Senza alcun dubbio i naviganti web affezionati a questo sito
(“Trasversale” diretto da Rosa
Pierno) sono sicuramente amanti della poesia, del teatro, della musica. I più anziani
di loro ricordano benissimo gli eventi che tanti anni fa colpirono il Belice e
in particolare la città di Gibellina, e non hanno probabilmente dimenticato
(anche se purtroppo i nostri tempi sovente sono senza memoria) le vicende
civili e artistiche che segnarono la morte e la resurrezione (assai tarda per
ragioni politico-burocratiche) di quei territori. I più giovani forse, salvo
eccezioni sorrette da personali letture, ne sanno qualcosa solo vagamente per
sentito dire.
A ricordare a noi tutti quelle
vicende, drammatiche e insieme uniche e entusiasmanti, è fortunatamente
arrivata, programmata non a caso per il 15 gennaio 2013, la presentazione,
presso il “Museo del Novecento” di Milano, del volume, edito da “Le Lettere” di Firenze, L’Orestea
di Gibellina e altri testi per il teatro. Autore Emilio Isgrò, curatrice
la grecista Martina Treu. Di fronte al numerosissimo pubblico sono intervenuti
alcuni dei protagonisti degli ormai ‘antichi’ avvenimenti: lo stesso Emilio
Isgrò, Martina Treu, lo scultore Arnaldo Pomodoro, il regista Filippo Crivelli,
l’attrice Anna Nogara, e altri ancora.
Fra il 15 e il 16 gennaio 1968 un
terribile terremoto distrusse il Belice e in particolare Gibellina fu rasa al
suolo. Il sindaco e senatore Ludovico Corrao (purtroppo recentemente scomparso)
subito progettò di ricostruire i luoghi non solo, e necessariamente, dal punto
di vista edilizio, bensì anche dal punto di vista culturale e artistico: ciò al
fine di far risorgere una antica civiltà greco-sicula che per millenni aveva
caratterizzato la vita di quelle terre. Furono invitati in diversi tempi per
le arti gli scultori Alberto Burri, Pietro Consagra, Andrea Cascella, Fausto
Melotti, Ettore Colla, Mimmo Paladino, Mario Schifano, Arnaldo Pomodoro, Carla
Accardi. Negli anni non mancarono gli interventi in luogo di performers quale
per esempio Joseph Beuys.
Prese forma uno straordinario museo
all’aperto che andò arricchendosi negli anni. Tuttavia il pur pregevole piano
urbanistico-architettonico si prestò, e si presta, a critiche: i decenni
passati dal disastro alla ricostruzione fecero invecchiare il progetto
(l’architettura si fermò ai criteri degli anni ’60), ma soprattutto nel
frattempo si verificò un naturale spopolamento (gli abitanti per anni rifugiati
in baracche emigrarono pian piano altrove). Venne meno perciò l’antico tessuto
civile, abitativo e produttivo, e la nuova Gibellina sotto diversi aspetti
apparve, e ancora in parte appare, una città, se non morta, artificiale.
Comunque la necessità di vivacizzare
il nuovo complesso, richiamando, seppur in forme culturali rinnovate, la
memoria di un raro passato millenario, sempre per merito del sindaco Corrao, portò
a promuovere, oltre all’operato degli scultori, incontri culturali e spettacoli
sul territorio, in una linea estetica e storico-sociale con le scoperte
artistiche italiane ed europee degli anni ’80.
Nel giugno del 1983, e per le due
estati successive, su incarico di Ludovico Corrao e con il contributo del
Teatro Massimo di Palermo, e la regia di Filippo Crivelli, Emilio Isgrò
tradusse magistralmente e mise in scena un evento teatrale all’aperto: L’Orestea di Gibellina. Così ha
riassunto le notizie riportate dal volume citato e ha introdotto il dibattito
al “Museo del Novecento” di Milano la docente e studiosa di teatro greco
Martina Treu: «Nella location
particolarissima delle rovine di Gibellina per la prima volta Isgrò realizzò il
suo testo teatrale più significativo: una riscrittura dell’Orestea di Eschilo in un originalissimo impasto linguistico di
italiano, siciliano, e altri idiomi qui e là anche espressivamente inventati. Così
fu inaugurato un nuovo straordinario spazio teatrale (che ancora oggi ospita un
importante festival internazionale) segnando una svolta epocale nella storia
degli spettacoli classici, non solo in Italia. Oggi, a distanza di oltre un
quarto di secolo, quello spettacolo resta nella storia per la grande portata
simbolica e la rilevanza dei contributi artistici (dalla musica di Francesco
Pennisi alle scene – macchine mobili – di Arnaldo Pomodoro). In questo volume
l’autore ha restaurato il testo, mantenendo la ricchezza dell’impasto
linguistico e la forza dell’ambizioso impianto corale…».
La rappresentazione si realizzò in uno
dei profondi crateri di Gibellina (in una giornata di imprevisto violento e
rigenerante vento mediterraneo) con la partecipazione diretta di molti abitanti
del luogo e degli spettatori che parteciparono fisicamente e vocalmente ai
movimenti drammaturgici delle masse. Furono coinvolti, con partecipazioni
innovative, anche gli abitanti che per antichissima tradizione avevano
organizzato in passato processioni religiose (di lontana radice pagana), recando
sulle spalle altari e immagini di santi. Oltre all’Orestea il volume raccoglie di Isgrò i contributi critici e i ‘manifesti
teorici’, insieme ad altri pensati per la scena. Martina Treu, nel volume,
secondo la sua stessa ammissione «Isgrò ha
corredato i testi di annotazioni e apparati critici, tesi a facilitarne la
comprensione anche a un pubblico non siciliano e a metterne in luce le complesse
relazioni, tanto in ‘verticale’ (col passato, e in particolare con il
Mediterraneo antico e la Grecia
classica, a partire naturalmente da Eschilo), quanto in ‘orizzontale’ (con la
restante produzione dello stesso Isgrò e con il mondo culturale e artistico
contemporaneo)».
È superfluo forse, qui, dire di Emilio Isgrò, uno dei nostri artisti più inventivi e prolifici, oltre la stessa esperienza di Gibellina: per il più vasto pubblico è il poeta visivo delle notissime “Cancellature”, ma multiformi (come ricorda ancora Martina Treu) sono i suoi interventi in altri campi delle lettere e delle arti, dalla poesia alla narrativa al teatro. Tuttavia qui appare interessante valutare ciò che sembrerebbe distante e contraddittorio, riprendendo le “Cancellature” a fronte dell’esperienza di Gibellina. C’è invece un sotterraneo legame fra le due operazioni, come è emerso anche dal dibattito al “Museo del Novecento”. Con le “Cancellature” Isgrò ha inteso e intende liberare i testi troppo spesso manipolati e falsificati dalla storia e privati della loro originarietà: creare quindi un vuoto testuale per offrire l’opportunità, a chi ne abbia la capacità come autore e lettore, di ricominciare al di là di ogni accademica ideologia poetico-culturale. A Gibellina terremotata Isgrò ha trovato quel vuoto, quella tremenda cancellatura storico-ambientale e, realizzando il suo progetto rigenerante, lo ha riempito con il mito, con la poesia, con la tradizione antica e non mistificata di un popolo, creatura e generatore di una straordinaria civiltà.
La sera del 3 giugno 1983 – fra i
gemiti di quel vento che filtrava attraverso le macchine mobili di Pomodoro e i resti del disastro –
il racconto iniziò con una struggente recita di versi (recitati anche durante
l’incontro del 15 gennaio 2013
a Milano) che introducevano alla memoria del passato e
alla drammaticità della sua cancellatura, il Canto del carrettiere:
Zotta
in Sicilia significa frusta. / Ed è con questa frusta che si chiama zotta, /
che pungo questa cavalla quando annotta / su Madonie, Peloritani e Nèbrodi. / È
con questo nerbo che la spingo. // Ma non la freno né la tengo a bada / e
tremo, tremo se alza la cresta / dalla sua biada / lungo le pianure e sopra le
voragini. // Non scalciare. Pensiero, / fermati, fermati, destriero, / dentro
le vertigini! / Inchiodati carretto! // Non superare gli argini che restano /
sul ciglio dell’abisso. / La lanterna si è spenta / in questa notte eterna. /
Come sono ferito, sfracellato al viso! // È l’occipite che canta contro il
sasso a punta. / Ah la mia povera testa! / Ah Cassandra! Cassandra! / Giumenta
maledetta!
Il lamento del vento, come bestia
ferita, che non vuole chiudere gli occhi, recava agli spettatori i versi del
carrettiere che era apparso sulla scena trascinando le due enormi ruote di
Arnaldo Pomodoro.
Ahi
sventure, sventure della città interamente distrutta! / Oh sacrifici del padre per la salvezza delle
mura, / strage grande di greggi
pascenti, / rimedio non diedero alcuno perché la città / non soffrisse la sorte
che ha. / E presto io, anima ardente, al suolo cadrò.
Certamente, molte nuove ed egregie
cose sono sorte a Gibellina grazie alla poesia. Ma l’antica Gibellina, caduta,
non c’è più.
Gio Ferri
Foto di Patrizio Nesi: Orestea di Gibellina di Emilio Isgrò e Arnaldo
Pomodoro, Rotella fantastica per L'Orestea di Gibellina di Emilio Isgrò,
1983-1985
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