Una riflessione sul tempo, nell’ultima prova di Claudia Zironi, “Not bad (2019-2020)” Arcipelago Itaca, 2020, sui valori che non tramontano è necessariamente un’analisi effettuata sulla storia, nel racconto che si stila, non perché essa, sviluppandosi nelle sue determinazioni passate, presenti e future, colga sincronicamente il loro intreccio, quanto, piuttosto, per il motivo che è nella storia che s’intravede ciò che non trascorre, il quale fisso e benevolo se ne sta dietro ogni cosa, atto, sorriso o insulto. E così dagli infimi e insensati particolari si risale al senso, a qualcosa di solido, di durevole, la cui fondazione risiede nella coscienza.
se tu fossi il vento io
starei ferma
tra le lavande di giugno, immobile
con abiti ampi, bianchi di bucati antichi
ti lascerei passare, aperta e sorridente
come scampata
alla storia, agli anni, alla fossilizzazione
degli ammoniti, ti lascerei entrare
sotto i cotoni nascosti, tra le pieghe della gonna
ti lascerei rubare ogni profumo – terra della terra
fiore di ogni fiore – vento mio, mio sole – ti donerei
questo nostro nuovo tempo passato.
E non vi è altra via per risalire a un siffatto senso che quella di indugiare sui particolari, l’erba, le formiche alle quali sentirsi solidali, riconoscendo in essi la medesima materia e volizione, scopo e morale che albergano nell’animo umano. È la sostanza tutta che viene coinvolta in questo afflato, anche, dunque, la bufera, il giallo, la tana. È un passaggio continuo, effettuato per via d’osmosi, di letterale incarnazione, dove le premonizioni avvengono attraverso la materia o i ricordi della stessa: “un viaggio estivo di cicogne barocche e luci impermanenti’. È ciò che, al tempo stesso, viene frapposto, quasi una diga, a un prossimo sgomentevole tempo degli automi.
Il mondo è convocato, con le sue innumerevoli forme e materie, tra le quali si attua una metamorfosi senza soluzione di continuità, e Claudia Zironi vi partecipa quasi cosa fra cose, nel tentativo di dismettere la propria individualità. È lampante il pericolo che corre chi voglia donarsi al mondo contro ogni barriera, negando persino la più ovvia valutazione di sopravvivenza, ma è la necessità del sincero donatore. In fondo, la volontà di mettersi a nudo sulla pagina è azione contrastata da tutta una serie di impedimenti stratificati, anche linguistici, dai quali è necessario liberarsi, e che richiedono sforzi notevoli e lunghi. A questo si deve la versificazione costantemente variata, a tratti tendente alla prosa, sebbene resti intatta la cesura di fine verso. Vi si individua anche una non estromissione della logica dal discorso poetico, pur di affrontare le questioni da ogni lato, in ogni modo. Così che tutto il libro può considerarsi un esercizio per adattare il mondo al proprio desiderio, poiché si tenta di nulla escludere. L’inane compito assunto non teme di presentare i suoi fallimenti e le sue lacune e così la credibilità dell’esperienza poetica diviene la porta di accesso per la condivisibilità del lettore.
non saprei dire esattamente
cosa manca ancora, forse
il tuo essere corallo
vivido e in estinzione, il mio
sedimentarmi in te, renderti opaco
roccia anelastica, prossima
alla disgregazione, paziente calcare, rifugio
di perfetti animali elementari.
ci veglieranno insieme, nelle notti
già stellate e silenziose, dai calanchi
del nostro nuovo mondo
in formazione – in absentia.
L’oscillante moto fra tutto ciò che si ricorda, spesso montagne di inutili detriti, e ciò che è essenziale è il medesimo che traccia il percorso perenne del desiderio che corre finché c’è vita; in tal guisa, la morte traluce tra questi estremi come un trasalimento o un fondale inabbattibile. Non c’è qualcosa che prevale sull’altra, in tale inesausto andare, ma indomita è la posizione di colei che tutto vuole tenere a bada e spingere in una diversa direzione. Soprattutto, risulta ammirevole la posizione di Zironi nel mostrarsi capace di godere di ciò che sopravviene del tutto inaspettatamente e di accoglierlo come provvidenziale:
# you are here
quando nessuno ti aspetta, puoi fermarti
in un giardino, di notte, a guardare le stelle,
e ti consola, questa bizzarra primavera
di gennaio.
Rosa Pierno
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