Rosa Pierno “Istoriato”, Gilgamesh editore, 2020, disegno in copertina di Stefano Iori |
“Istoriato”, di Rosa Pierno, affronta con precisa determinazione il non facile argomento della passione amorosa.
Cosa pensa Rosa dell’amore?
All’autrice, mi pare, più che rispondere in maniera decisiva a simile domanda, interessa proporre efficaci frammenti.
Il racconto c’è ma è compito del lettore estrarlo, poiché la sua attenzione (assiduamente richiamata da ogni frase, perfino da ogni vocabolo) si svolge in àmbiti in cui ampia è la possibilità di scelta.
Le parole sono lì ma non costringono, non conducono ad esiti predeterminati, restano aperte.
Cito ad esempio:
“Si chiama amore anche la più disperata estraneità. L’intimità stessa non è pensabile senza il miracolo della diversità: so che siamo intimi solo se siamo separati, so che siamo distanti solo perché siamo intimi. Le differenze producono uguaglianze sulla linea di un crinale; è un istante e poi vi è il precipitare”.
Non può esistere differenza senza uguaglianza, d’accordo, tuttavia qui viene aggiunta “la linea di un crinale”: di più, “è un istante e poi vi è il precipitare”.
È possibile sottrarsi a simile abisso?
Cito ancora:
“Passione non si sottomette alla ragione, la comprende e con uno sgambetto la fa cadere, le dice sei l’altra, l’unica e la tradisce issando emotive giustificazioni. Ragione risponde che le piace: anche lei ama la perversione”.
Una ragione emotiva può essere d’aiuto?
Ragione ed emotività sono opposti secondo canoni rigidi, schematici, non nel flusso della vita.
Occorre saper osservare.
Un esatto sguardo idiomatico ci conduce lungo un complesso percorso: l’occhio-parola di Rosa si rivolge tanto all’esterno quanto all’interno, tanto all’altro quanto al sé e noi non possiamo smettere di ascoltarlo.
Degna di nota è la dichiarazione:
“Tentare di descrivere è esercizio basilare. La dama si attiene a empirica osservazione. Non casca nella rete della spiegazione, non ammissibile, d’altronde, in un testo pieno d’immagini, con parole monche, al limite dell’afasia”.
L’autrice parla del suo stesso testo?
È possibile: il “limite dell’afasia” non è superato, poiché “Istoriato” dice, eccome.
Dice di sentimenti e di emozioni, d’immagini e di pensieri: il tutto senza correre il pericolo di cadere “nella rete” di spiegazioni che, inevitabilmente, chiudendo il discorso, finiscono con l’allontanarsi dal divenire esistenziale.
Viene promossa, qui, la ricerca di significati, di valori, secondo un metodo di poetica analisi che, senza definirsi, propone la propria indubbia efficacia: certo, possiamo accettare o meno tale (a mio avviso, condivisibile) metodo ma, in ogni modo, siamo chiamati a pronunciarci.
Insomma, siamo coinvolti: non è poco.
Marco Furia
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