domenica 15 luglio 2012

Gillo Dorfles “Fatti e fattoidi” Castelvecchi, 2009

Il libro di Gillo Dorfles, “Fatti e fattoidi”, riedizione realizzata da Castelvecchi nel 2009 del libro uscito nel 1997 per i tipi di Neri Pozza, assume sotto la medesima denominazione di fattoidi sia i fatti reali che quelli artistici, quando quest’ultimi siano eventi travisati, artificiosamente gonfiati o impoveriti, oggetti cioè sottoposti a una pratica di “falsificazione e di feticizzazione”. La critica alla società e alle forme culturali contemporanee vi viene operata individuando due cause e offrendo due soluzioni: ” 1) nello svincolarsi dagli agguati della high-tech, dalla sottomissione alle scoperte scientifiche sempre illusorie per quanto si riferisce all’aisthesis; 2) nella rivincita del corpo umano, non come corpo stuprato (o stupratore), come fonte di ogni perversione”, la quale è ravvisabile in molte  opere contemporanee (Gina Pane, Hermann Nitsch, Kiki Smith, Damien Hirst).

A nostro avviso, le pratiche crudeli, sopraffattorie, sadiche presenti nell’arte contemporanea non sono derivanti da “un’epoca  di crudeltà, di disprezzo per la persona umana, di indifferenza per il prossimo” come Dorfles afferma, giungendo a definire quella in cui viviamo come un’epoca di “ oscenità del credele”. Vorrei riportare a questo proposito la risposta di Voltaire, nella venticinquesima delle sue Lettere Filosofiche, a Pascal che criticava la doppiezza dell’uomo, capace delle più estreme manifestazioni. “Un animale che il suo padrone accarezza e nutre, e un altro che egli sgozza con precisione per farne anatomia, dovranno ben provare dei sentimenti animali diversi o contrari: così facciamo noi e le differenze che sono in noi sono così poco contraddittorie  che sarebbe una vera contraddizione se non esistessero come tali”. Insomma, caratteri che sono umani e che pertanto appartengono a ogni epoca, mentre sarebbe giusto verificare le forme che il sadismo assume nella società attuale e chiedersi come mai tali rappresentazioni siano entrate nel dominio dell’arte.

Nemmeno condividiamo il dispiacere di Dorfles per la perdita delle ideologie e di alcuni credo (quello del “focolare domestico”, dell’”amor di patria” e dell’”amore per  il prossimo”, i quali “potevano proiettare un opportuno riflesso nelle creazioni artistiche di ieri, ma difficilmente in quelle odierne”), mentre oggi “Si tratta, in molti di questi casi, del male per il male senza neppure la giustificazione d’una mistica religiosa tipo Grande Inquisizione”. Già Marx avvertiva che le ideologie sono proiezioni inconsapevoli e false poiché rispecchiano una condizione determinata, ma si credono vere o valide universalmente e, pertanto, non sentiamo, allo stesso modo, la mancanza di nessun tipo di ideologia. Sembra qui che Dorfles pur muovendo da una critica adorniana alla società di massa non ne accolga la parte che riguarda la critica alle ideologie o al capitalismo, e spacci per cause dei semplici effetti. In ogni caso, se il contenuto morale viene considerato come segno distintivo di un’arte opposta a quella di massa, poiché in quest’ultima si ravvisa superficialità, esclusivo intrattenimento e disinteresse per i problemi del mondo, va considerato che la società attuale non è quella descritta da Adorno e Benjamin, mentre si profila come atto necessario un ripensamento degli apporti positivi della cultura di massa.  

Anche quando Dorfles prova a spiegare le difficoltà relative alla ricezione odierna della musica dodecafonica, attribuendole alla necessità, vera più che in altri campi, di conoscere le regole che sono alla base della costruzione musicale, noi pensiamo che la ricezione abbia bisogno della conoscenza del contesto e delle regole di costruzione in tutte le arti e non solo nella musica (vale cioé sia per la “Divina Commedia” sia per l’orinatorio di Duchamp).  Inoltre, egli attribuisce al bersagliamento, di cui siamo fatti oggetto in ogni occasione, con “un tipo di musica “monocorde”, che va solo in una direzione”, la nostra incapacità di comprensione, di quella che è la vera musica contemporanea. Per i problemi di ricezione della musica dodecafonica nella società di massa crediamo che vadano scandagliate tutte le componenti coinvolte nel problema della ricezione musicale, che sono sociologiche, culturali, sociali, percettive, storiche, non escluso il fondamentale, imprescindibile, processo di alfabetizzazione musicale (a cui peraltro il nostro autore non fa alcun cenno).

Analogamente, individuare nella scienza e nella tecnica il capro espiatorio della nostra condizione attuale assunta come negativa tout court non ci appare un buon inizio per l’esercizio dell’individuazione di soluzioni efficaci.  Una disamina costruttiva della società di massa è quella effettuata da Vattimo nel suo “La società trasparente”, ove la propositività, si incentra sulle possibilità che la società contemporanea offre, e proprio attraverso le tecnologie, e non c’è spazio, anzi esso viene contrastato, per un pessimismo connotato da nostalgica adesione al passato. Se nessuno vuole contestare una deriva di vuotezza e di falsità in molti dei fenomeni attuali, ciò non può effettuarsi buttando a mare l’acqua con tutto il bambino.

Ci è parso, il libro di Dorfles, essere più una collezione di sensazioni superficiali e  opinioni spicciole in cui senza mai colpire il bersaglio di una motivazione e di una causa reale, vengano snocciolate le sue idiosincrasie personali elevate a leggi universali che un libro di analisi. In questa confusa disamina, trascinati dalla veemenza falcidiante con cui Dorfles sommerge i fenomeni contemporanei senza tante sottigliezze,  egli non dovrà dispiacersi se considereremo anche il suo libro come un “libroide”.

                                                                                                        Rosa Pierno

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