giovedì 17 maggio 2012

Liliana Maresca “Un’identità multiforme” mostra a cura di Ludovico Pratesi

presso la galleria Spazio Nuovo
via d’Ascanio, 20, Roma
dal 23 maggio al 30 giugno 2012


La mostra, fortemente voluta da Paulo Pérez Mouríz e Guillaume Maitre, mirabilmente ritaglia, nel complesso e multiforme ventaglio di opere che Liliana Maresca, artista argentina (Buenos Aires, 1951-1994) ci ha lasciato, un solidissimo, coerente  blocco che ci consente di comprendere come, al di là dell’incessante variazione dei mezzi espressivi e degli stili, il cuore pulsante della sua motivazione artistica, sia, incredibilmente, una algida astrazione, una vigile razionalità tutta investita nel concreto e come sia affidato principalmente al simbolo (le uova, i poligoni, l’oro) il ruolo semantico: operazione squisitamente concettuale, dunque.

E non si pensi che concreto sia il contrario di astratto, poiché nessun oggetto nel mondo della Maresca può evitare la trasformazione attuata da una mai deposta ponderazione. Persino l’emozione vi appare levigata, amorevolmente smussata: resa oggetto di fulgida evidenza. E’ un cosmo in cui la contraddizione sembra estenuata, evaporata, transustanziata.

In Liliana Maresca, il simbolo è strettamente collegato all’alchimia, in un dialogo che fin dal Rinascimento è frequentato da scienziati, e qui, come direbbe lei stessa, il cerchio si chiude.   In ogni caso, pensiamo che anche quando l’artista sembri sottrarsi alla coerenza, addizionando tutti i reperti di cui spesso le sue installazioni si caricano in maniera caotica, non sia il caos l’elemento aggregatore, ma una precisa idea: limpidissima.

Si veda la splendida, affascinante foto (e tutte lo sono anche per la ineludibile bellezza dell’artista che vi si fa ritrarre) in cui ella tiene nel palmo della mano due uova di piccione trovate nella grondaia di una casa abbandonata (qui la semplicità ha forza di evento) e l’installazione in cui  due uova poggiano in portauova che ricordano una corona rovesciata a loro volta posti su un basamento (ove basamento sta per il fondamento della tradizione filosofica). La trasformazione non è data dal passaggio da un evento casuale a uno artificiale, ma si riscontra nella diversa considerazione a cui il medesimo oggetto  si presta. Metamorfosi (sappiamo, inoltre, che la vita dell’artista ha subito vari traumatici passaggi), ottenuta in quanto ripetizione all’interno di una salda cornice, dove l’autenticità è traguardo. E ciò in riferimento sia alla sfera morale sia alla sfera artistica. Trasformazione, dicevamo, ottenuta per via di astrazione.

L’uso del simbolo indica che la realtà è caricata di senso e di responsabilità, che nessuna azione è lasciata senza relazioni con il resto dell’esistente. In questo senso, l’azione della Maresca è sempre etica e lega gli oggetti che lei manipola alla responsabilità dell’essere umano.  Nessun oggetto pare potersi sottrarre a quest’analisi e a questa ricollocazione, in un affastellamento di opere che denuncia l’impossibilità di una soddisfazione. Non sfugge, attraverso il taglio interpretativo della mostra, la profilazione dell’emozione, tenuta a un livello smorzato, filtrato.  L’innocente inaderenza alla realtà è chiave di volta per comprendere che una ferrea volontà vuole stralciare le cose  dal loro casuale e insignificante limbo per riconsegnarle a un processo di rivalutazione e di verifica. Di risemantizzazione.

In un’altra splendida foto, la Maresca è ritratta in una casa in cui sulle pareti si affollano disparati oggetti  o opere da lei stessa creata e la sensazione è che nessuna cosa, pur avendone la parvenza, sia non scelta, non filtrata, non ardentemente voluta, non estratta dal caos dell’esistere per essere consegnata alla sfera dell’arte, in una comunione universale, come vuole alchemico dettato.

                                                                                   Rosa Pierno
http://www.spazionuovo.net/