mercoledì 4 gennaio 2012

Bernard Berenson “Amico di Sandro” Mondadori Electa, 2006

L’approfondito ed esteso saggio introduttivo di Patrizia Zambrano che introduce il testo di Bernard Berenson “Amico di Sandro” Mondadori Electa, 2006, consente di comprendere appieno le questioni cruciali ruotanti intorno all’errata quanto insistita attribuzione di numerosi quadri di Sandro Botticelli e di Filippino Lippi a un pittore di cui non esiste nessuna prova documentale (non se n’è mai accertata nemmeno l’effettiva esistenza), persona di pura fantasia, a cui Berenson ha voluto assegnare l’attribuzione di quadri, che avevano fra l’altro già avuto la giusta attribuzione (fornita di prove documentali) da parte del Cavalcaselle.

Ora, poco importa la giustificazione che in realtà, a leggere tra le righe dell’azione critica esercitata dal Berenson, ci sia la volontà di designare una personalità a partire dalle caratteristiche dei quadri o che egli segua in maniera ossessiva, come da lui stesso riconosciuto, il metodo di Morelli,  con il quale si risale all’artista dal riconoscimento di singoli dettagli: il modo si disegnare le unghie, le orecchie, i capelli, ecc.. Quello che colpisce in maniera sinistra il lettore è che nelle pagine del Berenson si ravvisino elementi che non paiono una prova per nessuno, si portino a dimostrazioni cose irrilevanti o indefinite, si usi un linguaggio che taglia corto e si abiurino le considerazioni degli altri studiosi senza portarne di altre, se non il proprio credo: “Il Signor Cavalcaselle, la cui capacità di osservazione ha tanto spesso sorpassato la sua possibilità di trarre correttamente delle conclusioni, rileva che questi dipinti ricordano “la maniera di Fra Filippo” e potrebbero “essere lavoro giovanile di Filippino. Ma esse richiamano troppo Filippo per essere di Filippino. Ad averli eseguiti deve essere stato un pittore su cui Filippo abbia avuto modo di esercitare un’influenza ben più durevole di quanto non gli fosse stato possibile con un figlio”. Ove si constata l’irrilevanza e l’infondatezza della risposta di Berenson.

Il tentativo di effettuare una lettura al di fuori delle prove documentali e dei dati storici in generale, può anche essere legittimo se l’obiettivo è di descrivere i quadri, arricchendo con la propria personalità critica il corredo delle nostre possibilità interpretative.   Ma quando si vogliano far valere le proprie credenze al fine dell’attribuzione, che sul mercato ha, inoltre, valore capitale, allora si comprende come sia doveroso armarsi di ogni cautela e portare prove.

Seguiamo con perplessità il Berenson, il quale riporta le affermazioni attributive basate sui documenti storici del Cavalcaselle solo al fine di rovesciarle con affermazioni poco sensate (quando attribuendo un quadro di Filippino Lippi all’ “Amico di Sandro, fa discendere da esso, come da un capostipite, le particolarità con cui andare in cerca di tutti gli altri quadri dell’”Amico di Sandro”: il disegno delle palpebre, della bocca e dalle spalle a bottiglia).     

O ancora quando attribuisce quadri che sono di Sandro Botticelli all’”Amico di Sandro” con queste considerazioni: “gli incarnati dorati, i capelli castani con riflessi biondo oro, e il malva della tunica del Bambino producono un effetto di leggerezza che non trova confronto nell’opera del Botticelli”.

Molto interessante nel saggio di Patrizia Zambrano è anche la valutazione storico-critica dei protagonisti dell’epoca, fra cui, ad esempio, la testimonianza di Longhi che giudica la Storia del Cavalcaselle “come la prima scritta da un puro conoscitore”, stigmatizza nel confronto la sovrana indifferenza verso Morelli e valorizza “una tradizione (che rimontava in realtà a Vasari) alla quale Berenson era sempre rimasto sostanzialmente impermeabile”.

                                                                                                    Rosa Pierno

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