lunedì 30 maggio 2016

"Il minimo comune viaggiatore", di Vincenzo Mascolo per la rassegna "Poeti all'Isola Tiberina" il 14 giugno 2016,


Nella rassegna "L'Isola dei poeti", che si svolgerà il 14 giugno 2016 alle 19,30 all'Isola Tiberina (organizzata da Roberto Piperno) Vincenzo Mascolo leggerà, in particolare, una poesia estratta da un lavoro intitolato "Il minimo comune viaggiatore". Fin dal titolo si comprende che la materia trattata riguarda la ricerca di ciò che è comune, del principio unitario che regola il mondo, effettuata con il metodo del viaggiatore, sorta di Grand Tour nella cultura, in cui un sogno guida l'utopico disegno: rintracciare l'unità sotto le mentite spoglie della diversità, addirittura dell'aporeticità. Dicevamo cultura perché il viaggio viene raccontato tramite topoi letterari: Dante, Shakespeare, Lucrezio, fanno da sponda all'itinerario. In realtà, Mascolo ripercorre tappe di cui, per essere egli nel secolo corrente, ha un maggior numero di evenienze di cui tener conto, le quali comportano una rivisitazione del ventaglio di posizioni messe a punto, la necessità di una sorta di rifocalizzazione.

Ma prima di parlare brevemente di questa sorta di apprendistato e di elaborazione in proprio, in cui sagacemente il mistero contemplato, tale volutamente resta, vorremmo condurre la vostra attenzione verso il linguaggio morbido e sensuoso, adottato dal poeta, il quale spezza sempre una lancia a favore di una poesia che trasmetta l'articolarsi di un discorso, che non sia data da una serie di immagini che confliggono in un caleidoscopio difficile poi da ricostruire nelle sue individue fattezze, ma che inanelli una pluralità di posizioni, dubbi e articolazioni a corredo di un'ipotesi: poesia riflessiva, civile, di ampio respiro, che squaderna tesi e antitesi e prenda posizione,a favore del metodo.

Nella poesia che presentiamo, il tema verte su un desiderio istintivo, perché non suffragabile da certezze, che il mondo e l'umano essere condividano il medesimo principio unitario. Tuttavia, prima ancora di affrontare la vessata questione, un altro punto ancora ci preme di evidenziare: tale unitario principio esiste ed è la poesia, che in forma di per se autonoma e coerente si pone come modalità di ricerca. E da questa posizione, Mascolo rivolge l'invito concretissimo, al di là della soluzione alle risposte cercate, che l'arte e la scienza possano parlarsi, innestarsi, arricchendo e vieppiù complicando, se possibile, quel quadro che solo può tentare di restituire la complessità delle relazioni e delle sostanze, delle forme e dei contenuti, dei valori etici e del valore della conoscenza.

Sarebbe questo un invito che va proprio nella direzione in cui innegabilmente, e per strade autonome, stanno andando la scienza e l'arte, al di là di quelle schematiche, rigide e sorpassate separazioni tra ragione e sentimento, tra immaginazione e conoscenza che hanno funestato le nostre menti alle prese con le manichee suddivisioni.

Cosi che "tutte le cose visibili non viste", delizioso verso, innestato come una chiave di volta nel totem di parole di Mascolo, siano finalmente presenti sulla carta dello stellato cielo e delle nostre riflessioni.  Che importa poi l'effettivo raggiungimento del traguardo, se già nell'impostare in maniera egregia il problema, non si perdono i pezzi e si può nuovamente rimirare il già visto reintegrandolo con il perso. in fondo, la poesia nasce con questa marca: capacità tecnica di sussumere in se la complessità del mondo. Una posizione che voglia indagare solo con la ragione, perde innegabilmente la visione a cui invece possono partecipare immaginazione ed emozione. Sarà un assommarsi, non certo il vivisezionare che per analizzare trancia il linguaggio nei soli modi del monosemico. Scienza oramai è d'accordo! Forse anche filosofia?

 3.


                   PRESAGI DEL FUOCO


Dell’identità molteplice del treno
- forse, perché no, persino della mia
prima che il mistero rimanga chiuso in me
e il nome mio si sperda fra terra e discendenza –
parlerei con voi per ore e ore
approfondendo con scrupolo ogni aspetto,
analizzandola in ogni disciplina
che l’ha elevata a simbolo e ad emblema,
in un viaggio ideale che percorrendo l’arte
attraversi la psicoanalisi e la scienza
(e lo intraprenderei usando proprio i versi
perché credo in potenza sia tutto la poesia
e tutto possa quindi assumerne la forma,
sempre che una forma è vero che ci sia:
il non detto l’invisibile i fasti del sentire
ma anche i filamenti del pensiero razionale,
il brulicare oscuro di elementi primordiali
che si combinano e si legano tra loro
generando la composita materia
che non si crea e nemmeno si distrugge
ma da sempre di continuo si trasforma.
E’ tempo di vegliare anche noi notti serene,
di ritornare insieme ad osservare il cielo
per raccontare adesso con parole nuove
la profonda densità di quel mistero
che declina la vita dell’uomo e delle cose,
è tempo ormai che la poesia e la scienza
riprendano a parlare con una lingua sola
dei sentieri notturni del loro ricercare
l’immutabile principio originario
dell’eterna infinità dell’universo
e di tutto ciò che è legge naturale.
E’ tempo, sì, è questo finalmente il tempo
di andare con lo sguardo oltre il confine
che ora divide l’umanesimo e la scienza,
e di scrutare la natura delle cose,
tutte le cose visibili non viste,
unificando ragione e irrazionale
ipotesi concrete e fantasia
la logica stringente all’utopia
perché riunendo le due dimensioni,
le due metà che formano il reale
si toccano le viscere del mondo
che come aruspici possiamo interpretare
in cerca dei presagi di quel fuoco
che fu per noi rubato ai primi dei.
Andare verso l’Uno, questo è il senso
condurre all’unità tutto il duale
che ci compone e nel contempo ci separa
corpo e anima, vita e morte, bene e male
notte e giorno, sole e luna, terra e cielo
e chi ne ha di più ne aggiunga se lo vuole
a questo risgranare opposti universali
che si ripete uguale da quando è nato il mondo
dai tempi del big bang e da prima forse ancora
dal tempo in cui non esisteva il tempo
quando era il caos a governare la materia
prima,
  prima dell’ordine del Verbo
che tutto, generando, ha separato.
Di questo ci troviamo a conversare
con il mio amico Gigi nelle giornate estive
mentre cerchiamo di ingannare il tempo
- ma è lui a ingannarci con il divenire -
rimanendo immobili per ore
a misurare con lo sguardo dalla riva
la distanza che divide l’orizzonte
dalla superficie curva della vita.
E se Gigi non mi sta in cagnesco
quando mi attardo nelle mie teorie
vostre eccellenze, non ci manca molto
perché lui abile chirurgo del cervello
è sempre la metà fisica del tutto
che privilegia nel nostro dialogare,
la forma di realtà che già conosce
la più rassicurante, abituale
che non richiede di scavarsi dentro
in cerca della fiamma originale
e come Giovanni Drogo nel deserto
nel corso del mio dire sul duale
asserragliato nella sua fortezza
al confine nebuloso del reale
scruta e riscruta in lontananza i segni
           dell’incedere nemico che minaccia
la difesa del suo credo razionale.
“Il mondo che disegni è molto bello”,
mi ha detto Gigi un giorno sorridendo
scuotendo però il capo lungamente
come a volersi scrollare dal cervello,
da quale degli emisferi poco importa,
ogni residuo delle mie parole
anche le particelle elementari
e la radiazione cosmica di fondo
emessa dalle mie onde vocali,
“la lotta tra gli opposti è suggestiva
e mi rimanda al mare dell’eterno
nel quale forse è dolce naufragare.
Ma io vedo intorno a me dolori atroci
io vedo grande sofferenza e pianto
e torno in quei momenti alle tue voci
sull’unità infinita che governa
la natura dell’uomo e delle cose
e a tutti gli altri tuoi racconti
sull’andare e venire dell’essenza
per unirsi alla coscienza universale
e allora penso che nell’esistenza
noi con la finitezza dobbiamo fare i conti,
è quella la realtà, è lei la nostra sorte,
nessuna tua parola, per quanto luminosa,
potrà mai diradare il buio della morte”.
Ci siamo salutati poi al tramonto
stringendoci la mano un po’ più forte
come volendo apporre nuovamente
  il suo sigillo al libro del mistero
che sfogliavamo poco prima insieme
ma ricordo che ancora dopo ore
ripensando da solo al nostro incontro,
alla voce di Gigi senza incrinatura,
ho sentito più volte risuonarmi dentro
l’eco lontana di quel suo dolore
e nel guardare il cielo della notte
per un istante o forse per mezz’ora
del suo silenzio ho avuto come lui paura)


Cercai la scaturigine segreta
del fuoco che si cela nel midollo
della canna, maestro d’ogni arte,
via che si apre.

(Eschilo, Prometeo incatenato, tr. di Enzo Mandruzzato, ed. Rizzoli BUR)


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