Regia: Steven Spielberg; Origine: USA, 2012; Durata: 2h 30’; Distribuzione:
20th Century Fox; Genere: Biografico - Drammatico - Storico; Cast: Daniel Day-Lewis, Sally Field,
Joseph Gordon-Levitt, Tommy Lee Jones, David Strathairn, James Spader, Hal
Holbrook; Sceneggiatura: Tony
Kushner; Fotografia: Janusz Kaminski;
Montaggio: Michael Kahn; Data uscita in Italia: 24 gennaio 2013
Primi mesi del 1865.
La guerra civile di secessione volge al termine, dopo quattro anni di
sanguinose battaglie. L’appena rieletto presidente Lincoln spinge per
l’approvazione, da parte della Camera dei deputati, del 13° emendamento della
Costituzione americana, ovvero l’abolizione della schiavitù negli Stati Uniti.
Un provvedimento legislativo di portata storica, che il presidente vorrebbe
licenziare prima della fine del conflitto bellico. Ma riuscire ad ottenere la
maggioranza parlamentare non sarà impresa facile. E machiavellicamente i
fedelissimi di Lincoln si muoveranno per convincere e blandire, con prebende
varie e promesse di prestigiosi incarichi di lavoro, i deputati riottosi nelle
due settimane che precedono il voto. Il più importante atto normativo del 19°
secolo è stato ottenuto attraverso la corruzione, sentenzierà sardonicamente il
leader dei Radicali Thaddeus Stevens, principale sostenitore dell’abolizione
dello schiavismo.
Dopo “Il colore viola” e “Amistad”, Steven Spielberg torna a riflettere sul grande processo
di integrazione della comunità nera nella società americana. “Lincoln”
può essere letto come un viaggio nella genesi e nelle radici del fenomeno Barack
Obama, primo presidente di colore nella storia degli Stati Uniti. Ma è anche, e
soprattutto, una grande lezione di etica e di politica, una lucida incursione
nei meccanismi che regolano il governo della cosa pubblica. Fin dove è
possibile spingersi quando il fine giustifica i mezzi, può la nobiltà di una
causa autorizzare trucchetti strategici e procedure poco trasparenti? E il
conflitto di interessi tra le comprensibili preoccupazioni familiari – l’opposizione
di Lincoln e della consorte all’arruolamento nell’esercito del primogenito,
dopo la morte in battaglia di un altro figlio - e l’uguaglianza dei cittadini
davanti ai doveri patriottici come può essere risolto?
Nella sua
sconcertante attualità e modernità, il capolavoro di Spielberg sceglie una
strada cinematografica alternativa alla facile spettacolarizzazione per
smontare i congegni della vita democratica di un paese occidentale, mostrandone
limiti e contraddizioni. Lasciata alla scena iniziale di battaglia, che evoca
la sequenza di apertura di “Salvate il
soldato Ryan”, il contributo di adrenalina alla drammaturgia, il film,
sceneggiato dal premio Pulitzer Tony Kushner sulla base del libro “Team of
Rivals: The Political Genius of Lincoln”, della storica Doris Kearns Goodwin,
inanella lunghi confronti dialettici al posto dell’azione per descrivere la
costruzione del consenso. Il rifiuto di ogni artificio retorico lascia emergere
le crude considerazioni opportunistiche e i compromessi che ispirano anche le
più nobili iniziative. La scontata rappresentazione agiografica è sostituita da
una ben più interessante descrizione chiaroscurata di un personaggio entrato
nel mito, ma spesso imprigionato in una banale e riduttiva ricostruzione
biografica.
La statura morale di
Abraham Lincoln, nella superlativa interpretazione dell’attore anglo-irlandese
Daniel Day-Lewis, già testimone della nascita della nazione americana in “Gangs of New York” di Scorsese, è
superiore alle beghe e agli intrighi calcolati. E basterebbe riascoltare il suo
discorso finale, sulla pacificazione del paese, dopo le laceranti divisioni e
la guerra fratricida, per averne una lampante conferma. Resta tuttavia la
sensazione spiazzante e il paradosso di un film che, nel denunciare il lato
torbido della politica, ne dimostra contemporaneamente l’altissima utilità
sociale e l’indispensabile funzione di salvaguardia dei baluardi fondamentali
di un popolo e di una civiltà. Senza inutili ipocrisie né visioni
manicheistiche di una realtà più complessa e sfumata di qualsiasi tentativo di
ingenua semplificazione.
Giuseppe Borrone
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