La studiosa di Art Brut, Lucienne Peiry, propone lo straordinario giardino di Armand Schulthess, sito ad Auressio a pochi chilometri da Locarno, ma gli appassionati che intendessero visitarlo, non potrebbero vederlo. Il giardino è stato interamente distrutto dai suoi eredi, i quali si sono sempre disinteressati a lui, anche quando era in vita. Per fortuna, ci sono stati alcuni studiosi e artisti che hanno amato la sua opera e l’hanno seguita fin dai primi anni in cui è iniziata la costruzione del giardino, impiantato lì dove già crescevano viti e castagni.
Schulthess aveva una professione sicura che nel 1951 ha abbandonato per realizzare il suo progetto, a cui, d’altronde, stava lavorando già da alcuni anni grazie alla realizzazione di album (una settantina di libri da lui stesso rilegati) che contemplavano pagine di varia consistenza e provenienza: fogli di giornale, pubblicità, fogli di acetato, veline, pagine dattiloscritte e manoscritte; in una parola, la sua enciclopedia, la totalità del mondo conosciuto dalla particolare specola della sua collocazione geografica e temporale. I materiali con i quali produceva i suoi album erano spesso, dunque, materiali di recupero e l’assemblaggio aveva di mira la totalità. Qualsiasi cosa la società producesse andava recuperata e conservata, a dispetto del suo risibile valore.
In realtà, l’idea centrale alla base del progetto di Schulthess era quella di una sapienza che riguardasse tutti gli ambiti della produzione culturale, escludendo totalmente la propria posizione identitaria, come dire, il proprio potere di scelta, di selezione dei materiali. Attento a essere esclusivamente il costruttore invisibile, il ragno che tesse la tela mirabile, l’inventore di una costruzione ingegnosa che sembra nata con le piante stesse e da esse stesse provenire… Le piante, peraltro, crescendo, hanno sollevato le costellazioni dei dischi, di vinile o di carta o di plastica, sui quali Schulthess aveva registrato nozioni e frasi, dall’altezza degli occhi al cielo, fino a impedirne così la leggibilità. Credo che ciò non fosse sfuggito al progettista. La rovina dei materiali esposti alle intemperie (spesso foglietti infilati in buste di plastica, come unica protezione) non è forse un inevitabile destino di tanta parte della produzione culturale? Fare, fino all’ultimo giorno utile, sembra essere stata l’unica cosa che Schulthess poteva e sapeva opporre alla distruzione della società consumistica. La vita come indefessa volontà di costruire relazioni tra materie, concetti, forme e come tessitrice di reti fra elementi solo apparentemente estranei l’uno all’altro.
Dapprima egli utilizza i coperchi e i fondi dei barattoli, dipingendoli di giallo per impedire che la ruggine aggredisse la scrittura che lui depositava in seguito sulla pittura con un ferro da calza intinto nella vernice; in seguito, deposita direttamente le informazioni sulla materia. La calligrafia, precisa e semplice, spesso nomina soltanto, altre descrive. Lungo i declivi della proprietà di 800 metri quadrati che aveva comprato, e a cui negli ultimi anni aggiungerà almeno un altro ettaro, si dipanano, spesso in forma di costellazione, gli elementi del sapere secondo leggi di prossimità: scienza, astronomia, tecnologia, filosofia, chimica, botanica, sessualità, mestieri. A volte i cartelli contengono richieste di condivisione, di offerta dell’uso della macchina conoscitiva che lui aveva creato, ma di fatto il suo comportamento resterà sempre ostico alla relazione diretta con gli altri. Una sola persona, Ingeborg Lüscher, riuscirà a conquistare la sua fiducia: gli lascerà una volta a settimana materiali che Schulthess utilizzerà nella costruzione del giardino (rifiuti compresi) e sarà lei a portare nel giardino intellettuali e artisti. Grazie all’intermediazione di Daniel Spoerri faranno visita al giardino Muriel Olesen e Gérald Minkoff. Quest’ultimo scatterà le numerose fotografie che corredano il volume, riuscendo a salvare, dopo la morte di Schulthess, alcuni grandi assemblaggi di piastre manoscritte. Lucienne Peiry ha poi potuto utilizzare tale materiale per l’esposizione collettiva dell’Art Brut tenutasi a Locarno nel 2002.
La documentazione fotografica che Minkoff produce consente di conoscere una delle opere effimere, ma soprattutto meno conosciute, di cui si ha notizia, non solo attraverso la forma assunta dal progetto, ma anche attraverso l’individuazione dei contenuti.
Nel 1972 Schulthess cadde in un dirupo e morì. Nessuno riuscì ad opporsi alla devastazione del luogo operata dagli eredi con l’approvazione delle istituzioni.
Rosa Pierno
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