Ricordare per conoscere
Via Trieste di Ombretta Costanzo (liberedizioni, 2023), si delinea come una finestra sulla narrativa contemporanea utilizzando il metodo autobiografico del reconnecter, ovvero del riconnettere l’essere narrante a un periodo della propria vita, in questo caso la pre-adolescenza. Il lettore è guidato dallo sguardo fresco e sveglio di Nerina Sanfelici che presenta il suo punto di vista “in soggettiva”. Il racconto è come un visore ottico che, attraverso l’identità familiare, incrocia il campo aperto del sociale e del collettivo. Quello scelto dall'autrice è un criterio autobiografico riconducibile alla memoria consapevole del ricordo visto come esperienza del conoscere, una pratica che si integra con l’universo emotivo-affettivo per stabilizzare gli eventi a distanza nel tempo. Il processo ricostruttivo del proprio passato è così il frutto di una coscienza autonoetica che accompagna l’atto del ricordare alla consapevolezza di sé. Il ricordo emotivo sembra avere una connotazione positiva o negativa in base all’immagine che l’autrice attribuisce all’evento rammentato, non solo all’interno di questo, ma anche rispetto al momento in cui quel ricordo ha preso forma e a quello in cui viene rievocato.
Attraverso questo vaglio passano i ricordi di Nerina e della sua famiglia, della scuola, del portone d’ingresso, della sua casa di via Trieste a Brescia, dei fratelli e sorelle, della madre, del padre, della piazza, del castello, del cortile. Si tratta di una somma di anatomie interpretative che gli eventi, ormai lontani, stanno suscitando nel tempo della rievocazione.
La famiglia Sanfelice, con la considerevole presenza di otto fratelli, non può che essere complessa e caotica da gestire e da vivere. Al riguardo la piccola Ornella detta Pupa utilizza una efficace storpiatura linguistica: «Questa famiglia è molto pesante e si importunano troppe ingiustizie…». L’esistenza nella città lombarda è collocata in quel Novecento che ancor oggi chiede di essere indagato e riconsiderato, perché molto del nostro “adesso” ha radici in quella realtà storica. È attivo, nelle maglie del racconto, un neorealismo fatto di voci, di quartieri, di valori consumati, di contraddizioni tra sacrifico e benessere. Sono gli anni del miracolo economico, del grande ottimismo, ma anche delle disparità sociali quelli che regolano la vita della famiglia Sanfelice, privilegiata perché il capofamiglia ha un lavoro importante, ma soggetta alle ristrettezze imposte dalle lacune finanziarie aperte dal secondo dopoguerra.
Come in un mosaico si compongono i vari episodi di vita tra i quali emergono fantasie e pensieri immaginifici, tracciati nell’ordito del quotidiano, ingenue fantasmagorie della realtà fiancheggiate da desideri di riscatto e giustizia. Piccole storie di gioia e paura.
I diritti dei bambini e degli adolescenti sembrano scaturire da loro stessi per poi rivolgersi a un mondo adulto, prevalentemente orientato a bisogni e interessi personali. L’aspetto educativo e formativo della scuola e della famiglia viene rievocato nella sua fisionomia ancora “acerba” rispetto alle aperture e ai passi avanti che si sono manifestati nei decenni che ci ricollegano all'oggi. I diritti fondamentali di donne, bambini, minoranze trascurate, spingono per potersi evolvere ed essere recepiti. Il desiderio di libertà e autonomia è rappresentato nel racconto dal costante aleggiare della figura di Tito Speri, eroe del Risorgimento, simbolo della ribellione contro le repressioni e legame tra la città di Brescia a quella di Mantova. Gemellaggio che coinvolge la famiglia Sanfelice attraverso il trasferimento nella città virgiliana e che anticipa il legame di Nerina con l’altra metà di sé, più adulta e matura. Il presente si proietta nel futuro e predispone la memoria.
Carla Villagrossi