci lega a un mondo non dissimile dal nostro, almeno quanto appare distante, allo stesso modo in cui l’alga Bossea orbignyana, la quale calcifica mediante le sue secrezioni come i coralli fece oscillare la sua classificazione per lungo tempo, appunto, fra corallo e alga. Essa, infatti, fu studiata da Darwin, poiché faceva saltare tutte le cesure tra il regno dell’organico e quello dell’inorganico.

Ancor di più che in ambito scientifico, le osservazioni in campo artistico sono determinate dalla capacità evocativa insita nei processi mentali, da un’attenzione al marginale e al latente.
Darwin, d’altronde, come c’insegna Bredekamp nel suo “I coralli di Darwin”, faceva costantemente uso di metafore visive  e verbali per condensare le sue idee: l’uso di linee punteggiate, insieme ai rametti, furono il mezzo grafico che egli utilizzò per la rappresentazione delle sue riflessioni. Per la prima volta, l’evoluzione naturale possedeva una forma visiva e, diversamente dai tradizionali modelli dell’albero della vita e dell’albero della natura,  essi non rappresentavano un progetto dato, ma un processo che si sviluppa nel tempo. Darwin privilegiò il corallo come modello, “poiché questo con i suoi tronchi atrofizzati, che potevano essere considerati come fossili delle specie estinte, e le sue ramificazioni divergenti, potevano offrire una immagine più adeguata” del modello ad albero di Lamark. Inoltre, la struttura del corallo corrispondeva anche alla “doppia definizione darwiniana di legge e caso, le opposte forze che il naturalista inglese vedeva agire nell’infinito riprodursi di completezza e suddivisione delle forme”.

Il grillo mülleriano, in un’ulteriore stratificazione memoriale, assume sembianze umane anche in virtù dei racconti per l’infanzia: la nostra cultura partecipando alla percezione, trasforma la natura in artificio. La figura assume aspetti non rassicuranti, in onore ai tanti racconti onirici, da Kafka a Poe, ma rischiarati da un color bronzo fuso, pulsante, che palpita nel corpo e ce li fa sentire in procinto di effettuare la trasformazione in essere umano. Nelle incisioni vediamo, in una sorta di successione quasi filmica, il corpo antropomorfizzato del grillo, con tratti favolistici, e mai raggelato in una fissità scientifica. 

Gilberto Isella dichiara, per parte sua, che l’universo è caotico: una sorta di delirio di Bosh aleggiando sulla linea evoluzionistica della specie, costringe le forme viventi a un “andare avanti e indietro senza regole”. Quasi una illogicità sepolta nel cuore stesso degli esseri che li rende preda dell’imbarbarimento. Isella, nei suoi luminosi versi, oscilla con una sorta di trapezio verbale tra insetti ed essere umano. Folgoranti corto-circuiti mettono in contatto elementi normalmente separati: 

oh tubercolo pirata,
saga dei simulacri 
con cui rappezzi e inàmidi
ciondoli di caos, tèndini
chiedenti carne, carni
invocanti scatole
                              scatole con tèndini,
per vibrare più tardi
nei crepacci dell’Evoluzione
                              se da canali abbandonati
rimuovi lo stolto ridacchiare 
e cauto lo rielabori
                              in un solo pulsar lassù
di ramoscelli, genomi
strapieni di ruvidi accenti
                                 balzanti con fosforo
in lunghissima piaga






la piaga nelle cosce
la piega delle voci
che a mosca cieca s’inseguono
su diafane balestre 
apostrofando
                       “Grillotta sagittaria
in volo per Cape Town,
che mai succede oggi
alle tue cento antenne?”

“oggi captano e cacciano
il gran caprone
risorto dal manuale 
di termodinamica 
in capo al faro,
sì sì, specchio del mare 
mare dall’azzurro pelame,
il suo osso sacro perenne,
                       il Graal che rinfocola 
e splende”


Il risultato è uno straordinario viaggio immaginativo che, se si diparte dall’osservazione artistica imparentata con quella scientifica, approda però a un universo totalmente ricreato, ove la scienza appare inglobata.

                                                                                             Rosa Pierno





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