martedì 19 novembre 2013

Luigi Trucillo “Quello che ti dice il fuoco” Mondadori, 2013

Costruito su un doppio registro (personaggio/autore) e congegnato come una sorta di giallo in  cui non è alieno, nel lettore, il sospetto di un’inevitabile tragedia, il romanzo Quello che ti dice il fuoco, Mondadori, 2013 di Luigi Trucillo è incentrato sull’analisi del sentimento della gelosia e in particolar modo sulla sua valenza di verità inseparabile dalla menzogna. Relazione non solvibile, non discernibile, impastata in ogni caso da un ulteriore dilemma: fra l’indipendenza della persona amata e il suo possesso non sembra esserci mediazione. E’ un monologo interiore che prende la forma del dialogo, non col proprio cuore o la propria anima, ma con un se stesso sdoppiato, minato al fondo dalle citate coppie oppositive. Il soggetto, che si duplica in un autore e in un personaggio come nell’incipit della Commedia dantesca,  prosegue sulle orme di Catullo, in cui il soggetto sembra spossessato dal suo moltiplicarsi, assumendo la veste di colui che mentre ama, odia.

Si innesta, in tale tessuto testuale, la realtà, introdotta dal giornale o telegiornale che sia, la quale inocula dosi di ulteriore veleno – oltre quello già prodotto dalla gelosia - nella forma di notizie paradossali, disumane, che però restano come schegge appena penetrate nello strato epiteliale di un soggetto che ha già a che fare col nascondimento di verità già annunciate (nascondere a se stesso la volontà di non essere in amore, nascondere a se stesso che sa già come va a finire, che sta distruggendo in sé ciò che ha di più prezioso).

Sembrerebbe un libro sull’andamento ineluttabile dell’amore. Ovunque amore si manifesti, esso brucerà e distruggerà, quasi autoestinguendosi, legge di natura, legge degli elementi inorganici che sarebbe la medesima di quella degli elementi organici, come voleva la tradizione presocratica. A riprova, il libro è ambientato in quella Samos di cui, chi l’ha visitata, conosce l’atemporalità, il suo restare uguale a sé al di là dello scorrere del tempo. La stessa Johanna, d’altra parte, non è forse una sorte di maga Circe che fa dimenticare ogni ferita d’amore, con la sua soccorrevole, quasi materna presenza? E che un innamorato e un innamorato dell’amore possa desiderare o addirittura non attuare l’amore, ci sembra, più un avviso ai naviganti che un manifesto di rinuncia, per cui ci sovviene in mente, e non sarà un caso,  Ulisse, il quale, fattosi legare al palo, può ascoltare il rapente canto sireneo.

Tali riferimenti ci fanno collocare Luigi Trucillo in quella rosa di autori che prende su di sé il peso/motore della tradizione sulla scorta della definizione datane da Eliot per il quale il senso storico implica non solo l’intuizione dell’”esser passato” del passato, ma anche quella della sua presenza, per cui la letteratura del passato collassa in quella del presente, delineando “una simultanea esistenza” e formando “un ordine simultaneo. Questo senso storico che è, insieme, senso dell’atemporale e del temporale”.

A sostegno di questa sorta di astrazione, concorre anche l’incidenza della biografia che, sebbene nell’opera sia fortissima, pure è come distillata dall’opera stessa, la quale  la trasforma senza sviarne i connotati. Non si trova nel testo un’intimità vera, né un racconto dell’ossessione sessuale portata allo spasimo. La gelosia vi è come costeggiata, non penetrata. Un velo, una paratia separa sempre la parola di Trucillo da un totale abbandono e  non servirà nemmeno la voce smascherante di un io proiettato in superficie dalla voce autoriale a rendere piena la confessione. La necessità del decantamento dell’esperienza amorosa, del distanziamento da un’ossessione che divora ogni aspetto del quotidiano lasciando l’innamorato senza risorse difensive, pare più una dichiarazione d’intenti per il futuro a cui nemmeno l’autore crede. Dobbiamo fingere di prestargli fede, ma non possiamo non notare che la questione è aperta da un uomo che l’amore ha vissuto. Che ha visto l’incendio, ancora una volta non solo dal punto di vista metaforico, e che l’ha incastonato nel punto centrale del romanzo. Se l’amore è fuoco, è bene allontanarsi, ma ciò non sarà realizzato dalla consapevolezza, bensì dal medesimo stato di innamoramento. Non si può scientemente uscire dall’amore, forse lo si può fare solo decidendo di non entrarci per niente e Trucillo tratteggia lo scontro fra passione e ragione evidenziando l’esistenza di una diversa razionalità inerente l’amore.

Lo stesso stile prosastico aperto in continui slarghi poetici, in cui il periodo  resta controllatissimo,  lasciando solo all’immagine metaforica del fuoco il suo unico puntello, dichiara la concertazione oculatissima di una descrizione che non si vuole parallela allo svolgimento amoroso. Tutto è trattenuto, pigiando sul pedale della sordina, al fine di derealizzarlo con altri materiali (la cronaca, le visite della figlia), anche a significare l’incomparabilità degli altri aspetti esistenziali con quelli travolgenti dell’amore. Ma ciò va di pari passo con quanto è in grado di fare la letteratura, la quale quando si impadronisce di un oggetto non lo lascia mai inalterato. Qui oltretutto, poesia è oggetto di poesia: si stralcia l’amore, oggetto del racconto, dalla poesia in quanto forma, proprio per dar conto di un’estraneità delle due pratiche/forma. Non a caso, tutto il testo è costellato di avvertimenti, premonizioni, avvisi, non mancano “messaggeri degli dei” che espongono ai personaggi in scena ciò che accadrà, esattamente come per il verificarsi di un fato, un destino incombente, rispetto al quale nulla può la consapevolezza o la riflessione, letteraria o filosofica sui dati esistenziali, nondimeno ad esse non si può rinunciare ed è proprio essa a costituire l’ossatura di una narrazione ritmata e pressante tutta giocata su uno svolgimento avvolgente e coinvolgente.
  
Se il nostro anti-eroe, giacché anche Trucillo come Joyce sposa questo rovescio della figura mitica, si ritroverà come naufrago su di un’isola greca, gli abitanti della quale lo rimetteranno in sesto, non è detto che noi, avendone conosciuto il rovello, l’ossessione e l’impagabile catarsi determinata dallo stato passionale e dal suo placarsi, potremo credere che non riprenda presto il mare insondabile del sentimento amoroso, giacché pensiamo sia questo il destino umano e che la fuoriuscita da questo stato non sia augurabile, se non per brevi riposanti tratti. Gelosia più, gelosia meno.


                                                                                    Rosa Pierno

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