martedì 30 ottobre 2018

“Realtà in equilibrio” mostra di Giulia Napoleone alla GNAM curata da Giuseppe Appella, dal 16/10/2018 al 06/01/2019



Centoquattro le opere, fra dipinti, sculture, disegni, incisioni, libri d’artista, realizzate fra il 1956-2018 che segnano le tappe di un percorso artistico magistrale, quelle esposte presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna dal 16/10/2018 al 06/01/2019. Una mostra di tale levatura da rimanere esemplare. Impressiva e fortemente sorprendente, non solo per la maestria raggiunta in tutte le tecniche utilizzate (pastello, inchiostro di china, olio, acquarello, incisione), quanto per la capacità di formulare l’immagine. Si ha un bel dire che è in tralice, sempre presente, la ricerca all’interno della tradizione, ma l’immagine che ne risulta è foriera dell’inveduto.

Colpisce la maniera nella quale, nel percorso analitico e minuzioso del tratto, il lavoro sul motivo che costruisce la figura prende il sopravvento e il referente o l’idea iniziale si trasforma nella necessità di articolare il dettaglio, la trama, il passaggio della luce sulla struttura segnica. È un tour de force che cerca di sostituire alla riproduzione oggettiva, sia essa cielo, costellazione, onda, tralcio di foglie, il proprio gesto, caratterizzato dall’ossessione come simulacro dell’impossibile. Seguendo, in siffatto modo, le linee d’intensità delle forze sprigionatesi o colte nel modello o nell’idea, si ritrova, al di là del motivo, la potenza d’apparizione del soggetto, sebbene sia un appalesarsi del tutto particolare. È proprio nell’inversione di questa tendenza, dalla rappresentazione di un concetto alle sue line d’intensità, che il tracciato resta costantemente parziale e l’effetto della composizione arretra, non interviene che dopo, nella fase di ritorno dello sguardo alla complessità dell’opera.

Per meglio esplicitare, lo sguardo coglie la struttura e si perde nel dettaglio della stessa, ma questa è una zona indistinta, dove, appunto, l’indefinito si palesa. Non è, dunque, l’idea originaria della struttura del disegno, è una zona che potrebbe appartenere a qualsiasi oggetto o concetto. I puntini, le tacche, i tratteggi sono la struttura stessa delle cose e di conseguenza dell’io.  Col che è abbattuta la retorica dell’interiorità che vuole che il disegno esprima la singolarità o personalità dell’artista e si affaccia la consapevolezza che il soggetto è una trama, la quale si definisce in relazione a ciò che la penna o la matita tracciano. 

La preponderanza, la sproporzione esistente tra la modalità di realizzare l’idea e l’idea stessa, rende aperta la composizione, la emancipa dalla significazione. Gli effetti della trama infinitamente puntinata, oppure delle losanghe di luce di cui non si riesce a individuare il punto ove si intensifica il tono, costituiscono una collezione di oggetti nell’oggetto, ove i primi sono infiniti. Come dire i punti sono infiniti più del paesaggio, dell’orizzonte, delle foglie e, pertanto, vi è un’estensione all’interno delle cose stesse  che è priva di limiti. Pensieri si ramificano in tutti i sensi e distolgono dall’idea che pure ha ordito la composizione. Perché in ogni caso vi è da sottolineare che per Giulia Napoleone il varco tra idea e realizzazione resta necessario, è la soglia attraverso la quale s’intercetta il passaggio tra finito e infinito. Lo studio della composizione dell’immagine nulla lascia al caso, l’artista ferreamente costruisce l’ossatura del visibile.

La luce stessa non pare incidente, non sembra rifrangersi sulle cose né provenirne, ma sorgere dalla superficie del foglio. Affiora dalle strutture, le quali sembrano macchine produttrici di lucori e brillamenti: punti di luce nel nero, asole in cui la luce è più assenza che presenza. La figura, la maggior parte delle volte appena assonante con oggetti concreti, appare irrilevante rispetto alla traiettoria delle linee, le quali disegnano un effetto di ripetizione ritmata che disputa con la sostanza. Esse, infatti, non ricostituiscono una materialità, ma la sua dissolvenza. La figura, in tale formulazione, è quasi un effetto mnemonico.

Il riferimento al mondo naturale è per Giulia Napoleone indeponibile, e le sue immagini registrano il tentativo di organizzare il mondo, ma anche di svellerne le rigide rotaie, aprendosi a congetture e a relazioni mostranti l’esistenza di logiche diverse. Quest’ultime possono riferirsi a scale differenti, gerarchie non congrue, sfasamenti, glissamenti dal regno minerale a quello biologico, rinvenimenti di lacune nelle materie, tessiture dove si sarebbe detto esservi spazio vuoto. Non indica un allontanarsi dalla realtà, ma un rendere complessa la sua figurazione. Quello che si vede, non è quello che si pensa, non è quello che si sente. E l’artista pencola sul suo filo come un ragno nel vuoto. Se il mondo dell’esperienza non è sparito, esso si è moltiplicato, si è stratificato come un poliedro inimmaginabile per numero di lati. Il sé è pura perdita senza quel filo, quella traccia liminare, quella portentosa sequela di puntini.

                                                                                       Rosa Pierno



Durante l’apertura della mostra sono previsti tre laboratori dell’artista, organizzati dalla dr. Nunzia Fatone, nei quali Giulia Napoleone illustra tre tecniche (acquarello, pastello e inchiostro di china) in relazione a tre suoi libri d’artista nei giorni 27 ottobre, 25 novembre, 16 dicembre 

lunedì 22 ottobre 2018

Claudia Zironi “Variazioni sul tema del tempo” collana Versante ripido, 2018





Inevitabilmente una distanza non eliminabile tra i desideri e gli accadimenti  esistenziali accende le poesie di Claudia Zironi, contenute nel libro Variazioni sul tema del tempo, pubblicato nella collana Versante ripido, 2018, le quali come fiammiferi illuminano la scena portando alla luce, più che la nuda verità, l’abbagliante fulgore del possibile.

Nessun calcolo applicabile, nessuna strategia che faccia combaciare l’atteso con la curva sfuggente della storia, la quale s’allontana in maniera irriducibile dell’individuo o, il che è lo stesso, in maniera asintotica. Quando poi oggetto del calcolo fosse l’amore allora è di tutta evidenza l’impossibilità di far coincidere l’oggetto del desiderio con il suo calco, fosse pure quello concretissimo delle impronte lasciate sul letto. Non è la discrepanza tra ideale e caso concreto, ma tra le emozioni e l’irricevibilità delle stesse o la loro mancata accoglienza da parte dell’altro e, pur tuttavia, i versi della Zironi scivolano flessuosamente lungo una curva sonorissima, ritmica e rimata, per approdare a un paradosso che trascina il lettore in una condivisione empatica.


La fisica mi risulta semplice.
Per annullare l’esperienza
d’un intervallo temporale
in un differente stato
di moto a velocità
superluminale
e così rendere possibile
un viaggio nel tempo passato
quantisticamente teorizzato
basta solo l’emoticon di un bacio
che mi riporti alle ore
trascorse nel tuo letto

Quasi una chiusura del cerchio delle vicende degli amanti per le vie traverse della poesia. Quasi un mondo, quello del ricordo e del desiderio, che ha vita e svolgimento parallelo, ma esso è reso altrettanto tangibile per il poeta proprio dall’elenco di ciò che non è stato e dalla pagina che segna il luogo dell’incontro, determinando l’unico ambito ove l’amore si realizza, anche se solo un suo simulacro aderente però alle attese.


Non ci siamo mai guardati negli occhi
né osservato dubbiosi le stelle
non ci siamo riparati in un portone
dalla pioggia battente
non siamo scivolati sulla neve
e riso, tu non hai pianto di gioia
la prima volta che abbiamo fatto
l’amore, io non ti ho accarezzato
quando avevi la febbre, i nostri calici
non hanno tintinnato in ricordo
di anni passati, non ci siamo mai 
augurati un lungo futuro insieme.
Io e te ci incontriamo nell’aria
quando lo vuole il vento.

Claudia Zironi si dimostra abilissima nel perlustrare le scorciatoie, le dislocazioni, le giustapposizioni o le sfasatura, con una costruzione sintattica precisa:  meccanismo che fa scattare la serratura nella chiusa, aprendo la scatola sul gatto che c’è.



“…io debbo fuggire per cercarti, debbo abbandonarti per conseguirti, e darti di spalle per cogliere il tuo viso.”
Giorgio Manganelli



è bizzarro, sai? questo modo
di fuggire per amore. è bizzarro anche
che ti scriva
come se io esistessi ancora.
ma la questione
davvero bizzarra è
che non sei tu a mancare e 
non è a te che sto scrivendo.

È, appunto, la scrittura a farne le veci, ricostruendo persino le fattezze di amanti inesistenti. Il tempo sembra avere allora la funzione di inanellare le storie, di metterle in relazione con le sue sincronie, diacronie, eucronie, eterocronie. Sul suo filo si può camminare avanti e indietro al modo di un equilibrista sospeso nel vuoto. È il tempo che mette in relazione l’amore con la mancanza dell’amore e con il suo rinvenimento.


Come quando si partì per le Indie:
qualcosa c’era
anche se non si era ancora vista.
Non rispondeva e non era dislocata
secondo aspettativa.

Ma Claudia Zironi invoca la lingua, quella di Dio, capace di saldare assieme il separato. Chi ha detto che i mondi paralleli non possano contenersi l’uno nell’altro? Probabilmente, solo nell’amore può rinvenirsi il non amore e viceversa.

                                                                                Rosa Pierno



mercoledì 10 ottobre 2018

Un’indagine (anche) etica: Marco Furia su “Il nascosto dell’opera” di Angelo Andreotti, Italic, 2018




“Il nascosto dell’opera”, di Angelo Andreotti, è intenso testo, frutto di feconde meditazioni, le cui cadenze hanno 
“la forma del frammento, e dunque di un dire che non trova pace se non rassegnandosi alla sua inadeguatezza”.
Mancanza di fiducia nel linguaggio?
Direi, piuttosto, consapevolezza della sua natura.
Infatti, se è vero che
“Ovunque andiamo, qualunque spazio esploriamo, noi organizziamo”
dobbiamo riconoscere, nondimeno, come questa nostra capacità d’impostare una comune visione del mondo partecipi della stessa mutevolezza del vivere: l’esistenza, attimo dopo attimo, non è mai uguale a se stessa anche se l’idioma tende a riproporre i propri schemi.
Espresso così, in maniera esplicita, un rilevante punto di vista, il Nostro entra nello specifico di una trattazione il cui argomento è il rapporto con l’opera d’arte considerato nei suoi molteplici aspetti.
Aspetti che, emergendo via via, non possono essere inseriti in un definitivo catalogo: il “nascosto dell’opera” è ciò che è destinato a seguitare affiorando.
In simile àmbito, soggetto, risultato del lavoro artistico, spazio e tempo esistono l’uno con l’altro e pure l’uno nell’altro.
Cito a questo proposito:
“Quel che so è soltanto questo: che l’opera mi sta conducendo dove perennemente sta iniziando qualcosa, nel regno del nascente, nel limite in cui essere e non-ancora-essere, pensato e non-ancora -pensato, si stanno guardando e si confrontano nella dimensione della diversità. Nella disgregazione della separatezza dei tempi”.
Vivendo, in maniera intensa e lucida, un’empatica “diversità”, l’autore procede per frammenti la cui intima coerenza è davvero pregnante.
Lo dimostrano, ad esempio, le seguenti pronunce:
“Come a dire che la conclusione è il sentiero camminato per raggiungerla”
e
“L’opera apre spazio, e fa mondo in cui cercare e trovare si identificano, si soddisfano, ma non si esauriscono”.
E c’è, in più, un’empatia reciproca:
“Solo attraverso me, imparando da me, l’opera diventa quello che è”.
L’“inadeguatezza” del linguaggio può indurci a erronee generalizzazioni: chi è conscio del “nascosto” ha il compito di entrare tra le pieghe verbali rivelando emozioni, sensazioni, pensieri, in una parola mondi, che altrimenti correrebbero il rischio di rimanere occulti.
Quanto ai generi, mi pare che (se ce ne fosse ancora bisogno) l’intero testo mostri in modo convincente come rigidi concetti di filosofia, saggistica, prosa e poesia siano schemi superabili: certi steccati, spesso, sono davvero d’impaccio.
Mi sia concessa un’ultima citazione:
“L’opera è soggetto e oggetto simultaneamente, per questo è come se fosse in mezzo tra me e l’oggetto che è”.
Il “nascosto dell’opera”, per Angelo, è il nascosto dell’esistere?
Senza dubbio e la non implicita valenza etica della sua appassionata, perseverante, analisi mi pare si commenti da sé.


                                                                                                Marco Furia