martedì 5 novembre 2013

Marco Furia su Peder Severin Krøyer, “Hip, hip, Urrà! Festa di artisti a Skagen”, 1888





Peder Severin Krøyer, “Hip, hip, Urrà! Festa di artisti a Skagen”, 1888, olio e acrilico su tela, Göteborgs Konstmuseum, Göteborg, Svezia

Nel 1888, Peder Severin Krøyer dpinse “Hip, hip, Urrà! Festa di artisti a Skagen”.
Attorno a una tavola apparecchiata su cui si notano soprattutto bottiglie e bicchieri, alcuni individui, tutti di sesso maschile, brindano in piedi, osservati da tre donne sedute.
Una bambina, probabilmente stanca e annoiata, si appoggia alla madre (i lunghi lembi del fiocco rosa, che le stringe la vita, scivolano verso il basso, fin quasi a toccare terra).
La scena si svolge all’aperto, in una lussureggiante cornice vegetale.
Gli uomini, che si sono raggruppati sul fondo della tavola, paiono uniti da una comune passione, mentre le donne, pure partecipi, assumono un atteggiamento più contegnoso.
La florida natura e i chiari tocchi di luce sulle foglie ricordano più di un dipinto francese del periodo.
Il quadro si distingue per un’eleganza davvero non comune.
I personaggi maschili sono ritratti in una sorta di movimento bloccato: alzeranno i loro calici per sempre senza mai berne il contenuto.
Tale arrestato dinamismo conferisce all’immagine il particolare fascino di una propensione resa palese ma non ancora del tutto soddisfatta, ossia di un limite che nella vita reale passa quasi inosservato, mentre, qui, è destinato a durare indefinitamente.
L’istante è presentato in maniera così vivida e precisa da indurre l’osservatore a riflettere.
Che cosa è attimo? Che cosa è durata? Quanta esistenza è contenuta in un certo tempo?
Un cronometro può forse aiutare a rispondere alle prime due domande, ma, nel caso del terzo quesito, risulta incapace di fornire dati utili.
La qualità di quel vivere si manifesta, così, nell’impressione suscitata dal dipinto: l’arte, insomma, offre le condizioni di un possibile coinvolgimento in una circostanza di cui non costituisce esatta misura.
Passando alla porzione di quadro occupata dalle quattro figure femminili (tutte sedute), lo sguardo si posa sul raffinato chignon della donna ritratta di spalle (nonché sulla sua attillata camicetta scura) e, di seguito, sui capelli sciolti e sulla calza rossa della bimba, sullo sguardo amorevole della madre, sull’atteggiamento della giovane che sembra interessata al brindisi più delle compagne.
Il tempo dei signori è bloccato in una sorta di fermo – immagine, quello delle signore è intenso e diffuso.
La morbidezza delle vesti esprime, con elegante delicatezza, quell’accoglienza tutta femminile che non si esaurisce in singoli gesti, poiché è modo d’essere, è costante (riservata) disponibilità all’affetto.
Il tempo, da questa parte della tavola, non si è fermato nell’attimo e se, ancora una volta, non saranno i meccanismi dell’orologio a suggerire fisionomie esistenziali, il senso della mancanza di limiti potrà far pensare, ad esempio, a una meridiana non in ombra, illuminata da un’assidua luce.
La figura della donna meno in evidenza svolge una funzione di collegamento: sul suo abito a righe si raccordano due differenti modi di partecipare a un festoso convito.
L’osservatore, dal canto suo, può immaginare d’inserirsi nell’uno come nell’altro gruppo e, forse, con un po’ di fantasia, in entrambi.
La più realistica delle raffigurazioni pittoriche non può mai essere, per sua stessa natura, del tutto estranea al sogno: in particolare, nell’opera esaminata mi sembra presente una valenza onirica non esplicita eppure avvertibile.
Il surrealismo è alle porte?
No, ma non pare poi così lontano.

                                                                                     Marco Furia

Nessun commento: