martedì 30 aprile 2013

“Le ragioni della poesia” di Flavio Ermini



Note sulla ricerca letteraria di “Anterem”

Terza serie della rivista: 1983-93



L’espressione che definisce la terza serie di “Anterem” (1983-93) è: Le ragioni della poesia. Un passo ancora: per guadagnare quel terreno originario del pensiero che consenta un più radicale domandare; al fine di accedere a una poetica prima della poetica, prima cioè del suo irrigidirsi nelle forme tipiche delle sistemazioni dottrinarie. Dunque una poetica finalmente in armonia con il luogo del soggiornare che le è proprio: la radura aperta al dire ulteriore.
Un passo ancora: verso il respiro dell’essere. Nell’esposizione a un pensiero che, parlando dalla poesia, richieda la responsabilità etica del poeta, chiamato a corrispondere al testo e a condurre il lettore alla convergenza del sapere con l’inconosciuto.
In questa serie viene ricordato che il poeta in fondo ha un solo compito, ma capitale: spingersi fino al limite del dire oltre il quale ha luogo la contesa originaria che nomina l’iniziale differenziarsi del tutto. Ricordando tale compito, “Anterem” registra il movimento in avanti del pensiero poetico e insieme chiede di riflettere sui suoi fondamenti
La poesia e la parola che la costituisce non appartengono dunque al poeta perché non è lui a deciderne il senso, in quanto, come scrive Hugo, il poeta sa soltanto in parte, a volte in minima parte, ciò che la poesia finirà col dire al lettore. Ignora quale dimora prenderanno i suoi versi.
La parola del poeta conduce in realtà all’ascolto di se stessi e non della poesia. Ecco perché la parola che stiamo ascoltando è vicinissima a ciò che siamo. Ecco perché scopriamo che non c’è diversità tra quella parola e il silenzio che porta diritto a noi stessi. La poesia, come suggerisce Paul Celan, è «forse soltanto uno sviamento che porta da te a te». Questo «sviamento» nasce dal desiderio di dare respiro al respiro della parola; scaturisce dalla necessità di far risuonare il silenzio originario, quel silenzio da cui ognuno di noi proviene e nel quale ciascuno di noi, leggendo, torna a dimorare.
Il poeta dunque è colui che chiama dal silenzio. E invita il lettore a testimoniare il limite e a toccare i bordi dell’essere.
Il senso di quanto il poeta sta per dire ancora non c’è in nessun luogo. L’ascolto di quella parola impone davvero di mettersi in viaggio verso se stessi.
Con Le ragioni della poesia “Anterem” torna a sospendere la frontalità tra poesia e pensiero, giungendo a chiedere al poeta di esporsi alla necessità che lo ha fatto pensare; di affidarsi a nomi declinati come elementi naturali, anteriori alle distinzioni fra soggettivo e oggettivo; di aprirsi un varco verso ciò che resta di impensato.
Ci domandiamo: è ancora praticabile un respiro poetico che viva unito alla filosofia e alla scienza in virtù della necessità e, come chiede Zambrano, «in un’unità tanto intima e autentica da risultare invisibile»? È ancora configurabile un nesso tanto preciso tra sentire, parola e pensiero da cogliere in tutta la sua forza la lacerazione tra l’uomo e il mondo?
La possibile definizione di essere pensante è questa: un essere che non si lascia pensare da un altro essere o da una macchina. E la poesia? La possibile definizione di una poesia pensante è questa: una poesia che non si lascia pensare da un’altra istanza.
Chi lo può negare? Il pensiero della poesia non è più il pensiero della filosofia, dell’estetica, della critica letteraria, ma un pensiero che parte dall’opera stessa. Non solo. Il pensiero che parla dalla poesia è un pensiero che non può aver dimenticato di essere originariamente poesia.
Con la terza serie di “Anterem” viene rimessa in circolazione l’idea di una parola che si costituisca nei confronti delle cose come esposizione e ascolto senza mediazioni. E questo perché la parola non abbandoni totalmente l’inquietudine dell’enigma per la quiete del già-pensato.
Per la parola poetica non si tratta di afferrare le cose, come vorrebbe il già-detto, ma di incontrarle. Nominando la cosa, la poesia le rivela il suo destino così come lo assegna a se stessa.

                                                  Flavio Ermini


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