Michel Butor, scrittore, saggista, artista, è autore sorprendente e, difatti, alcuni appassionati, fra i quali gli editori Matteo Bianchi e Carolina Leite della casa editrice Pagine d’Arte, sono sempre all’opera per proporre al pubblico i suoi testi e i suoi libri d’artista, anche partecipando alla contemporanea esposizione Dialoghi fertili che si tiene al Porticato della Biblioteca Salita dei Frati di Lugano. Ecco, pertanto, la splendida occasione della pubblicazione dell’intervista che Carlo Ossola ha realizzato il 28 maggio 2011 a Saint-Émilion, nell’ambito del V “Festival Philosophia” sul tema del Tempo; intervista trascritta senza cambiare nemmeno una parola e nella quale Ossola porge le sue considerazioni, concedendo a Butor un respiro di taglio saggistico. Il tempo, a cui Butor ha dedicato un testo narrativo, L’impiego del tempo (Mondadori, 1960) viene affrontato nell’intervista da quattro angolazioni differenti, tutte ugualmente utili a restituire la complessità stratificata di un concetto a cui solo la consuetudine regala la linearità, che peraltro si può considerare un vestito dell’imperatore da evitare d’indossare, pena la perdita della nostra ricchezza esistenziale.
La scrittura gioca un ruolo chiave nella restituzione del groviglio temporale in cui la nostra psiche è immersa e lo fa sempre da una postazione spazio-temporale, grazie a slittamenti, sovrapposizioni, sconfinamenti, ritorni con i quali può sconfiggere i blocchi, le rigidità, le continue cesure, ristabilendo un flusso in cui si immettono più fluidi provenienti da diverse direzioni. È un movimento, quello scritturale, in cui, se si cerca costantemente di tenere distinto qualcosa per non farsi travolgere dall’onda traversa, si tenta anche di poter provare l’ebbrezza di un tempo indistricabile, dove passato e futuro appartengano alla medesima cronologia. Quest’ultima è come una percezione che mescola e rende distinguibile al tempo stesso, consentendo la formalizzazione di una scrittura capace di registrare i tempi come omogenei e promiscui al contempo. Senza escludere, trattandosi di scrittura, che anche il lettore, nel leggere, intervenga coi suoi tempi. Butor stesso, nel rileggersi, riscontra il non riconoscersi, il non riuscire a risalire al suo pensiero di allora, ma in fondo anche questo fa parte del tempo della propria persona: uguale e distinto in ogni momento. Vale qui la concezione agostiniana della contemporaneità di tutti i tempi, così come la riporta Butor: <<il passato è presente e il futuro è già presente, e il presente è già passato nel momento stesso in cui lo si dice e noi possiamo parlarne solo perché è anche futuro>>. La musica offre del tempo una rappresentazione può vicina alla nostra interiorità rispetto a quella del calendario, ossia una pluralità.
Una diversa lettura dei tempi è in atto anche nelle affascinanti ipotesi di Charles Fourier, per il quale non esiste un solo mondo, ma una pluralità di universi comunicanti; ciò ridà vita alle corrispondenze di matrice medioevale, ove <<l’universo e l’uomo sono omologhi>> e alla lettura vichiana, ove si narra <<la storia della società prendendo a modello la storia di un individuo>>. I mondi si trasformano l’uno nell’altro e le corrispondenze fanno percepire il tempo come aperto e chiuso in corrispondenza di alcune tappe esistenziali (ad esempio, la giovinezza e la senilità). Dunque, ancora tempi diversi, che chiedono di essere sistematizzati in contesti più ampi e di non essere ridotti alla linearità. Quello che importa è non diventare passivi e riuscire a promuovere un’alleanza tra spazio e tempo che, fra l’altro, non coincide solo col tempo individuale, ma con il tempo di tutti quelli che ci hanno preceduto e che verranno. Anche lo spazio, pertanto, ha bisogno di essere ogni volta riconsiderato, così come si legge in Descrizione di San Marco (Abscondita, 2003), dove Michel Butor infilza una catasta di secoli condensata in un unico monumento. La storia si manifesta, normalmente, nei suoi limiti circoscritti, mentre le sfugge, per oblio o ignoranza, la sua estensione. Pura illusione è, difatti, una storia narrata secondo un ordine cronologico: <<Se voglio descrivere fatti accaduti durante la giornata, ho l’impressione di rinviare costantemente a fatti anteriori o a progetti>>. Pertanto, sono le risonanze attraverso le reti temporali che dovremmo imparare a percepire. Infatti, anche ciò che non si è realizzato nella nostra esistenza ha diritto teoricamente a testimoniare la <<nostra propria verità>>.
Rosa Pierno