lunedì 5 settembre 2016

Farhad Ostovani "Variazioni Goldberg", prefazione di Yves Bonnefoy, Pagine d'Arte, 2009




In questo particolarissimo libro,  Variazioni Goldberg, edito da Pagine d'Arte, ma più che libro catalogo di disegni, due voci, quella di Yves Bonnefoy e di Farhad Ostevani, tentano di spiegare il rapporto fra opere visive e musica, dove la riflessione insegue l'opera e  quest'ultima sfugge a se stessa.

Nella prefazione, Yves Bonnefoy affronta l'affermazione del pittore, il quale dichiara di disegnare sempre ascoltando Bach e di lasciarsi penetrare da ciò che accade nelle forme musicali quando egli elabora le sue, constatando una parentela, se non un'identità di fondo, fra i due modi di percepire i dati dei sensi e di iscrivere il fatto umano in pittura e in musica.

"E perché no?" c'é altro, se non la musica, se non la pittura: esperienze dell'unità nelle quali si confondono tutte le voci che provengono dal mondo delle apparenze? Se nella cultura orientale si intendono rumori e suoni contemporaneamente, in occidente, dal tempo dei greci, si è inteso privilegiare la forma a dispetto di tutto ciò che ne resta escluso. La pittura per Bonnefoy riesce a preservare la complessità delle cose, trasgredendo le rappresentazioni semplificate che il pensiero produce.

Ostevani si rivolge alla musica, non come fa Tiziano, con figure allegoriche, poiché la si ritrova nel suo gesto stesso di pittore. Egli è cosciente dell'infinito presente in tutte le cose e ne é più cosciente di quanto lo siano altri pittori della nostra epoca. E lo è grazie alla memoria dei luoghi e degli esseri della sua infanzia, molto vivi in lui. Risiederebbe nei ricordi la memoria dell'infinito, per Bonnefoy, la sostanza dell'Uno. Tuttavia,  se il ricordo conosce l'infinito, non ne sa percorrere i meandri. In Ostevani il tutto delle cose è presente, ma non si lascia vedere in dettaglio.

Il poeta francese trova che la pittura del pittore israeliano sia meno incline alla figurazione e più alla metafisica, rimarcando che tutta una tradizione iraniana nata dal platonismo greco, ha riconosciuto il valore centrale, per la coscienza dell'essere, di esperienze simili a quelle in cui la filosofia abborda la realtà tramite la mediazione dell'archetipo, in quanto rappresentazione schematica, generalità del concetto.  L'archetipo è la maniera di ricondurre all'universale.

È ciò che lega la memoria all'essere, che aggancia la presenza ben più dell'apparenza. Per questa via gli oggetti divengono una cifra dell'invisibile, che fa del quadro un'icona, non un'immagine. Se Ostevani vede spontaneamente l'archetipo nelle cose è perché s'interessa alla musica per guardare la vita quotidiana e i ricordi: un'esperienza dell'essere nel seno stesso della contraddizione.

A sua volta, Ostevani cerca di spiegare a se stesso che cosa accade quando ascolta per ore la musica, mentre lavora senza pensare di mettere in rapporto ciò che ascolta distrattamente, e la pittura. Nessun dubbio che un misto di esistenziale  e di intemporale agisca nelle sue opere. Come per le Variazioni di Goldberg la ripresa d'un tema, dunque di una forma, dei diversi modi o dell'intervento del caso sono importanti nella meditazione dell'esistenza. Egli riconosce che la musica parla delle stesse intuizioni profonde che vivono nei suoi ricordi e si chiede come far apparire il caso in pittura, non quello delle macchie su una tela, ma degli avvenimenti della vita.

Scopre che è delle foglie che aveva bisogno per fare corpo con la musica. Perché una foglia sembra un'epifania e, gettata al caso dal vento, significa la separazione dall'unità, un caso che metaforizza la nostra condizione umana. Guardare una foglia macchiata aumenta l'enigma della sua bellezza nella finitezza. Nei disegni evoca il turbinio dei  movimenti nella luce, nell'aria: ciò equivale alla dissipazione della materialità della tela, alla frammentazione dello sguardo. Percorrere la foglia come un'esistenza, col proprio sguardo interiore diviene prescienza d'un invisibile. A questo punto la pittura non è solamente un rapporto di forme, ella ha così messo la bellezza a distanza, un vero mistero da apprendere e meditare. Dove l'Uno ha una vera esistenza, è presenza e non immagine, poiché nella realtà particolare e nella  differenza infinita, eppure, si lascia intravedere.

                                                                           Rosa Pierno


Il libro comprende 40 studi del 2007: acquarelli, collage, disegni. Litografie su carta Népal, 42x30 cm



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