martedì 22 gennaio 2013

dalla raccolta “Appunti di un falegname senza amici”, inedito di Alessandro Assiri, 2012


Non è possibile né scindere né unire esistenza e scrittura: a tratti distinguibili, a tratti coincidenti. La scrittura, oltretutto, spesso rifiutata quando pare che attraverso essa si definisca la persona, il poeta inteso in quanto dialettica identità/maschera, ma ancor di più accoratamente seguita, pedinata, curata per rintracciare in essa qualcosa di personale. Il registro lessemico si rincorre tra queste due sponde senza soluzione di continuità, attingendo alle cose e l’attinto lanciandolo lontano da sé, come cosa non autentica. Continuamente risospinte ai bordi dell’esistenza da che centrali erano, le cose, i libri in maniera preponderante, costituiscono il fulcro, anche in negativo, di questi testi poetici. Il soggetto dichiara di non sapere, di non conoscere le cose reali, le cose che corrispondono alla realtà: il vetro, il cemento,  per condurci di fronte allo spettacolo della sua interiorità, quella relativa ai sabati a tracolla trascorsi in casa, ma è un’interiorità piena di buchi, di oggetti che stanno al posto di altri, che ne usurpano lo spazio. Poiché, appunto, altre sono le cose che si vorrebbe avere e la loro mancanza depaupera il soggetto, lo rende presente solo tramite una matita: considerato che è attraverso la rappresentazione che si pensa di mettere in atto una resistenza rispetto a una realtà non accogliente, con cui non si trova accordo. Resistere, non accettare, non conformarsi è l’ultima strenua attività, ma il disegno,  la scrittura si appropriano del corpo - siamo letti pur senza che pronunciamo nulla -   dunque, la strategia da mettere in piedi si complica. Scrittura si alloca nello spazio esistenziale, di cui il poeta avverte l’usurpazione e, dunque, è necessaria anche una ribellione alla scrittura, la quale è cresciuta  a dismisura, e proprio mentre il poeta se ne allontanava, quando era divenuta quasi una cosa familiare, tessuta con frequenza quotidiana. Ribellione che denuncia che lo spazio esistenziale è altro, è negli interstizi del tempo, quello sospeso, quello delle pieghe. Quello riposto nell’infanzia. D’altra parte, Alessandro Assiri lo ripete, la scrittura brucia più storia di quanta ne produca. Chiede che l’esistenza stessa faccia da combustile alla sua realizzazione. E dunque in questo divario, in questi due tempi differenti, così come sono diversi carne e scrittura, si situa l’esistenza del poeta. Difficilissima disputa, poiché la scrittura si dice di carne, è parte del poeta, e proprio mentre ne costruisce il simulacro. Crediamo che in questo scarto non dirimibile sia la cifra di questo testo, in cui la bilancia  non può pendere a favore di nessun corno del problema e se, pertanto, il dramma è costituito da un drago a due teste, bisogna affrontare entrambe: convivere con la scrittura così come si convive con un altro essere, con la sua presenza, con la sua assenza, cercando di liberarsene, gettando altra storia nel testo.


Il gatto la volpe e l'armeria dei briganti

E' una questione di qualcosa, forse di fretta o meraviglia, ma qui si respira male
sia le sorprese che le scuse, poi le stelle finiscono o si vedono di meno ed improvviso ci si scorda
che a bologna un libro in tasca lo devi sempre avere così se ci si incontra se ne ha un pezzo da strappare

non so più se è troppa neve o se grattiamo male il vetro, se contano i numeri o il cemento
è quasi un'ora che hai le mani chiuse, un'ora oltre le cose dalle ciglia amplificate
con cui sbatti l'alfabeto

la fine degli auguri forti, se fossi capace ci metterei una croce, ma quando penso che sei scrittura chiara
mi vengono in mente tutti i sabati a tracolla dove il nemico si combatteva stando a casa
e un po' mi irrigidisco come quando si va in vacanza e si ostenta il coraggio con la testa tutta indietro

i fiori non li voglio recidono i pensieri, diventano formule di saluti risentiti, come essere costretti a vivere sempre con i saldi
tra i toni grigi che arrivano dal terzo, coi figli di corsa e gli zerbini severi
siamo solo un po' di sporco accanto a dormire il nostro sonno coi buchi

mi è arrivato in ritardo c'era rimasto addosso poco,solo una somiglianza vaga una resistenza a matita
dalle maiuscole ti riconoscerei tra tanti, la storia sempre più piccola di una materia che conosci
continua ad andare spesso a capo, le lettere grandi tirano a fine mese un gesto trasgressivo dei sensi

vedi che alla fine saltano fuori i nomi con lentezza ed ovvietà anticipano i corpi e si rimangiano parole
chiamano le descrizioni del mondo con meticci movimenti di accattoni  e concorrenti
non avrai altro dramma al di fuori di me, a questo ci condanna il nome a essere letti anche senza voce

quello spazio bianco è pelle dove devo inventare una retorica, un’esecuzione di sentimenti
un buon pomeriggio a cui chiedere scusa, la lista della spesa e quella dei nemici
vedo virgole danzanti cadere come folgore, il servo che ci chiama non è diverso dall'anagramma stupido di un verso

vorrei scrivere tutto quello che tocco che sei morbida sul tardi che sei cresciuta a misura del mio stesso allontanarmi
la vita che si riassume non è mai quella precisa dello sporco ne del risparmio del sale  
piuttosto è quella delle ore, delle distanze fatte a piedi, dei corridoi lunghi, dei balconi da dove ti sporgevi


le parole che abbiamo scritto insieme ci fanno apprendisti su tutto, ci mettono sonno al posto dell'angoscia
sembra di uccidere sorrisi in una lingua sconosciuta, nessuna scala per il paradiso
ne ascensori per posti irresistibili, ti lascio ai tuoi ricordi scuri e torno a rimproverarmi di un giovedì minore

le tue righe successive invadono i libri di segni, ci deludono, ci avvertono, come consigli ci rincuorano
poi solo rumore all'impazzata, primavere dai conti salati rimasticano i vuoti nel peso di qualcosa che decide
se mi muovo mi stai dietro, in un altro libro scritto bruci i chili delle scorte


quando diventi scrittura ricomincio a cambiare, ti aspetto dritto senza nipoti e senza slanci
ti muovi d'altro dentro mentre irritata ritorni di carne, senza sconti cerchi il muro che ti piega
nel buio della gonna dove a volte piove tutto il tempo che ti resto nelle gambe

finisce tra due metri con il pane e con la pasta, starò magari bene, ma per ora non si sente
tutto quel che si può fare è un impossibile un po' corto, l'hai trovato dentro il frigo
tutto il mondo che hai rubato, con le mani dentro al vaso e i cavalli a dondolo a batterci in testa

il mio sud è qualcosa in discesa consuma più storia di quella che produce, ha un ginocchio per la morte
un triciclo per l'amore e qui lo sai si trova casa in fretta senza esagerare con le linee troppo chiare
scendevo a patti con i tuoi inviti  con la ferocia della caccia e col letto da bagnare


chi balla nei vestiti fugge da un pericolo col bavero rialzato, accumula squilli e nocche spellate
divani dove insistere trascinando i propri strappi di perimetri insalubri come affitti stagionali
i soggiorni brevi delle estati, le notti appena fresche a strapparti dal riposo cosi toccato dai tuoi mali

la mia pazienza è il doppio esatto dei tuoi vocaboli, insieme fanno le spalle
in questo freddo di scrittura come vita che ci usura, questo cielo inizia dal tallone
da una terra provvisoria di parole in catene, dove bruci più storia di quanta ne produci

stavamo come Roma ad assorbire un vantaggio di un mestiere che si impara
nell'insistenza di quel dio che tiene l'uomo ostile minacciandoci col cielo
tutti presi a prender le misure delle piccole ambizioni, dei piatti di portata

quale lato viene fuori? è il blues che preferisco, dicono di me che tu non guardi mai
nel gomitolo del nome ai fili ricevuti e si faceva quel che si poteva per stare più in vetrina
adesso vediamo l'ora in cui partire, immaginare l'armadio dell'arrivo col supplemento del cuscino

il venerdì che siamo scesi dall'albero per tornare in casa era fatto solo di bambini e di cerotti
tenevamo l'orizzonte in basso una qualità modesta, il conto chiesto in fretta dei vent'anni meno
le biglie coi ciclisti che ci sorridevano al ritorno dalla volata finale ancora sporche di sabbia

facevi sulle dita le addizioni difficili, riparavi gli errori aggiungendo una spanna
rimediavi per noi che dovevamo pur vivere cercando di accorgercene
ritratto di una voce che riscrive le nostre virtù misere al sicuro dai rovesci

contribuiamo a darci il volto di una vita in abiti leggeri, perché restaurare sarebbe rimanere
fedeli a una misura legata all'inverno, gomitoli di rese e toppe improvvise
tu che prima di scrivere non conti e le sillabe che diventano saliva zavorrate di pesi

sul pavimento qualche goccia di un grazie appeso ai denti come se scappare fuori ci pulisse dentro
come la sera della festa  che da sempre è degli avanzi, ti trovo un po' più esperta verso una fine di vacanza
a trasformare la casa come diretta conseguenza ad accarezzare con il sidol le maniglie della porta

ti vesti e io ricucio quel che di esatto c'era, tra l'erba cercavamo copertura
è compito della luce elaborare la fame, rifarsi amanti mediocri, lavarsi per primi
domani ti dimenticherò meglio, domani che avrò fatto acqua quando serve

                                                                              Alessandro Assiri

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