martedì 16 aprile 2013

Mostra di Gina Hoover “Silent Interactions” presso la Eco gallery

Inaugurazione 17 aprile 2013 ore 19.00
presso la Ecos Gallery in Via Giulia 81/a, Roma
a cura di Pia Candinas

  
La forte e radicale espressività della pittura di questa giovane artista colpisce all'istante. In Facebook Series vediamo ritratti e paesaggi improntati da pennellate veloci, determinate e sicure, così come i colori che emanano una forza visionaria; lo si vede nei rossi, bordeaux, gialli, verdi e blu, nel nero quasi minaccioso, e nelle sfumature cromatiche che ricordano Goya,  Manet o Marlene Dumas. L'artista raccoglie in questi piccoli spazi i lunghi passaggi della pittura dell'Otto e Novecento, come se in particolare il mondo della ritrattistica le fosse appartenuto da sempre. La serie dei 150 ritratti (formato cartolina postale) della Facebook Series sembrano accostarsi al mondo di Manet, uno dei grandi padri del modernismo, che nei suoi ritratti (in questo momento esposti a Londra in occasione della bellissima mostra Portraying Life), mostra quell'incisività delle pennellate sullo sfondo astratto della tela (non più decorativo e non più rappresentativo), dei paesaggi e dei volti che inaugurano la pittura contemporanea. Gina Hoover, come Manet, concepisce lo sfondo della tela come astrazione,  i suoi ritratti ricordano inevitabilmente Berthe Morisot en chapeau de deuil a long voile, George Moore dans le jardin  o Mallarmé, ritratti che hanno segnato la tradizione pittorica sempre più impegnata al limite tra l'astratto e il figurativo, e caratterizzata da un'impressionante visione psichica pre-Freudiana dell'essere umano.
 Con i suoi facebook-ritratti Gina Hoover ha cercato a modo suo di raccontare le vicende umane del mondo di oggi, inventando una sua "galleria dei personaggi" che talvolta ci risultano vagamente comici: misteriosi e un pò disturbati, questi personaggi sembrano voler uscire dalla tela per venirci incontro. Siamo colpiti da dettagli e da particolari che raffigurano cose strane, selvagge ciocche di capelli, delle labbra grosse con trucchi pesanti, occhiali da noioso intellettuale, etc. L'insieme è una grande famiglia di  ritratti di giovani, divertenti, teneri, angosciati, perplessi:  figli del XXI secolo che a volte sembrano già vecchi e crudeli testimoni del nostro tempo. Se l'intento di Gina Hoover era di dare un volto umano al popolo del Facebook, ci è riuscita meravigliosamente.
Lo stesso vale per le tele di formato più grande: figure umane misteriose, spesso familiari o parenti presi da vecchie fotografie, con uno sfondo visionario di paesaggi che assomigliano a immagini rurali della Depressione statunitense.  Il ritratto Jacob C. Willems (2011) si collega alla tradizione pittorica e ritrattistica del Novecento, a cui Gina Hoover aggiunge la sua elaborazione di un debito al codice fotografico, che fa da transfert per le sue numerose composizioni. Siamo quasi invitati a chiudere gli occhi e a percorrere insieme alla nostra visione ricordi,  facce, sguardi e gesti inafferrabili che la tecnica di questa giovane artista  rende astrattamente visibili.
                                                                                                    Pia Candinas


Intervista di Pia Candinas con Gina Hoover
  
PC: La maggior parte dei tuoi quadri sono di persone  ritratte da fotografie. Mi puoi dire qualcosa a riguardo?
GH: Non ho mai usato una foto scattata da me per  farne un dipinto. Ciò che mi attira di piu' dei ritratti fotografici è che non devo incontrare la persona che ho scelto come soggetto della pittura. Piuttosto, mi capita di conoscerle e capirle mentre le dipingo e ne studio l’immagine. Così, tendo a scegliere le mie immagini in base a questa  riflessione: " con chi  in una stanza avrei più probabilità di comunicare."
 
 PC: Sei attratta dalle  fotografie che sembrano incomplete, misteriose, o che in qualche modo non forniscano informazioni chiare, oppure preferisci fotografie che documentano ciò che già sai e che si sta  rafforzando nella tua memoria?
GH: Il” mistero” nelle fotografie è la parte più allettante. Il mistero permette una certa libertà di prospettiva. Il mistero si  può  manifestare in vari modi, se la storia precedente è nota, posso risalire a ciò che è vero e a ciò che è rimasto nell’ombra, mentre se la storia precedente è sconosciuta diventa ancora  più  una sfida a cambiare  ciò che è vero e ciò che si realizza attraverso l’interesse dell'immagine.

 PC: Sei interessata a come le fotografie sembrino rappresentare una verità e invece traggano in inganno lo spettatore o addirittura mentano?
GH: Le fotografie possono produrre un'immagine“artigianale”di stile di vita che è specificamente adatta all’ immagine di una persona. Questo è il caso nella mia serie Facebook. Facebook ha creato la capacità di mettere a fuoco un secondo io e questo fatto è la specificità del mio lavoro.

PC: I soggetti sono sempre membri della tua famiglia? E  li hai incontrati di persona? Come li scegli ?
GH: Prima del  2010 il mio lavoro aveva a che fare quasi esclusivamente con la mia famiglia. L’attenzione era sul conflitto tra l’immagine e l’attualità. La mia famiglia aveva problemi di fondo  di cui ero consapevole, che si combinavano  con la storia della parentela dando  un’ idea della realtà dell’immagine.

 PC: Ogni fotografia è stata scattata in un momento specifico del passato,   in modo da fermare  il tempo, o almeno ci fa pensare a come  il tempo scorre  lasciando una realtà decadente. Che relazione c’è fra la pittura  e il passare del tempo?
 G.H. Vi è un ampio margine di tempo nelle mie immagini, dal principio del 900  alle più recenti immagini con tag Facebook. E’ l'atemporalità e i fili conduttori  tra le diverse epoche che sono affascinanti. La capacità di riconoscere lo stesso sguardo cento anni dopo crea un “sublime statico”.

PC: Puoi descrivere la differenza tra ciò che una foto racconta e ciò che la pittura esprime in alcune istantanee?
GH: Nel dipinto Giacobbe (Jacob) C. Willems mi sono concentrata sulla differenza di come la figura è stata ritratta. La fotografia era in un baule militare tra migliaia di altre quando è stata trovata. Al momento della sua scoperta era un segreto con cui ora avevo un rapporto intimo. Il potere del segreto è quello che volevo trasferire in un dipinto. E' la sensazione di scoperta e di connessione personale che volevo ricreare. Nel dipinto, sono stata in grado di dare a Jacob la forza richiesta dalla sua immagine originale 

PC: I sentimenti evocati in una fotografia sono diversi da quelli evocati in   un dipinto? C'è una differenza tra "emozioni e foto" "Emozioni e  pittura"?
 GH: Ci sono forti differenze tra le emozioni delle foto e le  emozioni della pittura. Un'emozione in una  foto è istantanea, una sensazione automatica di empatia con l'immagine. In pittura questa empatia esiste, ma a causa di altri fattori di (come): mano, pennello e colore, c'è un ritardo che produce un diverso tipo di rapporto, non  verso un essere umano, ma verso una sensazione.

PC: Quando si inizia con una fotografia, si   decide  subito, e deliberatamente, quali elementi eliminare e quali   sottolineare? O è il processo della pittura  a  condurre naturalmente a cambiamenti  rispetto alla fonte?
GH: Dipingere per me è una conversazione. Ci sono alcuni aspetti che si tradurranno,mentre la conversazione continua questi aspetti potrebbero dimostrarsi più o meno rilevanti  e altri elementi di minore importanza    potrebbero  diventare i più determinanti  alla fine.

PC: Qual è il tuo rapporto speciale con i ritratti? Sei interessato a  qualche ritrattista particolare nella storia dell'arte? Oppure a quegli artisti che fanno uso diretto delle fotografie…?
GH: Ritengo che i ritratti siano un modo privato di guardare le persone Questa è la ragione per la quale il lavoro di Sophie Calle mi incanta. E' il modo in cui interagisce con i suoi soggetti. Anche il  lavoro di Marlene Dumas ha avuto un impatto su di me. È lo sguardo che dà le sue figure, una immediatezza di empatia, nonostante possano essere differenti da te.

PC: Che cosa vuoi fare nel tuo lavoro che non hai mai visto fare da un altro artista?
GH:  Mi  sembra che il mio lavoro si allontani dalla pittura nel senso tradizionale. Mi piace il colore, ma voglio lavorarci in modo più mirato. Sono molto interessata alla luce come mezzo per creare l’immagine. Ha l’abilità di illuminare e nascondere qualsiasi cosa, caratteristiche intimamente collegate alla mia materia.. Ho iniziato con un lavoro su tela non stirata che credo sarà il percorso su cui continuare.

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