sabato 28 giugno 2025

Sintassi del Segno Sospeso, mostra di Maria Rosa Benso presto il Teatro Palazzo Saluzzo Paesana, maggio 2025

 



Sebbene alla ricerca degli accadimenti che si situano sul confine, nel tentativo di sorprendere ciò che è evanescente, apparente e perciò stesso incerto, Maria Rosa Benso non rinuncia a intitolare la sua opera, la prima che appare nel catalogo della mostra Sintassi del Segno Sospeso, tenutasi a Torino presso il Teatro Palazzo Saluzzo Paesana nel maggio 2025,  Strutture fluttuanti. Ora, è ben evidente che una struttura per reggere non può essere labile né incostante, se non venendo meno alla sua ragione d’essere, ma tale antinomia ben racconta come l’accento venga posto dall’artista sulla paradossalità insita nell’azione del dipingere che dalla materia passa alla materia avendo spianato tutto quanto di reale esista. In una splendida distesa d’acqua azzurro cobalto, un puntino nero ci mette sull’avviso che, poiché è di pittura che si tratta, il vero antecedente è la storia della pittura stessa: dunque, per quest’opera, il pensiero va a Mirò. Ma subito lo sguardo si perde seguendo, nelle intestine profondità, le cime di giganteschi filamenti, forse di materia organica, e il fruitore incontra un secondo paradosso: la profondità si ottiene su una superficie. La riflessione di Benso, pertanto, è sempre anche una riflessione sulla pittura. 

Se esiste materia, essa è desostanziata, presenta vacuoli, ossia è lavorata sottraendo pigmento bianco dalla carta inchiostrata (Materia sospesa, inchiostro su carta, 2022). Ha persino un accenno di forma ed è fortemente analogica, al fine di insistere sulla metamorfosi, sul divenire, più che sulla saldezza per quel che riguarda le cose del mondo. In fondo, la stabilità del mondo è un desiderata dell’umana mente.

Nelle due carte intitolate Percezioni, (tecnica mista su carta, 2021), la superficie è mossa, disomogenea, appena vapori acquei; con alcune asole, nelle quali traspare il candore della carta, essendo aree prive di campitura. Su tale estensione si sovrappongono addensamenti grigi, delineando una zona dove è meno possibile discernere: forse banchi di segni mnemonici. Ed è qui che entra in campo la scrittura come intervento mentale. Il segno aggancia la volontà, ma anche l’incoscienza. Sappiamo molto più di, ma lo dimentichiamo. Spesso è proprio il sostrato mnestico a tirarci in ballo, a trascinarci.

La memoria, inestricabilmente intrecciata al tempo, è la protagonista di due opere: Attraversare il tempo e La materia del vento (entrambe realizzate a olio e tecnica mista su tela, 2025). Tempo e memoria striano, tolgono intensità, elidono la materia, senza però riuscire a cancellarla del tutto, poiché rimane un’impressione: sorta di lastra sulla quale un vento, che sposta e desostanzia, erode i margini.

L’opera At the still point, there the dance is, (olio e tecnica mista su tela, 2025) palesa la presenza di una scrittura che si sovrappone al visibile, ma, appunto, è un visibile guardato con gli occhi della mente. Un circolo bianco simboleggia la luce, non abbagliante, un punto denso, mentre la scrittura, solo apparentemente leggibile, è formata da una calligrafia elegante quanto indecifrabile. È il verbo da cui tutto origina. A conferma, in Prima che sia voce (tecnica mista su carta, 2024), che nelle tenebrose spazialità soltanto un moto di segni si manifesta, prima ancora del verbo.

La scrittura si confonde col puro segno nell’opera Centro e assenza (olio e tecnica mista su tela, 2025), divenendo a tratti disegno, quasi fosse possibile una sorta di deformazione, un’anamorfosi di cui non si verrà mai a capo e che induce il fruitore a riflettere sulla vicinanza che scrittura e disegno hanno sotto taluni aspetti. Ci si chiede anche se l’assenza si possa scrivere. Il titolo, come la stessa artista indica nel sottotitolo, proviene da Henry Michaux, Entre centre et absence. Maria Rosa Benso, difatti, inanella opere che per i titoli si rifanno alla letteratura di area francese. In Je veux ētre un poète, et je veux ētre un ciel (da Arthur Rimbaud, lettera a Paul Demeny) del 2024, nel buio silente, la nascita del mondo terreste è data dal colore Terra di Siena; si vede la luce coincidere con la scrittura, o meglio con una sorta di prescrittura, dove il senso letterale è ancora di là da venire e non ha in fondo importanza che arrivi. Il senso, quello vero, pare consistere in un indefinito. Tuttavia, la scrittura, larvale, è già comunicazione, come attesta A più voci, (tecnica mi sta su carta, 2024). È già una danza, un passo doppio, un addensamento della materia. Il rosso in luna forse, tramite il valore simbolico del sangue, all’umano orizzonte. Parrebbe potersi affermare che alla parola compete solo il segno della sua stessa perdita. I titoli delle opere tradiscono un’infedeltà al reale e una preferenza senza ripensamenti per l’origine introvabile delle cose, la cosmogonia del senso totale, con l’irrinunciabile corrispettivo di totale mancanza di senso. Lo si comprende bene in Mirror (inchiostro su carta, 2024), laddove a specchiarsi solo due segni, mentre lo sfondo è in liquefazione perenne. Come riconoscere un’identità in un siffatto paesaggio?

La geometria, quando presente, come in Fenditure (argento ossidato su carta, 2022) disegna un ambiente estraneo, simbolico, sgraffiato e riporta alla memoria le fotografie scientifiche delle particelle sorprese nei loro inimmaginabili tragitti, come, d’altronde, il titolo stesso farebbe pensare. In realtà, sono gli effetti che si ottengono con la brunitura dell’argento: labirintici segni con sprazzi di luce ed ombre sui quali soffia un vento da microcosmo.

In Whispers e in Il peso delle nuvole (entrambi realizzati con tecnica mista - assemblage, del 2024), lacerti di garza di seta mimano le volute di nembi vaganti nell’aria, ma sono rigidamente riquadrati da cornici bianco-nere che li fanno dialogare con la geometria. Quest’ultima è la simbolica stampella della ragione, ma la razionalità compie i suoi magheggi per far quadrare il cerchio: il paradossale è, dunque, perpetuamente in agguato in siffatte opere realizzate con raffinatissimi mezzi, sul limitare di un minimalismo che è strumento per accedere alle questioni ultime e peraltro nient’affatto distanti dalla nostra quotidianità. 

Nell’assemblaggio di Trasparenze (2024) e di Brouillard (2025), Maria Rosa Benso introduce rametti, garza di seta, vecchi quadranti di orologio da polso privi di lancette per giocare sulla soglia tra il vedere e il non vedere, sulle consistenze appena sufficienti delle materia, sicché la domanda sembra più riferirsi alla reale fondatezza delle sostanze e alle inevitabili apparenze a cui diamo il pomposo nome di realtà. 


Rosa Pierno


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