sabato 19 maggio 2018

“Un dipinto di A. Y. Jackson” di Marco Furia




Nel 1933, A. Y. Jackson dipinse “Inverno, Charlevoix County”.
Sotto il cielo sereno, s’innalza una catena montuosa e, alle sue pendici, si stende una zona pianeggiante sulla cui superficie si nota la presenza di un gruppo di case, di un nastro stradale delimitato da pali di legno e di un piccolo carro (una slitta?) trainato da un cavallo.
La morbida neve tutto avvolge e ricopre.
Le forme, anche quelle delle montagne, sono tondeggianti e i pali più alti sono incurvati.
Qualcosa di seriamente infantile è presente in quest’opera: se un bambino possedesse le capacità pittoriche di Jackson dipingerebbe, con ogni probabilità, immagini affini a quella qui in esame.
Un affetto incontaminato è ovunque diffuso in un paesaggio che, pur rimanendo tale, si presenta quale espressione dell’interiorità.
L’artista, senza dubbio, ama la sua terra (il Canada).
Il rigido inverno è per lui ricco di dolcezza e a noi non resta che seguire con gli occhi il tracciato sinuoso di quella strada per raggiungere il borgo posto ai margini della pianura: lungo simile percorso, lo sguardo incontra la slitta e, per un attimo, arresta il suo cammino.
Su un altopiano inondato di neve, un uomo e un cavallo avanzano lentamente dirigendosi, forse, verso un vicino villaggio.
Il manto nevoso appare protettivo.
La propria terra non è un paesaggio, è, appunto, la propria terra e l’amore nei suoi confronti sorge spontaneo.
Provare intenso affetto per quei pali ricurvi, per quell’albero spoglio, per quei tetti spioventi e per quelle lontane montagne, riconoscere nei non aspri declivi, nei colori invernali del cielo, nei riflessi rosati della coltre nevosa, non una parte di se stessi ma anche se stessi: questo mostra il dipinto.
Siamo al cospetto di un sentimento immenso.
È assente qualunque accento retorico in un’immagine in cui tutto sembra al giusto posto perché è al giusto posto, tanto che un ampio spazio riesce a farsi luogo dell’anima restando, in ogni modo, esterno.
Non c’è identificazione, bensì vivida partecipazione.
Per amare dobbiamo, nel rimanere noi stessi, essere propensi a ulteriori arricchimenti.
Come ben sanno i bambini che, con naturalezza, indugiano in situazioni disparate, in circostanze più o meno caratterizzate da tratti immaginari, in racconti realistici o frutto di pura fantasia, senza mai perdersi.
Come ben sa il nostro pittore che, lungi dal dissolversi nella veduta o dal tentare di coincidere con essa, piuttosto la vive.
Il suo pennello pare intinto proprio in quella neve.
Di fronte a tale raffigurazione, non possiamo provare le medesime sensazioni dell’artista, poiché la regione ritratta appartiene al suo paese e non al nostro: tuttavia, se ne fossimo capaci, ci piacerebbe dipingere un’immagine egualmente affettuosa della terra natale.
Ogni uomo è nato in un certo posto del pianeta e l’amore per il proprio luogo d’origine, se privo di celebrativa retorica, è davvero coinvolgente.
“Naturalismo affettuoso (e contagioso)” mi parrebbe, dunque, una buona denominazione dello stile pittorico oggetto della presente nota.

                                                                                                         Marco Furia




A.Y. Jackson, “Inverno, Charlevoix County”, 1933, olio su tela, Art Gallery of Ontario, Toronto, Canada

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