sabato 27 agosto 2011

Friedrich Dürrenmatt “Una partita a scacchi con Albert Einstein” Casagrande 2005

La metafora della partita a scacchi serve a Friedrich Dürrenmatt, nella conferenza presentata al Politecnico Federale di Zurigo in occasione del centenario della nascita di Einstein, per effettuare una prima distinzione tra sistema deterministico e sistema casuale, in cui però la posta in gioco è il rapporto tra scienze naturali  e filosofia. Due giocatori che giochino con regole deterministiche sono soggetti in ugual misura alle regole del gioco: il mondo è determinato e regna un ordine spietato, gli uomini che sono i pezzi degli scacchi, “sono determinati, sono conseguenze di considerazioni extraumane”, mentre nella partita  casuale “sono invece gli stessi pezzi a giocare, essi sono la causa degli effetti che producono”. E dove il caos è superiore all’ordine, nessun principio può essere pietoso e misericordioso, può esserlo soltanto una persona”. Ma con “la comparsa delle scienze naturali, il torneo si fa più complesso”: si gioca su due scacchiere, quella dello spirito e quella della natura. Isaac Newton sincronizzava i due giochi perché l’uomo è spirito e natura. Ma il “problema  del perché il mondo non è perfetto si riacutizzò: per un verso nella natura regnavano le leggi, per l’altro il caos irrompeva continuamente nel mondo muovendo dal libero spirito”. Spinoza ha affrontato questo problema facendo riferimento a un Dio che “è costruzione intellettuale dedotta da assiomi, cui viene attribuita evidenza ontologica attraverso il concetto di necessità”, a cui è ascrivibile un mondo deterministico e ove l’uomo è determinato. Einstein, per sua esplicita ammissione, concordava con il pensiero di Spinoza e da questo derivava anche il suo “fluttuante rapporto con la matematica”. Einstein affermava che le connessioni fra le esperienze sensibili e i concetti sono puramente intuitive e che il “sistema di concetti è una creazione dell’uomo, né più né meno delle regole di sintassi che costituiscono la struttura dei sistemi di concetti” e ciò che distingue la vuota fantasia dalla verità scientifica è il grado di certezza dato dal fatto che la correttezza di una proposizione è dedotta secondo le regole logiche accettate. Pertanto, sottolinea Dürrenmatt, un sistema concettuale come “la matematica, che è in sé logica, è di per sé del tutto arbitrario dal punto di vista logico” e che l’intuizione, con cui le esperienze sensibili sono riferite, è la stessa presente  nella sfera artistica e religiosa. Dürrenmatt ne trae che, poiché non esiste un’intuizione completamente sganciata dalla sfera logica,  “anche le impressioni sensibili che  sembrano contraddire le regole del gioco” possano essere causate da un’errata interpretazione del gioco divino. Se Kant “ha rifiutato di attribuire al gioco degli scacchi oggettività al di fuori della ragione umana”, “una visione d’insieme è concepibile solo in via ipotetica”:  gli errori e gli incidenti aumentano in maniera incredibile e soltanto con la statistica si può venire a capo di questa partita. Einstein non si rassegnò mai alla frattura fra macrocosmo, rappresentabile in termini deterministici e microcosmo, rappresentabile in termini statistici e ciò per Dürrenmatt trova il suo fondamento nel pensiero di Einstein stesso: “La fede di Einstein che Dio non giocasse a dadi – formula con cui espresse la sua obiezione contro la meccanica quantistica – e la sua convinzione che le leggi della natura potessero essere descritte mediante intuizioni e non necessariamente, come in Kant,  in termini matematici, sono una cosa sola, l’espressione dello stesso pensiero unitario”. Tuttavia, Einstein, per formulare  il nesso fra relatività e gravitazione dovette far ricorso alla matematica, la quale rivela due aspetti: uno logico a priori e uno estetico (la bellezza della matematica sta nella sua idealità). La matematica che era già ritenuta vera in sé, aveva indotto la filosofia mistica a identificare la metafisica con matematica.
L’antico sogno che l’estetica e la  metafisica, la bellezza e la verità siano una sola cosa si realizzerebbe, dunque, nella matematica. Einstein afferma che l’immagine del mondo fisico di tipo continuo rappresenta per lui la più alta forma di musicalità nella sfera del pensiero. Il desiderio di contemplare quell’armonia prestabilita è ardente ed è “simile a quello del religioso o dell’innamorato”. Il pensiero di Einstein ha cambiato il mondo, “avendo condotto non  a contemplare l’armonia prestabilita, come sperava Einstein”, ma alla visione di un mondo più inquietante e insidioso. Tanto più allora, osserva  Dürrenmatt, dobbiamo seguire le raccomandazioni di Einstein, il quale voleva che ci accontentassimo delle nostre conoscenze imperfette e considerare i valori e i doveri umani come le cose più importanti fra tutte. Tuttavia, “egli dimostrò forse per primo, ancorché contro la sua visione, che non può esistere un mondo unitario”. Dürrenmatt conclude la sua conferenza citando un pensiero di Hermann Weyl: “La natura dualistica della realtà rende conto di fatto che non possiamo concepire un’immagine teorica dell’esistente se non sullo sfondo del possibile” e dunque che non possiamo andare oltre i fenomeni.
A corredo di questa celebrazione della figura di Einstein, nel libro sono presenti  note di approfondimento alla conferenza; ne scegliamo una in particolare che riguarda ancora Weyl: “Il “matematizzare” può essere un’attività creativa dell’uomo, come la musica, e il prodotto di tale attività è condizionato – non solo nella forma ma anche nella sostanza – dalle decisioni della storia, e può pertanto resistere a una razionalizzazione oggettiva completa”. 
                                                                                                                     Rosa Pierno

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