Orbilius* vs
Samizdat e viceversa. Narratorio
Orbilius –
Samizdat mi
parlava continuamente di questi *moltinpoesia*. Sì, sì, gli dicevo, è vero che
sono spuntati come funghi dopo che nel tuo Paese – in ritardo, eh! - c’erano
state (quasi insieme) scolarizzazione di massa e acculturazione provocata da
giornali, radio e televisione. E posso anche ammettere che questa gente comune
non è più analfabeta o semianalfabeta come lo erano i loro nonni e spesso i
loro genitori. Ma che novità è mai questa? Scribacchiano come possono,
rovistano tra le vaghe memorie che gli restano del mondo contadino e artigiano.
O si perdono nelle pieghe del loro *io* alle prese con la vita quotidiana e
sentimentale. Che poi non è neppure più quella dei piccoli borghesi di una
volta. Almeno quelli erano vicini alle élites politiche e culturali (Chiesa,
Partiti) e capaci di un certo contegno e stile. Ma ora, che sbracamento! Tutti
scrivono, tutti scrivono “poesia”, tutti vogliono pubblicare! Quanti ne avevo
visti di questi “bassi cetomedisti” alle presentazioni di libri, ai reading di
poesie, nelle redazioni di riviste e rivistine o, più tardi, nelle
“foto-santini” sui social network (blog, siti, FB, ecc.). Che ridicoli, servili
e spesso presuntuosi imitatori! Entravano in questi “bazar della Cultura” come
prima andavano a messa o nelle sezioni dei partiti. Coltivando micragnosi e
petulanti i loro minuscoli sogni di riscatto! E sempre pronti a farsi
solleticare i cuoricini dall’ultima novità editoriale, dall’ultimo film
vincitore a Venezia o a Cannes. O a sorbirsi seminari, convegni, conferenze, apparizioni
fulminee di *maîtres à penser*, di cui annotavano – sempre ossequiosi! - anche
le sputacchiate. Per citarle subito dopo su FB.
A me non
parevano un granché. Anzi, a tirar fuori il rospo, proprio non li sopportavo.
Non avevano idea di cosa fosse stata, e non solo in questo Paese, la Poesia! Ne
avevano appena intravisto il Seno, appunto, sui banchi di scuola, mostratogli
da insegnanti bacchettoni e pure loro sempre meno preparati. Eppure, dopo
quella Visione, si ostinavano a masturbarsi e a produrre surrogati rimasticati.
«Simil-poesia», «righe a capo», «parapoesia»: ah, quanto lungimiranti erano
stati Raboni, Majorino e Kemeny! Che, sì, incontravano questa pletora di
sgomitanti ogni tanto, ma con discrezione, concedendosi solo per qualche ora ai
loro corteggiamenti. E perciò davo ragione a tutti quelli che con giusto
sprezzo li definivano *sottobosco * o *ceto medio semicolto*. Per me era chiaro
che il loro destino sarebbe stato quello di rimanere sulla soglia della Vera
Cultura. A orecchiare, commentare, fare magari anche la domandina intelligente
o provocatoria a quelli che davvero di Poesia se ne intendevano. Ed era del
tutto giusto che, di fronte alla pressione di tale marmaglia, i Veri e Pochi
Poeti adottassero la strategia del custode kafkiano di «Davanti alla legge»:
tenerli a bada, tenerli nell’incertezza; e, allo stesso tempo, lanciargli di
tanto in tanto anche qualche cifrato invito. (Si «potrà però entrare più tardi.
– È possibile, dice il custode, - ma ora no -»).
Samizdat,
secondo me e malgrado i miei avvertimenti, si era mescolato troppo con loro e
prendeva sul serio quei loro confusi bisogni. A volte mi pareva davvero uno di
loro. Miope e sciocco come loro, insomma. E, pur considerandolo mio amico,
sentivo che cedeva alle loro bassezze. Non aveva la postura giusta!
S’immaginava cose ingenue, infantili, utopistiche, fuori dal mondo. Pensava che
quella gente comune potesse *maturare*! E prima o poi produrre qualcosa di
buono e di suo, *in proprio*. Magari pure con l’aiuto dei Veri e Pochi Poeti,
che secondo lui non dovevano chiudersi nelle loro Case della Poesia. Ma
potevano mai quei malcapitati esercitare le stesse funzioni – studiare,
immaginare, ideare, oggettivare in opere, divulgare - dei Veri e Pochi Poeti,
cioè di quella èlite necessariamente ristretta e iperselezionata che il nostro
Sistema – l’unico esistente e reale - assorbe e riconosce e giustamente onora
(e paga)? Impossibile. Samizdat proprio non capiva certe cose! Che, ad esempio,
era un bene che quei suoi *moltinpoesia* rimanessero ai margini, in armonia con
le loro condizioni economicamente precarie o fragilmente garantite; e che
esaurissero il meglio delle loro energie per nutrirsi, pagare le loro
abitazioni, amoreggiare e fare, sì, anche i “poeti”, ma al massimo la domenica.
Né intendeva che era sempre un bene che fossero alla mercé dei Veri e Pochi
Poeti (e dei Veri e Pochi editori), che li tirassero invano per la giacca e che
invano li scegliessero come santi protettori, guide, guru, maestri. A forza di
sgomitare e magari lavorare gratis prima o poi avrebbero imparato la lezione:
che erano troppi a scribacchiare, che dovevano stare al loro posto e che solo
ogni tanto si poteva pescare in mezzo a loro il beniamino degli Dei da
cooptare. Per dimostrare che anche dalla marmaglia può sorgere miracolosamente
il Meglio e che il Sistema era sano, realistico e persino generoso. Ma a patto
che i restanti rimanessero buoni buoni, cioè pubblico (possibilmente pagante).
Come
s’illudeva il povero Samizdat a pensare che da questa gente comune sarebbe
uscita prima o poi quella che lui – un’altra sua fissa! - chiamava *poesia
esodante*. Ma dove voleva esodare, andare, migrare? Non capiva che non c’era
più nessun *fuori*? Che non era più neppure pensabile una “comunità altra” o
più “civile” (neppure di soli poeti)? Ancora attaccato alle defunte idee
comuniste dello Scriba, riteneva irrinunciabile la *funzione critica
universale* della poesia! Che in passato sarebbe stata svolta - diceva - dagli
antenati dei *moltinpoesia* (quali poi?); e che ora essi avrebbero dovuto
ereditare come compito. Che “cattivo soggetto” s’era inventato! Questa gente
comune, questi “bassi cetomedisti”, più o meno poetanti e scribacchianti, mai
avrebbero preso il posto dei mitici Soggetti ritenuti in passato “forti” (quali
la classe operaia o “i lavoratori” o “il Partito” e – loro complementare – gli
“intellettuali”)! Io glielo ripetevo: ma non vedi che i tuoi stessi amici e
conoscenti hanno tutti ripiegato su forme di collaborazione con le Istituzioni
che volevano “abbattere” o “cambiare”? Io di questi *moltinpoesia* decisi ad
esodare (o che avessero maturato il bisogno di farlo, staccandosi dalle
Istituzioni) proprio non ne scorgevo. E poi: per andare dove? Qual era la Terra
Promessa che Samizdat indicava? Dov’erano i Mosè e compagnia bella? Infine se -
pensa un po’! – Samizdat stesso ammetteva che di Terra Promessa non se vedeva
all’orizzonte e che la strada da imboccare bisognasse costruirsela da soli (sì,
magari al buio, perché non se ne vedeva né la direzione né lo sbocco!) sai che
incoraggiamento passava alla sua pigra marmaglia!
* Ho rubato
il personaggio di Orbilius a Carlo Oliva (1943-2012), che avevo intervistato
sulla sua «Lettera a una studentessa». (Cfr. Immigratorio.wordpress: Su Carlo
Oliva. Lettera a una studentessa)
Samizdat -
«Questa
nostra dottrina sarà forse accolta con un sorriso da coloro che, riservando
alla massa del popolo i vizi propri di tutti i mortali, dicono che il volgo è
in tutto sregolato, che fa paura se non ha paura, che la plebe o serve da
schiava o domina da padrona, che non è fatta per la verità, che non ha
giudizio, ecc. Invece la natura è una sola ed è comune a tutti… è identica in
tutti: tutti insuperbiscono del dominio; tutti fanno paura se non hanno paura,
e ovunque la verità è più o meno calpestata dai cattivi o dagli ignavi, specie
là dove il potere è nelle mani di uno o di pochi che nell’istruire i giudizi
non hanno di mira la giustizia o la verità, ma la consistenza dei patrimoni».
(Baruch Spinoza, «Trattato politico»)
Orbilius,
cazzo! Dal tuo Olimpo di cartapesta proprio non vuoi uscire! E vabbè sputare
sulle ebbrezze rivoluzionarie del ’68-’69. Che mente sobria e solida la tua!
Costruitasi ben prima e lontano da quel casino. In cenacoli ristretti, fianco a
fianco dei grandi Maestri. Coi quali analizzasti, ancor prima che venissero
pubblicati, versi divenuti famosi. Che privilegio rispetto a noi! Come Faust
hai letto tutti i libri, tu! E ora che in tanti (sempre «troppi» per te!)
abbiamo preteso non solo di leggere e scrivere ma di affannarci nel sacro
pomerio della Poesia, per te è davvero troppo. Ti capisco! Ci puoi accettare
nella tua Casa della Poesia solo come pubblico, come dilettanti, come
«scriventi versi». Cioè dopo aver messo bene in chiaro che dobbiamo restare là
in basso - tre o quattro gradini - rispetto al piedistallo dove tu traffichi
con gli Scrittori e i Poeti «veri».
«Nebulosa
poetante? Ma di che cianci?» mi dicevi. Soltanto stelle e stelline meritano la
tua attenzione. Eh, sì, la tua filosofia! La selezione della specie (non solo
poetica) da secoli procede secondo natura ed esalta le qualità di pochi
individui, i Migliori. Gli altri,– consapevoli o inconsapevoli, ingenui o
furbastri – tramerebbero (ahi, Nietzsche!) per appiattire i Migliori sulla
propria condizione di mediocri! Piaccia o meno, le cose stanno così anche in
poesia, borbottavi sornione. Ci sono individui le cui opere hanno un alto
valore poetico (e intellettuale e morale) e tanti che sono e saranno mediocri,
conformisti, scribacchini, imitatori, epigoni, ripetitori, gregari in ogni
caso. Sei rimasto fermo lì: le masse possono essere plasmate, mai plasmare il
mondo.
Non sai
nulla delle modifiche prodotte (anche in poesia) da quelli che chiami ‘masse’,
soltanto perché a te lontani e in fondo ignoti. E figurati se potevi dare
credito ai miei argomenti: che il Novecento è stato il secolo del risveglio
delle masse; che nell’arte e in poesia le avanguardie hanno pur dato voce alla
mentalità e alla sensibilità dei molti (io poi che ho in mente sempre la
Bauhaus!); che la psicoanalisi ha svelato un inconscio (cioè la parte sommersa
dell’iceberg, come dire: i molti, gli anonimi, gli ignoti) addirittura più
importante del conscio (la punta, come dire: i pochi); e che in politica
individui e collettività si sono scontrati proprio come adesso facciamo noi due
- io, Samizdat, e tu, Orbilius – gli un contro l’altri armati. L’asservimento
dei molti col fascismo-nazismo? Macché, fu rivoluzione! Il tentativo di
liberazione dei molti nell’ipotesi del socialismo/comunismo? Rovine da dimenticare!
Tanto si sa come sono finite queste cose. Coi totalitarismi, come si dice
adesso. E il discorso sarebbe chiuso per sempre.
Eppure,
malgrado contraccolpi e tragedie del secolo concluso, i molti non me li
cancellerai per tornare a imporre il primato dei pochi. Ho cercato di farti
ragionare. Ti ho chiesto: «Lo vogliamo affrontare anche in poesia questo
conflitto tra pochi e molti?». Ti ho proposto persino un’alleanza. Sì, pensavo
che potessimo ritentare assieme un incontro tra i filosofi – mettiamo quelli come
te - e i tonti - mettiamo quelli come me. Come diceva pure il Vecchio Scriba.
Anche in poesia? E perché no. Quando te lo proposi, mi rispondesti schernendo:
«Ma se fu lo stesso Scriba a dire che «non esiste il Petrarca per tutti!».
«L’avete mantenuta voi aristocratica! Ma non è detto che spadroneggerete
sempre», ti ribattei. E chiudemmo lì. Insomma, da un certo orecchio non ci
senti. E allora, stufo delle tue crestomazie, dei tuoi canoni, dei sottili
distinguo fra maggiori e minori di cui ti diletti, stufo di sentirti proclamare
in astratto il valore universale della Grande Poesia, della Bellezza, della
Parola e subito dopo vederti intrigare nei giochi sporchi delle cooptazioni,
dei favoritismi, dei nepotismi, della mafiosità a favore di alcune cordate e ai
danni di altre (altro che Geni e Grandi! L’orticello della Poesia, lo gestite
tribalmente!), ti ho salutato, te e i tuoi Grandi.
Sì, me ne
resterò nella nebulosa che tu neppure vedi. Dove tutto è difficile da chiarire,
certo. Cosa significa *stare coi moltinpoesia* (la mia scommessa!). E *essere
moltinpoesia*? E quanti modi di esserlo ci sono? Ah, sì, sì, quante ambivalenze
anche nei *moltinpoesia*! Altro che *Quarto Stato scrivente e poetante che
avanza come nel quadro di Pellizza da Volpedo verso il Sol dell’avvenire della
Poesia Futura!* Appena ho invitato *alcuni dei refusés* (quelli che incontravo
e che a me parevano così classificabili, eh!) a staccarsi dalle tue
conventicole o dalle Case della Poesia, eccoli traccheggiare o sparire per non
compromettersi con le cattive compagnie. E dopo qualche anno ecco i nomi di uno
o due di loro nella tua “prestigiosa” collana di Poesia o tra gli ospiti
d’onore di non so quale Festival della Poesia. La tua nefasta influenza,
Orbilius, continua e non è facile scalzarla! Eh, sì, di individualismo, di
boria, di micromafiosità ce n’è sia tra i *moltinpoesia* che tra i tuoi
*pochinpoesia*!
Ma allora -
mi dirai - se la stoffa umana è questa, che senso ha scegliere a favore dei
*moltinpoesia*? Sta’ con noi. Lascia correre storto il mondo, che è così e
sempre sarà così! Pentiti! (Qui musica dal «Don Giovanni» di Mozart…). No, caro
il mio commendatore, non mi arrendo e non te la do per vita! Rimuginerò da solo
o con pochi. Scandaglierò i segnali contraddittori che manderanno i miei
*moltinpoesia* e i tuoi *pochinpoesia*. Vi seguirò uno per uno e come insiemi.
Interrogherò pure i *moltinpoesia* e i *pochinpoesia* che si dibattono dentro
di me. Ci vorrà tempo. Prima o poi si riuscirà a capire meglio le ragioni
profonde che ci fanno azzuffare. Non sputerò mai però, come fai tu, sulla
vitalità sgangherata, grottesca, persino oscena dei molti. (Quella che Pasolini
mostrava ne «La ricotta»; quella degli affamati che arraffano il cibo da cui
sono stati a lungo esclusi e rischiano un’indigestione o perfino di crepare).
Insistendo nell’esercizio del fare poesia, fosse pure condotto in modi
infantili o a casaccio, diventeremo più saggi ed accorti, meno sregolati e
caotici. Scaveremo più direttamente e da vicino nei bisogni, desideri e
problemi, che tu hai ridefinito esclusivamente dal tuo punto di vista elitario.
Continuereremo - pedagogici e militanti come Gianmario Lucini - a far salire i
*moltinpoesia* sulle zattere di fortuna (blog, siti, riviste, piccole case
editrici) che riusciremo ad approntare.
Ci vorrà
tempo. Ma perché tutte queste trasformazioni del mondo attorno a noi e delle
forme del lavoro umano (impresa a rete, telelavoro, ecc.) dovremmo lasciarle
nelle mani tue e dei tuoi simili? Se il linguaggio stesso sta diventando elemento
produttivo, come dicono, non potrebbe venirne qualcosa di buono - un
arricchimento comunicativo e conoscitivo - anche per i *moltinpoesia*? Al tuo
«Sveglia! Comandiamo (come sempre) noi pochi!» rispondo ancora con un «Bisogna
sognare e svegliarsi», perché abbiamo bisogno di entrambe le cose. E perciò il
mio sogno da sveglio in poesia sia questo: che fra riuscito e non riuscito, fra
livelli qualitativamente alti, medi, bassi, ci possano essere continui rimandi
(da sviluppare, non da isolare, staccando di netto l’eccellente dal mediocre,
come tu fai); che si costruiscano altre gerarchie, diverse però dalle tue
sempre e solo elitarie; che ci sia un ordine del discorso costruito sui molti e
non sui pochi; che ‘eccellenza’ e ‘mediocrità’ possano avere un senso
includente e non escludente; che si arrivi a un linguaggio comune (ma non
semplificato e inerte, come quello dei mass media); che la storia della
letteratura e poesia italiana faccia i conti con quelle di altri popoli e,
tanto per cominciare, con le figure – reali e mentali - dei migranti, che
c’interrogano (e interrogano il nostro passato) tenendo a mente le ferite che
portano sulla pelle e nella memoria; che si avvii, malgrado le enormi
resistenze da parte loro e da parte nostra, un grande esercizio di traduzione
reciproca.
So una cosa,
Orbilius: persino nei poeti classici e non, morti o viventi, noti e meno noti,
è possibile rintracciare questa necessità di *essere molti in poesia* che tu
neghi. Persino nella «Commedia» Dante! Che pur con una tensione tutta
medioevale, voleva condividere con quante più persone possibili il suo «pane
degli angeli». Il suo io era già, nei modi possibili ai suoi tempi, un io-noi.
Toh, non sarà stato per caso un antenato del *moltinpoesia*? Concludo. Resto
acrobata su un filo. Tra i realisti-realisti come te, che vanno sempre “al
sodo” e mi vorrebbero tirar giù con domande del tipo: «Ma adesso dovremmo
lasciar perdere Dante o Zanzotto e metterci a leggere le pseudopoesie scritte
da gente ignota e comune?» e i *moltinpoesia* limacciosi che salivano appena tu
parli, Orbilius, perché tu sei amico e mentore dei «veri Poeti» presenti sul
Mercato. Io intanto riprendo in mano «L’Italia sotto la neve» di Roberto Roversi,
che tutta la vita diffuse i suoi versi (allora ciclostilati) rigorosamente
«fuori commercio». E me la rido di te, Orbilius, e dei tanti che si sono
“buttati in poesia” solo per cancellare le tracce del loro passato di
“innovatori” o di “rivoluzionari” in un indecente *autodafé* per ottenere un
loculo nella tua postmoderna corporazione-fortezza.
Ennio Abate