venerdì 13 aprile 2012

Giorgio Bonacini, poesie inedite dalla raccolta “Stelle inseguitrici”

Riconosciamo nelle tre poesie che seguono, prelevate dalla silloge inedita di Giorgio Bonacini “Stelle inseguitrici”, la descrizione della caduta di Icaro, colta proprio mentre sta accadendo, mentre l’alato uomo è preso dal vortice dell’aria che rimescola la visione, che sostituisce il cielo con la terra, scomponendo l’ordine e la musica al cosmo associata, in una dissolvenza che tutto fonde. Ma non si creda che gli avverbi avversativi e causativi espongano tesi di logica contrapposizione o spiegazione causale. Il nodo se non si scioglie, neppure si dipana. Il logos non ha ragione in un siffatto conglomerato testuale  ed esperienziale. Ove moto e calma, ingegno e spavento sembrano sgorgare per subito rituffarsi nel nodo che diviene più stretto, man mano che si procede nella lettura. D’altra parte, a portare a soluzione l’enigma, ci si imbatte in un  “ricombina i movimenti / e sottomette nel dilemma le sciagure”, che mostra la non divisibilità tra dato materiale e costrutto intellettuale.
Le stelle stesse non sono che il tramite di “nomi” e di “distanze incompiute”, di “noi“ e di “inganni”: a dire che va preso tutto in blocco, che separare e distinguere è atto che introduce errori. Il magma, la massa incandescente in cui, peraltro, persino inarcature e inversioni hanno minor peso della struttura sintattica che presiede alla logica delle strofe,  pretende che la sua indissolubile compattezza non sia intaccata. Non è il gioco delle tre carte, anche se tutto si sovrappone e si sottrae al nostro sguardo mentale: la paura e lo sgomento non sono sostituibili con l’ingegno che rimarrà imperituro nei secoli. Senza che nessun elemento prevalga sull’altro, il viaggio di Icaro diviene la cifra del nostro vivere quotidiano. 




E’ la superficie gelata a trattenere il corpo
furto del mare farfalla stremata




Misera caduta un volo molle e squilibrato
attorcigliato ai tendini e a un lamento – quasi
che la terra fosse d’acqua e l’acqua in terra non
avesse risonanza, intonazione, codici di musica
già avviati a una natura senza pari, in dissolvenza.
       

Ma l’aria, corruttibile e lunare, lascia segni
che disperdono e deflagrano, e sfilacciano in un moto
così ingenuo da portare che l’ingegno sembra
coglierli per noi come dal fondo di un ondata
di spavento – e qui  li calma e li dissuade.
                                                 

Perché nel sottoterra di una terra disturbata
e resa un brivido dal suo sfarfallamento a scomparire
l’ombra inanime riappare – si sfilaccia poi
in un gelo di espulsione, ricombina i movimenti 
e sottomette nel dilemma le sciagure.



                                     Cede nel tramonto
l’intuizione di vocali e firmamenti



Il dito ricorda un assunto lampeggiare di sensi
un flusso indistinto di moti a indicare le stelle
e chi guarda, e l’istinto dei nomi e le luci che
splendono e affogano e lì mi appartengono – 
in stanze incompiute, una folla di noi e di inganni.
                      

Un marasma di accenti, una calca bruciante
li raschia e li  accende, e orchestrandoli in tondo
li guarda finire in un fuoco e sparire – spenti
in attesa di ciò che li affanna, qualcuno li svuota
dispone per sé di rumori impassibili e ardori.


Ma tu, se il paesaggio non gira e si gonfia
pensi che esistere sia fare un cerchio col dito
uno sguardo mancato da qui al firmamento e poi
via – dire sì al panorama, alla forma del mondo
a una sfera esaltata di vera e decisa anarchia. 



Nemmeno il biancazzurro delle cose
o il gialloverde scombinato di un sorriso




Per un’immagine felice una parabola      
ha intrapreso il suo cammino – volerà, dilagherà
riproducendo il mare in musica e la quiete
guarirà l’intonazione oltrepassando il tentativo
di assorbire tutto l’impeto nell’aria.

             
Ma una specie di parola se n’è andata –
il limite dell’ombra nella guancia spezza
il sole, disillude uno sgomento inafferrabile
una fionda in congiunzione sui lillà, dove
l’incanto prende il senso di un evento innaturale.


Ma in un buio così buio e ripetuto, il genio
delle luci perde i suoni, le onde bianche
e il codice del tutto in cui ripara anche il fragore
degli uccelli – tu li vedi, e dal profilo sottilissimo
che assalta, innalzi la paura e viaggi intatto.   

  

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