mercoledì 20 settembre 2023

Maristella Diotaiuti “.come cosa viva”, Terra d’Ulivi edizioni, Lecce, 2021



Primo libro di poesie di un autore già maturo, “.come cosa viva” di Maristella Diotaiuti, Terra d’Ulivi edizioni, Lecce, 2021, mostra una forza visionaria che non lascia mai la presa e, trascorrendo da un ambito all’altro dello scibile e della percezione sensoriale, lascia intendere che la realtà è già stata liquidata da un giudizio. Non si deve, tuttavia, credere che sia in atto una negazione del reale a spianare la via all’immaginario, bensì è dalla natura che quest’ultimo prende il volo, recidendo solo apparentemente il proprio cordone ombelicale e mostrandosi sganciato dal referente solo per una prospettiva parziale. Ma c’è un asse portante rispetto al quale si svolge a raggiera la ricerca di Diotaiuti; esso riguarda il nucleo più insidioso di un’altra questione, forse prioritaria: i rapporti tra emotività e razionalità, relazione da cui non ci si può congedare nemmeno temporaneamente, scegliendo l’uno o l’altro termine della coppia dicotomica. Per questo nulla è da tralasciare: “(quello che crediamo di non aver sentito di non aver capito / di aver perduto) / addirittura un fruscio un'eco / a volte anche meno: un attimo di vuoto” sono l’incatramato nodo da non doversi sciogliere. Percezione e pensiero sono già attivi, nascono insieme. E ci consentono di vedere persino dove l’occhio non giunge.

Collegare il proprio corpo al cosmo, mettere a confronto la propria misura e la  dismisura dell’universo è l’atto susseguente che determina la necessità di andare a studiare una seconda relazione contraddittoria: micro e macro mondo. Nella disamina di tali relazioni,  lo strumento linguistico gioca un ruolo ambiguo. Le parole sono cerniere che se, da una parte, sembrano poggiare su un fondamento, dall’altra, paiono aprirsi su uno sprofondo: cosmo-melograno e disgranata nudità di spazio. La dispersione diviene aspersione. La simmetria che si conosce e che non si conosce veramente: 


ma questo cosmo questo cosmo geometrico e a rimbalzi allegoria d'altro o segnale questo cosmo dove ogni cosa tiene l'altra di coincidenza in coincidenza in una stessa grammatica d'immagini e figure passa una carezza dolce gioco della lontananza del richiamo compiuto un gesto possiede la bellezza di chi è sospeso in un'età aperta ad ogni forma la morbidezza o i muscoli la smisura del tempo la sua profondità la sua scansione questo cosmo melograna disgranata nudità di spazio visibile e i passi un ritmo di passi come fosse mantice questo cosmo dispersione di passi aspersione di seme un troppo per cui non abbiamo misura vorrei insegnarti la simmetria vorrei aver imparato la simmetria


Si apre all’improvviso uno scenario tessile: la spola che ritorna indietro, disfacendo il lavoro. La scrittrice è una Penelope all’opera. Da luoghi impossibili, come “il centro del centro” che inanella sia Apollo alla tartaruga irraggiungibile sia il taccuino che si svuota mentre l’autrice narra: la torre di Babele si erge, mentre si inabissa. Splendido spettacolo dovuto alla “passione dei riflessi”. Anche la pazienza e l’impazienza degli anni, ciò che è desiderabile mentre sembra insopportabile, vanno a costituire una collezione di luoghi-eventi, i quali, nonostante l’annunciata paradossalità, sembrano di fatto verificarsi nell’esistenza come luoghi comuni, appartenenti alla percezione di ciascuno. Il tempo non si palesa né come funzione lineare né circolare. Presiede il presente e l’immutabile, sorta di cannocchiale che si allunga o si accorcia rimpicciolendo o ingrandendo il campo visivo. Quel che conta è il tempo che ciascuno sceglie per sé, il tempo sentito, il tempo dell’esistere a cui abbandonarsi. 


sempre intorno alle cose un'ombra viva

quel segno che ti fa capire nel rombo del tempo nerazzurro chimico modi diversi allusivi del tutto-accaduto-una-volta-per-sempre

solo il mondo è diverso ostinarsi

ma-più-mai-più uno di quei giorni di prima uno solo ritroverai per caso una mattina sopra uno scoglio correndo sul cielo aperto

piccoli azzurri struggenti guardano

fanne un mistero se vuoi ma-vivi


vivi-se-ti-va-vivi

muta-le-cose-mute-per te


come fa che ogni tanto scompare sai che è partito e quando ritorna una tenerezza

un odoretepore di uccellino

adesso ricordo dove


Se occorre segnalare che il tempo scandisce, lascia segni, centellina e procrastina, impone e devia, è immobile e scolpito nel presente, altrettanto importante è sottolineare che tali segni non devono trarre in inganno, giacché il tempo è un’idea logora, quanto fuori posto; segna un giogo sotto cui non si deve necessariamente passare. La mente, in quanto coacervo di sensazioni-pensieri, è anche qualcosa attraverso cui risalire o discendere. Un cambio di scala è sufficiente a consentire, infatti, di “avere tra . le braccia una nuvola una . piccola nuvola di polvere da portare. in dote tanti piccoli dettagli di incantevole lindore in cui dare e . ricevere sono . una cosa sola”. Il tempo è nondimeno essenziale nella costruzione del verso di Diotaiuti in quanto la poetessa scandisce gli spazi con una punteggiatura che presenta diverse posizioni, quasi un battere e levare nello spazio vuoto tra le proposizioni. È come un pulsare ritmico, corporeo, che funge da ripetizione di quel pulsare cosmico che Maristella ha inteso mettere in evidenza anche concettualmente. Ciò vale per le parole che si susseguono in maniera concatenata: “etiamoperchènonmelodici”, “ unosolo”, “petalichecadono”,  “nell'umanamisura” dove l’unione dei vocaboli rinserra lo spazio-tempo in un punto inesteso.


Che dietro codesta scrittura poetica non si celi anche una metapoesia è innegabile. Stante la critica di una scrittura poetica che mentre sfavilla, vacilla, lasciando intravedere gli egocentrici ‘io’ che tessono in versi la propria disfatta umana, deve comunque intendersi che la poesia è irrinunciabile, presa che sia assieme al suo ciarpame e alle sue pecche. Se le poesie si presentano come “tensostrutture” che attestano di una “realtà carnevale”, pure “l’osso della parola” ancora testimonia di “un’anima in dismissione”. Ossia, è in grado di tradurre per l’altro la propria condizione umana. Pertanto, anche se la poesia oggi sembra merce, anche se non c’è un pubblico,  anche se sembra ruminata da innumerevoli poeti, tuttavia, la poesia continua ad avere un ruolo ineludibile:


“a mezzanotte zero uno una navicella cella di nave e vento in crostazione d'inchiostro sul cuscino il mutarsi della vita con l'artificio con la punta dell'assillo in gola un fluido incanto di luce pesta


un canto appestato d'occasione in forma chiusa per la chiusa

autenticare l'inautentico ancora la prova estrema con il punto a dare una pausa che non puoi contenere il sipario che cala sull'io poetico nell'infinito chiuso come riparo”.


Una versificazione, quella di Diotaiuti, che, dunque, senza timore di ritornare sui propri passi e da lì deviare, intende con insistenza percorrere tutti i gangli della rete, rendendo conto di una complessità che da sola vale come risposta. Niente esiste senza avere una doppia valenza, un doppio peso, un doppio sembiante. Bisogna stringere entrambi fra le mani. Allora, aprendole si vedrà il tesoro. Nulla lasciando scorrere tra le dita.


Rosa Pierno


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