mercoledì 13 gennaio 2016

Gilberto Isella “L’occhio piegato”, Book Editore, 2015


Le considerazioni che oggi riguardano l’equilibrio o la supremazia del potere, declinato secondo i concetti di consumismo, massa, civiltà globalizzata con i suoi luoghi di esercizio, il supermercato, e persino il privato, rispetto all’autonomia del soggetto, sono rivoltati e rinnegati da un Gilberto Isella incoercibile all’appiattimento del singolo, alla sua supina definizione, in quanto ben consapevole dell’impossibilità di addivenire a una soluzione delle contraddizioni con termini che saldino le coppie antinomiche, convinto, anzi, dell’assoluta necessità di negare tale soluzione. Nella contrapposizione di origine/meta, individuo/società, trascendenza/immanenza, sono conservate e anzi innescate le potenzialità dello scontro, secondo la direzione percorsa da Adorno in Minima Moralia. Un libro, L’occhio piegato,  dunque, etico, con una forte propensione costruttiva.
Se persino il glabro petto di un volatile può dar luogo alla stura del vaso poetico, ci sentiamo, leggendo, affrancati dall’universalità del concetto di globale. Come vasi comunicanti, il travaso dalla voce poetica all’afflato partecipativo del lettore si rivela catartico: valga come prova che se la poesia non cambia il mondo, non gli consente nemmeno di sedere sugli allori. Nessun luogo è quello che sembra. Il valore della percezione è già valore creativo. Persino stimolante: nei freddi corridoi delle merci ordinate sugli scaffali si aprono porte di plurime dimensioni, dove il potere della mente resiste a ogni oltraggio e a ogni passo mette a punto strategie di diffrazione, strategici scarti dal consueto.  Le merci, poi, sono traini di veri e propri viaggi sensoriali che affiorano sullo specchio della coscienza di sé, proprio a dispetto e sullo sfondo del  degradante luogo: “Da stoccaggi  l’arte evacua asprezze / vagheggiandovi gli alvei del miele / /  Nel balsamo dondola la tigre / per un velo che sente tracimare”. Il poeta crea una  collisione/collasso tra merci impilate e certe installazioni di arte contemporanea mostranti l’estrema omogeneizzazione dei linguaggi e se ne appropria per creare un luogo inusitato in cui la merce appare cambiata di segno. Non è solo critica, al modo in cui siamo abituati dalla scuola di Francoforte: è un atto creativo, quello stesso che se Adorno non poteva proporre fino in fondo a causa del fatto che pensava che l’arte fosse una sovrastruttura e che quindi non potesse cambiare lo status quo, Isella invece propone: atto creativo inteso nel suo potenziale fattuale, e quest’ultimo accostamento non sembri utopico. L’arte cambia le cose, perché cambia le prospettive interpretative da cui dipendono i nostri atti, la nostra disposizione verso il mondo. Non si tratta semplicemente di astrarre, nel passaggio di scala tra individuo e società, perché il quid che si perde è esattamente quello che non può essere tenuto sotto controllo. La funzione del poeta-intellettuale è questa: allargare la frattura, mostrare l’inconciliabilità dei concetti presi dal lato del singolo e dal lato della collettività e servirsi di entrambe le sponde per puntare i piedi e darsi lo slancio, ricreando ogni volta una nuova pedana di scontro.

L’uroboro clientesco
accerchia la casa e ringhia

Consegna macerie di muscoli al taglio

Ma la coda è a sua volta circondata
da una cinghia che in monitor s’allunga
e ha gli occhi di bue dell’erbavoglio.

Credere soltanto a una contrapposizione è letale: i concetti sono innestati l’uno nell’altro, frastagliati e intrecciati al punto da risultare indistinguibili, eppure, ciò nonostante, antagonistici e irrisoluti. La polimorfia è insediata nel cuore stesso del processo d’interpretazione del reale: ‘succiaromi’, ‘beccuzzato’,  ‘similbianco’, e riverbera i suoi effetti nelle ulteriori due sezioni de L’occhio piegato, imperniate una sulle banche, Migrante in Ade, e l’altra sulla libido censurata: Censuralbe.   Il linguaggio più algido, costruito con apparente logica (“geometrica legge è neutrale stilema”) o simbolico, avendo avuto cura di svuotarne il senso (“rostro del salmo / punteruolo // lì si smarrisce l’accordatore”) rende palese che il linguaggio è, appunto, strumento essenziale nella lotta a una lettura dogmatica e rassegnata.

Prima che l’arco d’angelo
Abbandoni il palato
Uno sperone d’ombra
Deformi il vagíto

Risuona l’eco delle parole di Benjamin, che avevamo già ritrovato nel tema della merce-feticcio, nella sua subdola e poliedrica valenza, in cui l’immagine – e  si ricorda che la poesia di Gilberto Isella è essenzialmente  visionaria – ha un ruolo interscambiabile nel processo di ricreazione del dato reale. E’ strumento di riassemblaggio.  Non solo, dunque, le parole aprono le cataratte del cielo semantico, ma anche le immagini fungono da meccanismo che fa scattare serrature: “Da sempre n’importe où  / sotto vuoto l’immagine  /  la rete sua vinta / l’oculo a pieghe”. Non distante quello sfondamento del finito che Giordano Bruno aveva inaugurato e che trova esplicita citazione nei versi, quasi una spolverata che indora il tutto coi suoi venefici strali:  “inabissi la bestia nella luce”, “e la bestia vola”  e che vale come dichiarazione di poetica: l’immaginazione può tutto e il contrario di tutto.

                                                                                    Rosa Pierno

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