lunedì 15 maggio 2023

Sergio Zuccaro “123.45. Memorie del cosciale”, 2022

 



È presto svelato il titolo così strano dalle stesse parole dell’autore, Sergio Zuccaro: “123.45, centoventitre punto quarantacinque megahertz è la frequenza radio usata dai piloti di tutto il mondo per le comunicazioni private. Oggi si direbbe una chat. Per invitare alla conversazione basta dire: unoduetre”. Zuccaro è stato tecnico di volo per trent’anni. E il volo è tanto concreto, per lui, quanto paradossale. Incredibili, a dir poco, sono le avventure, le circostanze, le follie che il volo consente: dagli incontri fulminanti agli eventi storici di cui si è involontari protagonisti, mentre ci si sposta per il mondo. Cogliere la complessità di un’esistenza così nomade e farlo con una immediatezza che anche nel ricordo non perde la sua fragranza è certamente azione mirabolante. Ma è in gioco anche un altro piacere, oltre quello proveniente dal ripercorrere i momenti così vari del proprio passato. Quello dell’azzeramento, del raggiungimento di quel grado zero della scrittura che vuol dire ricominciare daccapo e guardare la scrittura anche dal punto di vista del piacere estetico. Godere di tutti i suoi aspetti. Ancor meglio se la memoria vacilla, se la si deve reinventare, poiché allora la scrittura scivolerà e ripartirà ogni volta daccapo e, soprattutto, da un punto qualsiasi.

Con una memoria forata si può reinventare la propria vita, avere il tono meravigliato e sempre entusiasta di un bambino. La scrittura sarà semplice, lineare, con proposizioni essenziali, rispetto alle quali non ci sarà bisogno di tante disgressioni. Quando le cose non sono troppo artificiose anche la razionalità funziona, si applica senza resti, non è facile che inciampi. E se non si convoca alla tavola il commensale “razionale”, vi è sempre seduto quello “ironico”. Un’ironia leggera che sostiene tutta la scrittura. Con scene gustosissime, battute raffinate, delicatissimi camei che risultano burleschi per semplice accostamento di due situazioni o punti di vista diversi. 

L’attività della scrittura è l’oggetto di cui il testo parla, anche se è il volo il tema esplicito. L’autore denomina i suoi appunti “memorie del cosciale”, strumento di scrittura, usato dai piloti,  che si appoggia sulla coscia. Ma chi crede che fin qui Sergio Zuccaro abbia utilizzato una memoria indebolita o limitata deve subito ricredersi: “Ogni volta che a fine volo l’ho sganciato mi venivano in mente le parole di Omero: sfilando la daga acuta via dalla coscia. Per me era la conclusione, per Achille solo l‘inizio”. 

D’altronde, il solo confrontare i fatti della vita, le sue stranezze, con i pensieri paradossali della cultura greca (il ritardo del decollo a causa delle lumache che invadono la pista oppure il paradosso della tartaruga che mette in scacco il velocissimo Achille) mostra quale sia il gusto dell’autore, quello di una riflessione che partendosi dai quei fatti che definiremmo curiosità, gustose o sorprendenti, acquisisce tutt’altro sapore se paragonato alla potenza del pensiero. Che è poi la capacità di donare un senso a qualsiasi cosa. 

Che 123.45. Memorie del cosciale sia un metatesto è intuitivamente afferrabile sin da subito, ma dopo qualche pagina se ne precisa il senso: la legge di Murphy, (“se qualcosa può andar male, lo farà”), è applicabile anche a se stessa, quindi anche alla predizione catastrofica. E allora che cos’è la memoria se non un oblio fruttuoso; che cos’è la ragione, se non un’applicazione estrema; che cos’è la scrittura se non una registrazione da abbandonare?

Ma c’è anche una strana coincidenza tra passato e futuro. Non è singolare che alcune soluzioni trovate nel medioevo, siano usate anche oggi in ambienti tecnologici (si pensi al modo di liberare le piste dagli stormi di uccelli con due falconieri). A volte, anche con giocosi parallelismi, Zuccaro riesce ad inanellare cose molto distanti tra di loro. Ci si può riferire nuovamente a un cortocircuito tra pensiero ed epoche differenti. Non esiste il concetto di progresso nella cultura. Ciò che vale sapere per giustamente vivere è sempre la stessa cosa. Non è un attacco alla tecnologia, in fondo è essa che ci permette di volare; è piuttosto uno smodato uso delle aspettative future il bersaglio che lo scrittore sembra voler colpire.

Non a caso, Zuccaro è un patafisico, oltre che poeta, ovvero un seguace della logica dell’assurdo che fa riferimento a uno schema metafisico eccentrico, a una parodia della metafisica. La Patafisica è una sorta di scienza parallela che studia il particolare, le sue eccezioni per valorizzare tramite quest’ultime tutto ciò che la scienza esclude, il nonsenso, l’ironia, e naturalmente l’assurdo, componendo con esse un universo coeso, ma altro. L’enciclopedia del volo, così potremmo definire questa raccolta di piccoli testi, di una pagina o poco più, legati tra di loro dal tema del volo: una collezione che funziona come esempio di qualsiasi altra collezione o sistema, ma che fa accedere a un altro modo di considerare la realtà. Inezie, particolari apparentemente insignificanti sono in grado di dirottare gli eventi. Nulla deve essere scartato. C’è un ordine in ogni cosa, non quello usuale, certo! Ma un ordine che bisogna imparare a individuare.


La cosa sconcertante è che non vi è necessità di manipolare la realtà per confezionare queste sconcertanti descrizioni. La realtà è già non inquadrabile, sfugge a ogni razionalizzazione, rende stupefatti. E quando si dice realtà, si dice, qui, cultura, modi di vedere, di pensare diversamente. Da una stretta di mano troppo veemente scambiata per stalking a un prato non curato che rischia di svalutare gli immobili dei vicini, da qualche premessa accettabile da cui scaturiscono conseguenze inaccettabili a servitori che divengono predatori di quegli stessi turisti di cui sono le guide.

Il linguaggio usato da Zuccaro è piano, lineare, senza alcun tipo di artificio retorico, quasi per esaltare al meglio il dato nudo e crudo. Ma quale magia scaturisce da una realtà più prossima all’artificio della letteratura stessa! Non a caso, i Cronopios di Cortázar aprono le tende del caravanserraglio, tutto umano, di Sergio Zuccaro.


Rosa Pierno




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