mercoledì 30 novembre 2016

"L'ANIMA DEL SEGNO, Hartung, Cavalli, Strazza", Museo di Villa dei Cedri, Bellinzona, fino al 29 gennaio 2017




Estratto dalla conferenza “Dal gesto al segno - approcci sulle tecniche dell’incisione” tenutasi presso il LAC, Lugano, 20 ottobre 2016, relatrice Loredana Müller 

Parlare di anima del segno porta in grembo plurimi significati, in qualsiasi modo si voglia intendere il segno: potremmo sostituire anima con carattere o psiche o, ancora meglio, con tensione. Oppure pensare ai segni come suoni, atti, intense-adesioni, tensioni, necessità e svolgimenti, ritmi e costanti che appartengono al vivere, alle emozioni, alla priorità dell'esprimersi oltre che all'orientamento etico ed estetico. Forse potremmo anche partire dall'autonomia del segno e nel contempo individuare la sua grammatica. Ecco individuato ciò che, per i tre artisti che sono riuniti, perché pittori ed incisori, nel contesto espositivo e museale di Villa dei Cedri a Bellinzona, appare quale luogo comune di ricerca. Essi condividono assonanze e dissonanze nel loro procedere, pur nella loro diversa contestualità storica, accomunati essenzialmente da una forte ricerca analitico-espressiva.

Cosa si intende per grammatica del segno, come si genera tramite tale struttura la visione?
I segni appartengono al vivere. Tracciare è ricercare, comprendere, è dialogo tra sé e la società, e non è  necessariamente verbale: ricordi e primissime adesioni al proprio vissuto. Al principio c'era il tatto, il respiro, solo dopo lo sguardo come finestra sul mondo della luce e del buio. E questa comprensione che relazione ha tra il mondo interiore dell'uomo e quello dell'artista? Comprendere, prendere in sé, ciò che si fa gesto, traccia. In che termini diviene segno?

Ma prima di tentare di dare alcune risposte in relazione all'attività dei tre artisti e alla mia diretta esperienza, premetto che  sono un'artista visiva particolarmente fortunata perché, dei tre artisti presentati, ho avuto il piacere di averne due come docenti, Massimo Cavalli qui a Lugano negli anni '80 e Guido Strazza a Roma alla fine degli anni ottanta. Ho la fortuna, dunque, di essere in amicizia con Cavalli e Strazza e, riconoscendoli come maestri, li pongo all'interno di quel processo che riguarda a sua volta la trasmissione del sapere all'interno del processo di insegnamento, il quale oggi è una vera e propria sfida:  generare conoscenza intorno a una pratica apparentemente "superata“ legata al tempo del corpo come a quello della materia. Oggi, incanalare la forza, l'energia, il senso in un segno, per chi non si muova nell'ambito delle arti visive della mia generazione, sembra non appartenere al mondo contemporaneo, in particolare, alla sofisticata tecnologia che ci circonda.

Parlare di incisione calcografica vuol dire però anche accorgersi di quanto il mondo dell'incisione sia vasto, basti pensare alla pietra e all'incompatibilità delle sostanze che si adottano, per giungere ai segni che vengono solo in un secondo tempo registrati e inchiostrati e passati alla carta, alle reazioni di incompatibilità tra i diversi materiali utilizzati, al metallo, alla pietra, alle punte...ebbene è PARLARE DELLA STORIA DELL'UOMO e della sua evoluzione...
È una cosa molto diversa dal lavorare con le immagini precostituite, magari con l'ausilio della fotografia, le quali invadono come rumore il nostro immaginario e contribuiscono a una visione superficiale. Usare registri figurativi sottratti da fotografie o da immagini già elaborate dal computer è diverso che cavare da sé un segno come atto e direzione di senso, ricercando il superamento nel proprio agire, anche nell'inevitabile acquisto del dubbio.

Un segno tracciato a grafite ha una sua nobiltà e appartenenza che si riscatta nella pressione, ma anche nella grana della carta, tra pastelli grassi e inchiostri magri e la loro impermeabilità, tra inchiostri grassi e acquarelli. Qui dovremmo necessariamente entrare nelle tecniche pittoriche,  renderci conto che segnare, disegnare e dipingere, hanno diverse fasi e gradi di conoscenza, i quali comportano anche conoscenze chimiche, oltre che riguardare i problemi della mimesis e la concertazione del pensiero... Quanto cioè ci sia di meccanico” o fisico che, come direbbe  Leonardo Da Vinci, vuol dire che chi ha in grembo una verità chimica ha già una  dimensione analitica.
Hans Hartung


Ma vediamo, cosa scrivono a tal riguardo gli artisti presenti nella mostra, partendo da Hans Hartung, pittore tedesco, nato a Lipsia nel 1904 e deceduto ad Antibès nel 1989, il quale ha compiuto gli studi artistici e musicali a Dresda e a Monaco, inizialmente vicino all'espressionismo, ma da sempre attratto dai segni più forti e incisivi in natura. Voglio indirizzare l'attenzione su quanto nell'incisione ci porta a contatto con il passaggio, con l'afferrare o meno il visibile... Accade nell'istante, ma è in grado di generare esperienza...e soprattutto appartenenza, orientamento, chiarezza di lettura. Lo stesso Hartung giovanissimo pare avesse un taccuino dove registrava lo zizzagare dei fulmini, dove annotava  un segno in qualche modo indescrivibile, tra sperimentazioni e ampliamento del gesto, con scope, rastrelli e faggine. “L’arte astratta mi pare un movimento particolarmente sano nella storia dell’arte. Con essa, dopo un lungo periodo di rilassatezza, si ritrova una tendenza purificatrice, che aveva avuto inizio con Cézanne,  proseguendo con il cubismo analitico. La macchia torna ad essere una macchia, il tratto un tratto, la superficie una superficie. Le opere vivono per se stesse, di per se stesse, sbarazzate dalla sottomissione alla figurazione. Il che consente di ricongiungere i poli principali dell’uomo: l’universo e l’uomo nell’universo".

Le sue parole sottolineano quanto la dimensione dell'esperienza come atto del proprio agire diviene per questi artisti primaria relazione con il mondo. Quindi credo che se leggessimo i loro segni con questa consapevolezza, certo comprenderemmo perché un Paul Klee diceva che la pittura era rimasta indietro rispetto alla musica. Perché ancora oggi, nelle arti visive, il ruolo della disciplina come ordine, come ordine del fare, come continua esperienza e quindi pratica è desueto. Tuttavia, proprio la sua immediatezza, che non è velocità fine a se stessa, ma esperienza acquisita tramite la pratica, diviene anche esperienza del tempo.

Credo che il compito oggi dell'arte sia accorgersi dell'urgenza di mantenere la diversità, come priorità, al fine di salvaguardare l'esprimersi come atto autentico primario e individuale, e credo che l'arte sia questa ricerca o almeno a questo dovrebbe sempre tendere. Concetto intorno a cui la lezione di Guido Strazza si è particolarmente articolata: ricca di avvertenze, di riflessioni sul segno. Guido Strazza, nato a Grosseto nel 1922, vive e lavora a Roma. Ingegnere formazione, grazie alla poesia entra nell'ambito delle arti prestissimo.  Marinetti a invitarlo attorno all'aero-pittura. Ecco alcune sue parole dal suo testo "Segnare":
Guido Strazza

"Non è un foglio bianco in attesa dell'ispirazione, ma una fitta rete invisibile, già tutta intessuta delle sue e delle nostre pulsioni a un suo (nostro) ordine tutto da decifrare. Materia e significati (ecco la fondamentale doppiezza) che troveranno accordo in quella forma di incrociati riconoscimenti e identificazioni che usiamo chiamare opera. Ma, fin dal primo istante qualcosa si sta facendo diverso dal previsto. Senza fine. Si provoca la materia, questa risponde. Non parla di sé, ma del suo rapporto con noi. Che non è cosa cosi certa e chiara. Un pensiero si fa segno, segno di sé e qualcos'altro ancora".

Ma anche gli aspetti che riguardano la carta, la dimensione e orientamento del foglio sono aspetti centrali a cui  Massimo Cavalli dà particolare rilievo: nato a Locarno negli anni '30, pittore ed incisore dalla coerenza sbalorditiva, dal '49 studente a Brera a Milano all'Accademia di Belle Arti, si affeziona al naturalismo lombardo, guarda Morandi, per poi abbracciare l'informale. Seguiamolo in alcune affermazioni: "Non mi faccio irretire da nessuna forma, l'imprevedibilità dei segni è essenziale", "Affronto ogni dipinto come se fosse ogni volta la prima volta, non so quando inizio, dove mi condurrà, so che comunque ricerco la tensione massima".

Il segno in questi tre artisti è un dialogo tra crescita e tensione, si situa tra lo spontaneo e l'atto energico, a volte graffiato, portato davvero fuori da sé. Le possibili direzioni generano quasi una lotta, imponendo spesso una propria arbitrarietà come libertà d'ogni segno. Espresso con strumenti diversi: la punta in punta secca, dove il segno sposta il metallo in superficie, le barbe con le loro varianti e la traccia morbida eppure intensa. Oppure il bulino  con la sua punta a triangolo che estrae nella direzione del segno un ricciolo, come se fosse legno. Ebbene il segno poi porterà sul foglio di carta la presenza del corpo dell'inchiostro che va a riempire il solco, ed è netto e spesso, vivendo anche di pressione diversificata, dalla massima alla lieve, sulla lastra. Non dimentico il punzone a sua volta a cuneo appuntito, il quale crea uno schiaccio sia come punto sia come foro. Lì si deposita l'inchiostro, la diversificazioni di tali punti è data dalla forza del martelletto che batte sul punzone che è come un chiodo, oppure dalle punte più fini o spesse...Poi interviene la distanza o vicinanza d'ogni punto battuto...e una inesauribile possibilità di campiture. Appartiene alla stessa famiglia di tecniche dirette anche la mezza luna o Berceaux, una lamina di diverse grandezze che ha una zigrinatura che genera, poggiandola sul metallo e dondolandola, premendo, o ruotandola piano piano in ogni direzione,  una sorta di graniglia, un tessuto di segno che può avere incroci fino a 16 giri...e raggiungere dei neri di una profondità indicibile.
Massimo Cavalli

Le tecniche indirette, sono tutte quelle che nell'incisione calcografica usano l'ausilio di acidi, nitrico o solfati o sali, i quali producono i segni nelle cosiddette morsure. Qui tutto è aperto, la differenza tra spessore o sottigliezze, ripetizione, giustapposizione o interposizione, assunte come linguaggio dell'azione, dai ritmi quasi musicali, segni come suoni sospesi come note che precipitano, ricercano pentagramma... o generano aprendo, e non necessariamente concludendo la forma, sono andamenti lievi, ma non troppo, moti, forti, andanti contenuti, vivaci, ritmati assordanti...segni che si fanno tramite la nostra azione. L'interesse per la luce è ricerca di contrasto, un continuo contrappunto tra pieno e vuoto, linea e linea, affermazione o cancellatura, cromatura e buio: è il dubbio che ramifica le sfumature dell'assoluto.

Per concludere questo primo viaggio, abbracciando i nostri artisti attorno al segno, tento alcune brevi considerazioni tra l'incisione che per tutti e tre è spina dorsale della pittura, dando ruolo sostanziale anche al colore: segno, come gioco forza dalla tensione alla profondità, dalla verità che parte semplicemente dalla lettura tra cielo e terra, alto-basso-gravità, per raggiungere in ognuno astrazione o appartenenza poetica, libertà. È una scelta importante e oggi ardita, perché è di moda dimenticarsi del passato e della storia, come forza e paradosso, apertura e discussione sempre aperta, per poi cadere nello scontato di un agire mai nuovo. Carole Haensler, direttrice di Villa dei Cedri a Bellinzona, con questa mostra sottolinea che la ricerca d'ogni artista consiste, se parte dal segno, nell'affrontare e recuperare la dimensione della storia dell'Arte come valore forte.

Hartung, Strazza e Cavalli, hanno sempre guardato e studiato la natura attorno a loro e compreso la storia dell'arte anche come processo del fare. Delle tensioni che possono essere affrontate o confrontate nel loro tessuto linguistico e storico, e portate sempre su strade diverse, per avvalersi della propria verità e quindi della propria adesione al tempo come metafora della storia, della materia affrontata dal gesto, come corpo e spirito, dalla traccia che si è e si fa storia. Traccia che genera visione, per percorso e appartenenza d'ognuno, al proprio tempo certo, ma anche a quella dimensione profonda che poi segna una via collettiva...una traccia delle emozioni come comune valore, luogo anche della ragione d'essere, unendo natura e storia. Questo l'arte dovrebbe far avvenire...e nell'avvenire ritornare e rigenerare quella pregnanza storica che dovrebbe essere la cultura: luogo d'ogni ricerca del senso agito del nostro vivere anche spirituale.

                                                                                                                           Loredana Müller



Per le visite guidate consultare: www.villacedri.ch

Catalogo della mostra edito da Pagine d’Arte www.paginedarte.ch


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