domenica 24 luglio 2016

Marco Giovenale "Il paziente crede di essere" Gorilla Sapiens, 2016




Un'analisi sui limiti - quando i limiti sono ambigui e si collocano trasversalmente fra un oggetto e un altro, anziché definire i singoli profili, e sono immersi nella nebbia, poiché anche le condizioni metereologiche complicano il quadro influenzando le percezioni - delinea il quadro problematico del testo di Marco Giovenale. O meglio, della serie di Racconti, forme intermedie, prose (in prosa), inconvenienti, dissipazioni dopo, come recita il sottotitolo dell'ultima raccolta di prose Il paziente crede di essere, Gorilla Sapiens, 2016.

Persino le cose separate, se sono abbracciate, non sono più distinguibili: i corpi. È,  dunque, impossibile distinguere dove finisce l'io e dove iniziano gli altri, il cerchio intimo dell'uno, le disgrazie della collettività. Ma nemmeno per un istante si può riscontrare estraneità nell'occhio che scruta e pensa, invischiato com'è nei luoghi e nei percetti, sentimentalmente  coinvolto, crudamente separato. È un occhio che guarda ciò che sta sotto e ciò che sta sopra: è un occhio pensante. Oseremmo dire, metafisico.

Il metafisico reclama la classificazione, sotto l'egida dello scientifico, fosse pure dei casi umani, il che determina uno scacco, come avviene nella prosa di un Kafka ironico, in cui però la denuncia non è per questo meno fittizia né meno dolente. Il vero snodo, sembra risiedere nella composizione e ricomposizione: nella scomposizione che non ha nulla di analitico, nella neoformazione frattale, che al fine assembla l'identico da che riscontrava il diverso e viceversa. Non sarà in nessun caso questione di logica! O forse solo di una logica oulipiana.

La classificazione diviene perigliosa se non si attua rispettando le regole. La differenza si perde senza che sia mai stata chiara l'appartenenza a una medesima classe. Mancanza di logica non è detto che sia assenza di una logica perversa: l'orologio acquistato che purtroppo non è rotto, le persone che sono in fila, accanto al morto, per farsi derubare e assassinare, l'installazione con porte che non si aprono e con scale prive di scalini e che ciononostante necessita di un guardiano che "dovrà avere l'accortezza di interdire al pubblico l'accesso fisico alle installazioni" ove però "Il guardiano non può far parte dell'installazione".

Di Marco Giovenale si conosce d'altra parte anche la produzione artistica, la sua attività fotografica che s'innesta nel testo, non solo perché presente allo sguardo del lettore tramite citazione, ma anche perché l'opera visiva figura in esso come sfondo, a tratti, al posto della città.

È il sogno, il luogo in cui si riscontra la mancanza di logica o la sua assoluta presenza - il che è lo stesso. Il cane che al posto delle zampe anteriori ha due braccia umane "È solo un diverso tipo di cane". È una sorta di disegno alla Esher, qualcosa che da cattivo diviene buono, o l'inverso,  sotto il medesimo sguardo, senza soluzione di continuità. D'altra parte, è nota la posizione di Poincaré che riconosceva alla scienza la sua distanza dalla verità, in quanto la verità è una questione d'interpretazione, mentre lo spazio geometrico non è lo spazio rappresentativo: le geometrie, in quanto convenzioni, non sono suscettibili d'essere vere o false.

La paradossalità è, pertanto, presente in quanto veicolata da una razionalità che si muta nel suo perfetto contrario ed è presente nella città descritta da Giovenale in quanto, pur nascendo come aggregazione di individui, diviene lo spazio in cui l'individualità è negata: è l'istituzione, infatti, che vuole organizzare l'umano, inserendolo in binari, insufflandolo in tubi pneumatici,  preordinandone il tragitto, e come potrà l'arte in questo universo-mondo trovare il suo grado di libertà? Forse è nell'accumulazione, nella distorsione del senso, nella deviazione subita dal soggetto - un soggetto sguisciante e amorfo come i personaggi beckettiani - che si può rinvenire la chiave che consente l'uscita. Un'uscita verso un mondo parallelo, incompossibile anch'esso, però, ne siamo certi!
                 
                                                                         Rosa Pierno


-zoon

Pulisce con una salvietta umida la plafoniera della lampada alogena, polverosa sì ma cosparsa in particolare di resti - a migliaia - di piccolissimi e piccoli insetti. Alla fine sul riquadro umido della carta rimane una media accattivante, neoformazione e bolo, insetto somma di molti, coalescenza di mandibole aline zampe frantumazioni di creste, un crepitio visto, dedalo, frattale, una variazione genetica post mortem. Necrozoon


Interni

Senza dubbio una parte vuota dello specchio ovviamente vuoto riflette ovviamente il dubbio di Lia  sulla presenza dell'amica col suo stesso nome.

A sua volta, una parte del nome, con il suo non diverso specchio, riflette col suo sistema di vuoti legati la mancanza doppiamente cava del dubbio di Lia.

Di questo parlano all'esterno della gabbia i domatori.



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