venerdì 21 ottobre 2011

Francesco Marotta “Senza titolo” in “Ante Rem. Scritture di fine Novecento”, Anterem Edizioni, 1998


non sarà vegli l’infinitudine la riva rincorsa  
dallo sguardo si incrocia qui tra onde concesse
al disfarsi la parola che inventa il suo paradigma
di stagni e deserto un mare che ancora ci somiglia
vastità di oggetti che più prossimi alla polvere
gridano fiotti di percorsi a increspare superfici
di simboli dolenti epifanie di corpi disadorni
anime irrisolte di navigli al largo delle notti
che l’orizzonte contrae in un lampo il porto stesso
in lontananza labirinto di un mondo in frantumi
di cui non reggi i fili possibile mare mare plurale
che brucia di epigrafi rapinate ai coralli luminoso
del lucore ramato di cocci di vetro mare implicito
nel corollario di esserne il custode lo scriba
della sua ottica rovesciata trama di vele tattili
da cui l’occhio ignaro si ritrae vago degli arazzi
che simula il vento deposito di infanzie riemerse
a ogni nuova luna un’isola fredda a pelo di lingua
che tace la sua radice esiliata


Siamo al cospetto di un’analogia che per descrivere il linguaggio si serve di metafore appartenenti alla natura, al paesaggio. Ma, poiché Francesco Marotta dichiara di porsi da un’”ottica rovesciata”, guarderà al mondo sentendosi esiliato non da esso, ma dal linguaggio. La fittissima tramatura che  il poeta istituisce linguisticamente fra “riva”, “onde”, “deserto” e “mare” mostra - quasi un contrappasso -  ampi squarci nella tessitura del linguaggio a cui nessuno sguardo potrà porre rimedio: non si potrà tirare nessun filo. Se il mare diventa plurale, se le epigrafi sono tratte dai coralli, se il mare assume carattere implicito, se ne desumerà non una continuità, ma una discontinuità “a pelo di lingua”. La realtà infatti apparirà non ricomponibile perché avrà assunto le sembianze del linguaggio. Saranno ancora gli elementi naturali a tentare di assumere una voce: oggetti che gridano,  navigli con anima, onde e stagni che mimano parole disfatte o paradigmi, ma il linguaggio vi apparirà come un calco, desunta forma: sarà sempre ciò che manca.  Straordinario rovesciamento che ci induce a porre sotto esperimento ciò che invece diamo per scontato, credendo che il linguaggio sia saldo e la realtà fugace. A nulla varrà, pertanto, riconoscere “un mare che ancora ci somiglia” poiché la proiezione della nostra interiorità sugli oggetti avviene col linguaggio ed è esso a determinare la frantumazione del mondo. Marotta assegna però un ruolo “riparatore” allo scriba, il quale sarà il custode, colui che potrà ricostruire “la trama di vele tattili”, appunto, tramite scrittura. A definire in maniera irreversibile anche lo scarto tra linguaggio e scrittura, oltre a quello esistente tra pensiero e realtà.

Biografia di Francesco Marotta (1954)

Tra le sue pubblicazioni in versi: Le Guide del Tramonto (1986); Memoria delle Meridiane (1988); Giorni come pietre (1989); Alfabeti di Esilio (1990);  Il Verbo dei Silenzi (1991); Postludium (2003, Premio “L. Montano”); Per soglie d’increato (2006); Hairesis (E-book 2007); Impronte sull’acqua (2008, Premio "R. Giorgi"). In antologie ha pubblicato le sillogi Creature di rogo (1995), e Notizie della Fenice (1996). Gestisce lo spazio web http://rebstein.wordpress.com/

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