sabato 15 dicembre 2012

Carolyn Angus: una scultura di ombre, rigide come legno




Diplomatasi in scultura all’Istituto The Glasgow School of Art, Carolyn Angus realizza le sue opere preferendo materiali morbidi, flessuosi, che non escludono mai la possibilità di far percepire attraverso la loro tramatura o trasparenza ciò che si colloca dietro. Il rimando ad altro è del tutto visivo, ma un visivo appena presagito, quasi solo immaginato: meno di uno spettacolo di ombre. A tratti solo parvenze a indicare che l’attenzione viene indirizzata agli aspetti più temporanei e instabili della materia, e proprio quando la materia sembra solidificarsi attraverso i nodi della corda, gli attorcigliamenti della stoffa, l’intreccio della paglia: trattamenti che contribuiscono a rendere più solida, infatti, la struttura. La Angus ci consente con i suoi lavori una perlustrazione nella terra di mezzo delle parvenze, che metonimicamente si riferisce all’intero mondo di percezioni, ricordi, intuizioni che formano il non espresso della nostra vita interiore. 
   
Eppure, proprio il mondo interiore rimanda al mondo naturale tramite un legame strettissimo e ineludibile. La natura compare nelle opere dell’artista scozzese di continuo: dalla carta, alla stoffa, alla corda si noterà subito come tutti questi materiali abbiano origine naturale, e ricevano, inoltre, anche un rimando figurale agli elementi vegetali. Alcune sue sculture mimano con la carta i rami di un albero: la cartapesta, cava al suo interno, rappresenta, si potrebbe dire, la pelle dei rami, tramite uno svuotamento che inverte la rigidezza in flessibilità. Oppure si pensi alle ghirlande di foglie, opere con le quali l’artista si situa nel cuore della querelle mimesi/rappresentazione, ma come doppiandola, rovesciandola, rifrangendola in una sorta di gioco di specchi rivolti uno verso l’altro e mostrando quanto alla fine una questione così basilare per la filosofia divenga un non luogo a procedere nella pratica artistica.


È la rappresentazione con le sue regole, anziché la mimesi in rapporto al suo referente, a costituire per l’artista il cuore del problema. Ogni volta l’artista procede partendo da un oggetto, dalla percezione, dalla memoria e dall’intenzione di effettuarne una rappresentazione giocando fra queste sponde una partita i cui risultati costituiscono  l’oggetto estetico. In questo continuo basculare tra forma, contenuto, intenzione cosciente, intuizione, espressione, scoperta, l’artista produce l’opera in quanto risultato di un processo, in cui forma e contenuto sono così inscindibilmente intrecciati da rendere l’oggetto creato come appartenente al regno dell’arte, di cui qui si dichiara la totale autonomia dal reale.

Se dovessimo usare le opere di Carolyn Angus per indicare ciò che abbiamo appena espresso, prenderemmo come esempio, quelle costruite con la sovrapposizione di fogli aventi diversa consistenza e trasparenza, e in cui nel foglio sottostante appare, ritagliata, la sagoma di una fronda e nel foglio di carta lucida sovrastante è dipinta una corona di alloro. La difficoltà di distinguere fa parte dello specifico contenuto formale dell’opera, il passaggio lievissimo e incerto fra i vari livelli di grigio e le ombre rende ogni percezione dubitabile, irresoluta, quasi inaffidabile e nonostante la Angus parta da componenti definite in modo preciso.  Nei disegni, in cui la grafite con tratteggio pazientissimo costruisce le morbide pieghe dei panneggi in relazione a un fondale che non recepisce le fonti luminose accolte invece dall’oggetto, si attua ancora una volta una divaricazione tra dati e percetti, tra elaborazione e dato di partenza. Ciò testimonia in maniera indubitabile che le distinzioni filosofiche non sono adeguate all’oggetto estetico, non ne ricoprono che parzialmente gli aspetti e le componenti e dal dettaglio analizzato al passaggio dell’opera artistica che ci sta dinanzi, i ponti sono recisi.  


D’altronde, proprio la manipolazione o rappresentazione di materie prive di una struttura rigida, ma che subiscono un trattamento che tende a dargliela:  intrecci di fuscelli e steli, corde annodate, stoffe attorcigliate, ci riporta al nucleo di queste sculture: una sospensione delle caratteristiche materiche, una riconsiderazione del conosciuto attraverso la contraddizione, in cui però è l’intuizione a guidare. Il mondo creato da Carolyn Angus è un mondo che rifiuta le costrizioni dove esse sono e costruisce strutture dove esse non sono, restituendo così alla scultura, in relazione all’attuale panorama contemporaneo, un ruolo conoscitivo non concettuale.

                                                            
                                                                   Rosa Pierno

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