sabato 26 gennaio 2013

Gio Ferri su “Drammi, resurrezioni, poesia: Emilio Isgrò e le storie di Gibellina”



Senza alcun dubbio i naviganti web affezionati a questo sito (“Trasversale” diretto da Rosa Pierno) sono sicuramente amanti della poesia, del teatro, della musica. I più anziani di loro ricordano benissimo gli eventi che tanti anni fa colpirono il Belice e in particolare la città di Gibellina, e non hanno probabilmente dimenticato (anche se purtroppo i nostri tempi sovente sono senza memoria) le vicende civili e artistiche che segnarono la morte e la resurrezione (assai tarda per ragioni politico-burocratiche) di quei territori. I più giovani forse, salvo eccezioni sorrette da personali letture, ne sanno qualcosa solo vagamente per sentito dire.

A ricordare a noi tutti quelle vicende, drammatiche e insieme uniche e entusiasmanti, è fortunatamente arrivata, programmata non a caso per il 15 gennaio 2013, la presentazione, presso il “Museo del Novecento” di Milano, del volume, edito da “Le Lettere” di Firenze, L’Orestea di Gibellina e altri testi per il teatro. Autore Emilio Isgrò, curatrice la grecista Martina Treu. Di fronte al numerosissimo pubblico sono intervenuti alcuni dei protagonisti degli ormai ‘antichi’ avvenimenti: lo stesso Emilio Isgrò, Martina Treu, lo scultore Arnaldo Pomodoro, il regista Filippo Crivelli, l’attrice Anna Nogara, e altri ancora.

Fra il 15 e il 16 gennaio 1968 un terribile terremoto distrusse il Belice e in particolare Gibellina fu rasa al suolo. Il sindaco e senatore Ludovico Corrao (purtroppo recentemente scomparso) subito progettò di ricostruire i luoghi non solo, e necessariamente, dal punto di vista edilizio, bensì anche dal punto di vista culturale e artistico: ciò al fine di far risorgere una antica civiltà greco-sicula che per millenni aveva caratterizzato la vita di quelle terre. Furono invitati in diversi tempi per le arti gli scultori Alberto Burri, Pietro Consagra, Andrea Cascella, Fausto Melotti, Ettore Colla, Mimmo Paladino, Mario Schifano, Arnaldo Pomodoro, Carla Accardi. Negli anni non mancarono gli interventi in luogo di performers quale per esempio Joseph Beuys.

Prese forma uno straordinario museo all’aperto che andò arricchendosi negli anni. Tuttavia il pur pregevole piano urbanistico-architettonico si prestò, e si presta, a critiche: i decenni passati dal disastro alla ricostruzione fecero invecchiare il progetto (l’architettura si fermò ai criteri degli anni ’60), ma soprattutto nel frattempo si verificò un naturale spopolamento (gli abitanti per anni rifugiati in baracche emigrarono pian piano altrove). Venne meno perciò l’antico tessuto civile, abitativo e produttivo, e la nuova Gibellina sotto diversi aspetti apparve, e ancora in parte appare, una città, se non morta, artificiale.

Comunque la necessità di vivacizzare il nuovo complesso, richiamando, seppur in forme culturali rinnovate, la memoria di un raro passato millenario, sempre per merito del sindaco Corrao, portò a promuovere, oltre all’operato degli scultori, incontri culturali e spettacoli sul territorio, in una linea estetica e storico-sociale con le scoperte artistiche italiane ed europee degli anni ’80.


Nel giugno del 1983, e per le due estati successive, su incarico di Ludovico Corrao e con il contributo del Teatro Massimo di Palermo, e la regia di Filippo Crivelli,  Emilio Isgrò tradusse magistralmente e mise in scena un evento teatrale all’aperto: L’Orestea di Gibellina. Così ha riassunto le notizie riportate dal volume citato e ha introdotto il dibattito al “Museo del Novecento” di Milano la docente e studiosa di teatro greco Martina Treu: «Nella location particolarissima delle rovine di Gibellina per la prima volta Isgrò realizzò il suo testo teatrale più significativo: una riscrittura dell’Orestea di Eschilo in un originalissimo impasto linguistico di italiano, siciliano, e altri idiomi qui e là anche espressivamente inventati. Così fu inaugurato un nuovo straordinario spazio teatrale (che ancora oggi ospita un importante festival internazionale) segnando una svolta epocale nella storia degli spettacoli classici, non solo in Italia. Oggi, a distanza di oltre un quarto di secolo, quello spettacolo resta nella storia per la grande portata simbolica e la rilevanza dei contributi artistici (dalla musica di Francesco Pennisi alle scene – macchine mobili – di Arnaldo Pomodoro). In questo volume l’autore ha restaurato il testo, mantenendo la ricchezza dell’impasto linguistico e la forza dell’ambizioso impianto corale…».

La rappresentazione si realizzò in uno dei profondi crateri di Gibellina (in una giornata di imprevisto violento e rigenerante vento mediterraneo) con la partecipazione diretta di molti abitanti del luogo e degli spettatori che parteciparono fisicamente e vocalmente ai movimenti drammaturgici delle masse. Furono coinvolti, con partecipazioni innovative, anche gli abitanti che per antichissima tradizione avevano organizzato in passato processioni religiose (di lontana radice pagana), recando sulle spalle altari e immagini di santi. Oltre all’Orestea il volume raccoglie di Isgrò i contributi critici e i ‘manifesti teorici’, insieme ad altri pensati per la scena. Martina Treu, nel volume, secondo la sua stessa ammissione  «Isgrò ha corredato i testi di annotazioni e apparati critici, tesi a facilitarne la comprensione anche a un pubblico non siciliano e a metterne in luce le complesse relazioni, tanto in ‘verticale’ (col passato, e in particolare con il Mediterraneo antico e la Grecia classica, a partire naturalmente da Eschilo), quanto in ‘orizzontale’ (con la restante produzione dello stesso Isgrò e con il mondo culturale e artistico contemporaneo)».


È superfluo forse, qui, dire di Emilio Isgrò, uno dei nostri artisti più inventivi e prolifici, oltre la stessa esperienza di Gibellina: per il più vasto pubblico è il poeta visivo delle notissime “Cancellature”, ma multiformi (come ricorda ancora Martina Treu) sono i suoi interventi in altri campi delle lettere e delle arti, dalla poesia alla narrativa al teatro. Tuttavia qui appare interessante valutare ciò che sembrerebbe distante e contraddittorio, riprendendo le “Cancellature” a fronte dell’esperienza di Gibellina. C’è invece un sotterraneo legame fra le due operazioni, come è emerso anche dal dibattito al “Museo del Novecento”. Con le “Cancellature” Isgrò ha inteso e intende liberare i testi troppo spesso manipolati e falsificati dalla storia e privati della loro originarietà: creare quindi un vuoto testuale per offrire l’opportunità, a chi ne abbia la capacità come autore e lettore, di ricominciare al di là di ogni accademica ideologia poetico-culturale. A Gibellina terremotata Isgrò ha trovato quel vuoto, quella tremenda cancellatura storico-ambientale e, realizzando il suo progetto rigenerante, lo ha riempito con il mito, con la poesia, con la tradizione antica e non mistificata di un popolo, creatura e generatore di una straordinaria civiltà.

La sera del 3 giugno 1983 – fra i gemiti di quel vento che filtrava attraverso le macchine  mobili di Pomodoro e i resti del disastro – il racconto iniziò con una struggente recita di versi (recitati anche durante l’incontro del 15 gennaio 2013 a Milano) che introducevano alla memoria del passato e alla drammaticità della sua cancellatura, il Canto del carrettiere:

Zotta in Sicilia significa frusta. / Ed è con questa frusta che si chiama zotta, / che pungo questa cavalla quando annotta / su Madonie, Peloritani e Nèbrodi. / È con questo nerbo che la spingo. // Ma non la freno né la tengo a bada / e tremo, tremo se alza la cresta / dalla sua biada / lungo le pianure e sopra le voragini. // Non scalciare. Pensiero, / fermati, fermati, destriero, / dentro le vertigini! / Inchiodati carretto! // Non superare gli argini che restano / sul ciglio dell’abisso. / La lanterna si è spenta / in questa notte eterna. / Come sono ferito, sfracellato al viso! // È l’occipite che canta contro il sasso a punta. / Ah la mia povera testa! / Ah Cassandra! Cassandra! / Giumenta maledetta!

Il lamento del vento, come bestia ferita, che non vuole chiudere gli occhi, recava agli spettatori i versi del carrettiere che era apparso sulla scena trascinando le due enormi ruote di Arnaldo Pomodoro.

La Cassandra di Euripide aveva detto:

Ahi sventure, sventure della città interamente distrutta! /  Oh sacrifici del padre per la salvezza delle mura, /  strage grande di greggi pascenti, / rimedio non diedero alcuno perché la città / non soffrisse la sorte che ha. / E presto io, anima ardente, al suolo cadrò.

Certamente, molte nuove ed egregie cose sono sorte a Gibellina grazie alla poesia. Ma l’antica Gibellina, caduta, non c’è più.
                                                    
                                                                               Gio Ferri

Foto di Patrizio Nesi: Orestea di Gibellina di Emilio Isgrò e Arnaldo Pomodoro, Rotella fantastica per L'Orestea di Gibellina di Emilio Isgrò, 1983-1985

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